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[MEDIORIENTE] Fine predominio americano nel Golfo. Competizione tra Usa, Cina, Ue e stati arabi per energia, F-35, 5G e Neom

Riceviamo e pubblichiamo questo contributo, che propone la lettura di alcune schede riguardanti la trasformazione in corso dei rapporti di potenza in Medio Oriente e nel Golfo, schede tradotte in particolare da German Foreign Policy ed Asia Times.

LA FINE DEL PREDOMINIO AMERICANO NEL GOLFO

Fonte: German Foreign Policy, 21/11 e 22/12 del 2022 – Traduzione a cura di: G. L.

Gli Stati Uniti hanno si sono concentrati sullo scontro di potenza con la Cina e, in questo contesto, hanno da tempo avviato un graduale ritiro dal Medio Oriente – prima Barack Obama con il “Pivot to Asia” (novembre 2011), poi Donald Trump con la decisione di ritirare le truppe americane dall’Afghanistan e dall’Iraq, che Joe Biden ha attuato, per l’Afghanistan (agosto 2021), e per la gran parte in Iraq (dicembre 2021).

Il nuovo ordine nel Golfo, reso possibile dal vuoto lasciato dagli Usa, sarà determinato dagli paesi del Golfo e dalle potenze esterne che intendono affermare la loro influenza nella regione”, tra queste Russia, Cina e Turchia.

L’Iran è riuscito negli ultimi anni ad affermarsi come maggiore potenza del Golfo.

È riuscito a tenere in scacco l’Arabia Saudita con le sue tattiche di logoramento in Yemen, con una serie di attacchi alle sue installazioni – impianti petroliferi sulla terraferma e navi in acque internazionali.

Grazie ad una stretta collaborazione con Kuwait, Oman e Qatar ha impedito una
convergenza tra i paesi del Golfo.

L’Iran ha consolidato l’alleanza con le milizie sciite in Iraq, gli Hezbollah libanesi, gli Huthi yemeniti e il presidente siriano Bashar al Assad, uscendo rafforzato dai conflitti lotte di potere degli ultimi anni.

Sta cercando l’appoggio di paesi non occidentali.

Ha scelto la Russia come principale alleato militare in Siria, e la Cina come maggiore partner economico, scelta più o meno imposta dalle sanzioni statunitensi che vietano alle imprese europee di fare affari con Teheran.

Il progetto geopolitico cinese della ‘Nuova Via della Seta’, che attraversa la regione via terra e via mare, offre una visione coerente del futuro.

Teheran sta sistematicamente espandendo la sua cooperazione con Pechino.

Nel marzo 2021 ha siglato un “partenariato strategico” che riguarda la costruzione di porti, linee ferroviarie e altre infrastrutture, investimenti nell’industria del petrolio e del gas e il trasferimento di tecnologie militari, e anche piani per la creazione di una banca iraniano-cinese per contrastare le sanzioni statunitensi contro l’Iran.

Diversi paesi arabi della regione, come gli Emirati Arabi Uniti, hanno cercato di compensare la perdita di influenza della potenza protettrice Usa cooperando con Israele (“Accordo di Abraham”), mandando al contempo chiari segnali all’Iran che preferiscono un accordo ad un conflitto.

Da quando gli Stati Uniti producono sempre più petrolio e gas naturale attraverso il fracking, la Cina è diventata il principale cliente di materie prime della penisola arabica.

Xi Jinping intende rafforzare le relazioni con l’Arabia Saudita, la quale – superando la Russia – è divenuta il maggior fornitore di petrolio della Cina.

Quest’ultima è il maggior partner commerciale dell’Arabia.

Nel 2021 il loro interscambio è aumentato del 30%, giungendo a 87 md$.

La scorsa settimana XI Jinping ha partecipato a due vertici regionali.

Il primo vertice con i rappresentanti del Consiglio della Cooperazione del Golfo.
Xi è stato dimostrativamente accolto in pompa magna a Riad, diversamente da Biden ricevuto a luglio dal principe della corona Bin Salman senza particolare enfasi.

