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[ITALIA] Donne: mille ragioni in più contro il governo dei padroni e della guerra

Riceviamo e pubblichiamo questo contributo dalle compagne del Comitato 23 settembre, già disponibile sulla loro pagina (vedi qui):

Donne: mille ragioni in più

contro il governo dei padroni e della guerra!

– Comitato 23 settembre

Perché siamo presenti nella manifestazione di Roma del 3 dicembre

Questa manifestazione contro la guerra in Ucraina e contro il governo Meloni è un chiaro segnale della necessità di andare oltre gli obiettivi settoriali delle forze che vi partecipano. Dobbiamo batterci contro il sistema sociale che sta trascinando nella propria crisi e nelle proprie guerre sempre più ampi strati di lavoratrici e lavoratori immigrati e autoctoni, disoccupate e disoccupati, giovani senza futuro, anziani senza garanzie.

Lo sfruttamento nei luoghi di lavoro, il disastro ambientale dei territori, lo sfascio del sistema sanitario e scolastico, la denuncia della repressione delle lotte e di chi le organizza, la diffusione di un’ideologia tossica centrata sull’esaltazione dell’individualismo e della concorrenza, sulla contrapposizione tra “nazioni”, le guerre di rapina delle ricchezze del sud del mondo, sono tutti elementi che non possono essere riformati. Essi vanno ricondotti ad una causa generale, che agisce ovunque nel mondo. Così come a livello internazionale le forze più reazionarie si fanno interpreti della necessità di schiacciare sempre più le condizioni di vita e di lavoro di uomini e donne senza privilegi, preparandoli ai sacrifici necessari per sostenere le guerre presenti e future e consentire l’ampia messe di profitti che esse garantiscono ad un pugno di capitalisti.

Una lotta a metà

Per essere all’altezza dei compiti imposti da questa situazione, le militanti e i militanti sono chiamati ad inserire tra i loro obiettivi la lotta alle condizioni specifiche di supersfruttamento, di oppressione, di subordinazione alle necessità del capitaledella grande maggioranza delle donne, la metà della classe degli oppressi e degli sfruttati di tutto il mondo. Questo pilastro su cui si regge il sistema capitalistico e l’ordine mondiale è spesso assente dalle rivendicazioni dei movimenti e delle organizzazioni sindacali e politiche: un tema che è diventato marginale anche nel movimento mainstream italiano, sempre più concentrato sulle tematiche del transfemminismo e sempre più lontano dagli interessi e problemi del 99% delle donne. Un tema che è ben chiaro e presente nell’azione dei governi, e come non mai in quella del governo Meloni.

Il governo Meloni: produrre povertà, far guerra ai poveri

I vincoli economici e le alleanze internazionali che Meloni &co ereditano dai governi precedenti, e che la guerra ha rafforzato, escludono qualunque possibilità di affrontare concretamente l’impoverimento che colpisce sempre più ampi strati della popolazione, e che è tra gli obiettivi centrali di questa manifestazione. Sappiamo che la più alta percentuale delle persone in povertà assoluta è tra le donne sole con figli. Per molte la situazione da difficile sta diventando drammatica. Nel programma elettorale di Meloni i poveri, gli emarginati, i senzatetto, gli “illegali”, i “nullafacenti” diventano un problema di ordine pubblico, e vanno resi invisibili, additati come pericolo o più semplicemente repressi (quando fanno sentire la loro voce). Tra i vecchi-nuovi poveri, in prima linea troviamo gli immigrati e le immigrate. Centinaia di migliaia di donne sono arrivate in Italia dai paesi dell’est Europa (e dall’Ucraina in particolare) dove trenta anni fa i capitali occidentali hanno cominciato a scorrazzare liberamente. Una presenza necessaria a far fronte al fallimento dello stato sociale che dovrebbe garantire una vecchiaia dignitosa alle lavoratrici e ai lavoratori anziani. Ora queste donne, che vivono da anni senza garanzie sindacali e ai limiti della sussistenza, poiché la gran parte dei loro guadagni serve a mantenere le famiglie nel paese di origine, sono punto di riferimento della nuova ondata di profughi dalla guerra. La propaganda di regime che “accoglie” le famiglie ucraine in fuga non darà loro un tetto e un lavoro, non le sfamerà.

Ecco un altro effetto della guerra contro cui dobbiamo mobilitarci.

Le donne al centro del bersaglio

Un carico da novanta viene a gravare sulle spalle delle lavoratrici, delle disoccupate, delle ragazze senza futuro, che oltre a veder ridotto il loro reddito, saranno sempre più spinte a farsi carico del problema dell’incremento della natalità (di razza bianca), su cui insiste la propaganda governativa, per evitare il rischio che la “nazione” sia invasa da altre etnie, con le loro usanze e le loro religioni, mentre lascia naufragare nel Mediterraneo centinaia e centinaia di donne e bambini emigranti. Oltre a fare più figli, potendo contare solo su qualche misero bonus per crescerli, con ancora meno servizi, dovranno provvedere all’enorme lavoro di riproduzione sociale non pagato che deriva “naturalmente” dal loro essere mogli e madri. Il difficile equilibrio che molte si sforzano di raggiungere tra il lavoro e i compiti familiari, la lotta per la condivisione della cura della casa e dei figli, deve lasciar posto ad un ferreo inquadramento nel ruolo di fattrici e di lavoratrici domestiche, cui si promette addirittura un mese di congedo di maternità in più pagato all’80% (quanti asili nido in meno?).

Con molta maggiore convinzione e chiarezza dei governi precedenti, istituendo il ministero della “famiglia e della natalità”, il governo Meloni ha creato le premesse per rimettere le donne al loro posto, escludendo di fatto ogni velleità di autodeterminazione, di autonomia economica, di aspirazione ad una vita sociale più ricca e non dominata dal sessismo e ad una vita familiare non subordinata alle aspettative del maschio. Questi viene spinto a ritenere la propria compagna una sua proprietà e la casa un luogo dove può scaricare frustrazioni, tornare a comandare e usare violenza.

Un matrimonio perfetto (fanatismo reazionario e capitalismo in crisi)

Sarebbe sbagliato considerare questa politica solo come espressione di oscurantismo ideologico-culturale. Il richiamo a “dio, patria e famiglia” è condiviso a livello internazionale da rappresentanti della classe dirigente e di governo di stati come gli Usa,il Brasile, la Polonia, l’Ungheria ed ora l’Italia. La battaglia internazionale per ridurre o impedire il diritto all’interruzione di gravidanza assistita ne è testimone. Non si tratta di sètte di invasati ma di centinaia di associazioni pro vita, antiabortiste ecc. che hanno avuto come sponsor non solo il papa e Draghi in occasione degli stati generali della natalità (Roma, 2021), ma anche, come è dimostrato dai documenti redatti sull’argomento, la confindustria.

La violenza è un’arma centrale per obbligare le donne a rassegnarsi ai ruoli subalterni all’interno della famiglia di stampo patriarcalista, ad accettare il lavoro di cura non pagato, a ritenere ineliminabili il divario di genere nel campo del lavoro salariato, con quel di più di sfruttamento che le donne lavoratrici conoscono bene. Il femminicidio è il fenomeno estremo, inarrestabile sotto tutti i cieli, di una violenza che assume molte altre forme fisiche e psicologiche – percosse, minacce, stupri, ricatti, coercizione, privazione della libertà –e, non da ultimo, la minaccia di vedersi togliere l’affido dei figli. Spesso le donne neppure denunciano, per sfiducia nelle istituzioni che dovrebbero difenderle e il timore di non essere credute.

Noi non diamo credito alla retorica occasionale di Stato che accompagna ogni anno la giornata del 25 novembre, uno Stato che banalizza la questione della violenza contro le donne come responsabilità di un unico soggetto criminale, mentre tutta la sua politica spinge alla svalorizzazione e all’attacco alla dignità delle donne e alle loro conquiste pagate con dure lotte.

Salario, e non solo

Le lotte sindacali di cui abbiamo avuto testimonianza diretta ci confermano, se mai ce ne fosse bisogno, che la precarietà, l’orario di lavoro e i bassi salari sono il nodo principale che troppe donne, spesso immigrate, affrontano per riuscire ad arrivare a fine mese, per allevare i figli (molto spesso da sole) e soprattutto per ottenere quell’indipendenza ed autodeterminazione che è presupposto indispensabile per sottrarsi dalle situazioni di violenza che ogni giorno la realtà pone in evidenza. Negli ultimi anni in tanti posti di lavoro a stragrande presenza femminile le donne sono state protagoniste e si sono battute come leonesse per contrastare rendimento e profitto, e l’attacco alla loro dignità, unici obiettivi di cooperative per nulla in crisi neanche in pandemia. Con la complicità di padronato e sindacati confederaline hanno subìto spesso pesanti conseguenze: dai turni punitivi alle umiliazioni, all’attenzionamento da parte delle questure fino alle botte davanti ai cancelli.

Un caso esemplare è stato quello diItalpizza: nel 2020, contemporaneamente all’utilizzo della Cassa Integrazione, i ritmi di farcitura delle pizze raggiungevano livelli tali da causare capogiri, nausea e malori, nonché un aumento degli infortuni. Almeno 90 operaie sono state costrette ad autolicenziarsi, mentre, a monito per le altre, le operaie che avevano scioperato furono comandate a pulire i vetri ghiacciati, spalare neve nei parcheggi e sfilare come prigioniere. E le due panchine rosse inaugurate da Italpizza, (un risarcimento alle umiliazioni e vessazioni delle lavoratrici?) furono definite in un comunicato del Si.cobas che aveva guidato le lotte “solo panchine, mentre i diritti e la dignità sono altra cosa”.

Grande esempio quello dello sciopero del 2021 allaYooxcontro vessazioni, molestie, differenze retributive e turni insostenibili per donne con figli minori; lotta, lo ricordiamo, in atto dal 2019 in cui le lavoratrici furono invitate dai Confederali ad andarsene se non avessero accettato i “vantaggi” degli accordi da loro firmati.

Per la prima volta nel settore della sanità privata in una RSA a Calendasco (PC) le O.SS. sono state protagoniste di una lotta insieme al Si.cobas contro umiliazioni e sottoinquadramento e all’indomani della pandemia hanno ottenuto risarcimenti e miglioramenti salariali, sperimentando per la prima volta una solidarietà intercategoriale con operai di altri settori.

Alla SDA di Bergamo, Jaqueline torna dalla maternità e non trova più il suo posto di lavoro, ma una richiesta di risarcimento danni da parte dell’azienda e il demansionamento: scatta immediatamente lo sciopero in quattro sedi del colosso della logistica che fa marcia indietro con la coda tra le gambe…

Ricordiamo anche la lotta alla DHL non ancora conclusa, di cui una lavoratrice ha dato ampio riscontro al comitato, contro pesanti richieste di flessibilità su orari di entrata/uscita e sulla durata del turno, con enormi difficoltà a raggiungere il posto di lavoro e un rientro a casa che spesso slitta alle 9 di sera!

Il senso per noi di ricordare questi esempi è quello di dire alle donne oppresse e sfruttate dal lavoro e dal non lavoro che in assenza di un’azione diretta delle donne, seppure non in contrapposizione ai maschi e nell’unità di classe, non ci potrà essere difesa di tutti i loro diritti!

Umiliati e meritevoli

“Evviva l’umiliazione che è un fattore fondamentale nella crescita e nella costruzione della personalità”. Di tutto si può accusare il ministro della scuola Valditara tranne che di essere stato insincero.

Mai come in questi ultimi anni è risultato evidente come il mondo scolastico si sia distaccato dalla realtà.

La dimensione virtuale è diventata il mondo degli adolescenti. Il capovolgimento è avvenuto: un ragazzo di oggi percepisce la propria dimensione virtuale come più vera, più foriera di opportunità sociali di quella reale.

È necessario pertanto che la scuola intervenga sulla socialità degli adolescenti. Basta con i computer! È ora di guardarsi negli occhi, parlarsi, discutere. È necessario farlo per mettere a fuoco e combattere la propaganda bellicista e razzista che tutte le istituzioni – nessuna esclusa! – vanno diffondendo con zelo ed efficacia da alcuni anni.

Ancora: basta con l’alternanza scuola-lavoro! Dopo i tragici eventi dell’ultimo anno, non possiamo più accettare che la scuola trasformi in carne da macello degli adolescenti di quindici anni.

Negli ambienti scolastici – specialmente quelli di indirizzo professionale, dove risulta più esplicita la messa in atto delle dinamiche machiste tipiche del mondo aziendale– le ragazze sono spesso vittime della “goliardia” – che sarebbe meglio definire violenza! – da parte dei ragazzi e dei professori di sesso maschile. Una violenza che è rivolta non solo alle ragazze ma anche a tutti i ragazzi che non si conformano agli stereotipi e che anche quando si esprime solo a parole può causare gravi danni: non è un caso che siano sempre di più i giovani che ammettono di soffrire di attacchi di panico e che si affidano alle cure di uno psicoterapeuta. La competitività del sistema scolastico passa anche da qui: per emergere nel mondo del lavoro, bisogna essere di bella presenza, zelanti nel portare a termine il compito, remissive.

Ma sono anche molte le studentesse che mostrano di non accettare il sistema patriarcale di cui anche la scuola è portavoce. Proprio le studentesse sono quelle più consapevoli e partecipi alle manifestazioni di dissenso contro una società che premia i valori maschili schiacciando le donne e ciò che esse rappresentano. Il sistema di reclutamento dei lavoratori della scuola (insegnanti, personale amministrativo, collaboratori scolastici) è deplorevole ed è stato chiaramente studiato per creare una competizione al ribasso fra i lavoratori.  Una scuola basata sul classismo, la competitività e il merito è di certo una scuola che umilia gli studenti (e anche i lavoratori della scuola, soprattutto i precari). Aprite gli occhi: questa scuola esiste già!

La salute, un bene non negoziabile

In ogni settore che riguarda la cura delle persone anziane, malate, disabili, con sofferenza psichica, le donne sono la maggioranza della forza lavoro e si sono trovate in prima linea nei mesi cruciali della pandemia. Sono loro che hanno svolto i lavori essenziali sopportando carichi di lavoro disumani, che si sono assommati alle carenze spaventose sul piano della sicurezza e della tutela della loro stessa salute. Su di loro si sono scaricati i costi umani e lavorativi dell’emergenza. La manovra economica proposta dal governo prevede ulteriori tagli in un settore già massacrato da anni di privatizzazioni, che hanno trasformato le strutture della sanità pubblica in aziende che debbono produrre profitti. Il clima ricattatorio e repressivo che già è realtà in tanti luoghi di lavoro, e la smobilitazione dei sindacati confederalirendono difficile la partecipazione alle lotte degli operatori sanitari che si stanno estendendo dall’Australia allo Zambia, dal Regno Unito al Canada. Ogni singola lotta viene additata come una minaccia all’unità nazionale. In questo quadro, l’ultima delle preoccupazioni del governo è quella di garantire la salute riproduttiva (e non) delle donne, come dimostrano la carenza dei consultori, presidi fondamentali per l’autodeterminazione delle donne e per un approccio collettivo e informato ai giovani alla propria vita sessuale. Il dilagare dell’obiezione di coscienza che risospinge le donne verso l’aborto clandestino, la privatizzazione delle cure per la sterilità, la mancata prevenzione delle malattie oncologiche così diffuse tra le donne sono solo alcuni aspetti di una battaglia che le donne devono condurre in prima persona, all’interno di un movimento generale per riaffermare il diritto alla salute che va garantita con la prevenzione e con la lotta contro un sistema sociale malato che ci avvelena l’esistenza quotidiana!

Questi aspetti dell’attacco politico generale contro l’insieme della classe lavoratrice non possono più essere trascurati o esclusi dagli obiettivi e dalle lotte, siano esse settoriali o politiche generali. Un attacco che corrisponde ad una lucida visione di un ordine sociale che, a partire dalle donne, punta a compattare le classi nell’accettazione patriottica della disciplina, dei sacrifici e dello sfruttamento, in questa fase di crisi capitalistica economica, ambientale e ormai anche militare sempre più dispiegata. La nostra risposta non può che essere la battaglia unitaria di tutte e tutti gli sfruttati e gli oppressi, che sia consapevole di tutti gli aspetti dell’oppressione, sappia combattere tutte le prevaricazioni, sappia spezzare tutte le catene!

Comitato 23 settembre

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