Sarebbero in corso trattative per gli acquisti di petrolio in yuan; Huawei il gigante cinese delle Tlc, intende rafforzare la propria influenza nella penisola araba.

Huawei installerà in Arabia la Tecnologia Cloud; è prevista una cooperazione per lo sviluppo dell’Intelligenza Artificiale.

Cina e Arabia Saudita hanno siglato una serie di dichiarazioni di intenti per commercio e investimenti per 30 md$.

In particolare, si prevede l’integrazione tra il Piano di Sviluppo Visione 2030 dell’Arabia con la cinese Belt and Road Initiative.

Xi si è detto favorevole a cooperare per la sicurezza e a creare “un comune sistema di sicurezza”.

Da tempo in Europa si parla di un sistema comune di sicurezza che comprenda sia i paesi arabi del Golfo che l’Iran, senza peraltro alcun sviluppo.

La Cina sarebbe in posizione migliore, avendo buone relazioni con i paesi arabi del Golfo e con l’Iran.

Il secondo vertice a cui partecipato Xi è stato con 14 paesi arabi e con l’Autorità per
l’autonomia palestinese.

Oltre ad una serie di accordi di cooperazione, è stato siglato un documento riguardante “Il rafforzamento della alleanza strategica sino-araba per la pace e lo sviluppo”.


Gli Emirati hanno partecipato alla produzione e alla commercializzazione del vaccino Covid 19 di Sinopharm; continuano ad avvalersi della tecnologia 5G di Huawei nonostante le pressioni contrarie degli Stati Uniti che hanno minacciato di interrompere la fornitura di caccia F-35.

Anche l’Arabia Saudita utilizza la tecnologia 5G dell’azienda cinese per il suo megaprogetto Neom.

Nessuno dei paesi arabi del Golfo intende ridurre seriamente la cooperazione con
Washington, ma Abu Dhabi e Riyadh puntano parallelamente su un’intensa collaborazione con Pechino.

La perdita di influenza degli Usa nel Golfo indebolisce, secondo German Marshall Fund la posizione della Germania in Medio Oriente.

I think tank europei Ecfr (Consiglio Europeo per le Relazioni Estere), Baks (Accademia Federale tedesca per la politica di Sicurezza spingono da tempo affinché
Germania e UE si diano da fare per non perdere ancora più influenza in Medio Oriente, con proposte politiche ed economiche.

A loro avviso si apre per la UE un’opportunità storica, se la coglie può fungere da
contrappeso all’influenza cinese nella regione.

Finora però né Germania né Ue hanno avanzato proposte significative.

Al contrario, la Germania avrebbe indebolito ulteriormente la propria
posizione con la recente campagna contro il Qatar, in occasione della Coppa del mondo.


IL SUCCESSO DEL VERTICE SINO-ARABO DI XI A RIAD

FA SALIRE LA TEMPERATURA IN IRAN

Fonte: Asia Times, 14/12/2022 – Traduzione a cura di: G. L.

Durante il loro vertice di venerdì 9 dicembre 2022, Xi e i leader arabi hanno concordato di impegnarsi affinché il programma nucleare iraniano sia usato in modo pacifico e che gli Emirati Arabi Uniti, membri del CCG, risolvano negozialmente a loro disputa territoriale con l’Iran – sulle isole strategiche di Abu Musa e Greater and Lesser tunbs nello Stretto di Hormuz, prese dall’Iran nel 1971, prima degli sceiccati del Golfo divenissero indipendenti dalla gran Bretagna e costituissero gli EAU.

Teheran ha sempre definite non negoziabile la propria sovranità su queste tre isole.

Il giorno seguente al vertice tra Xi e i leader arabi, il portavoce del ministero degli Esteri iraniano, Nasser Kanaani, ha dichiarato all’ambasciatore cinese, Hu Chang, che l’Iran considera “qualsiasi rivendicazione di queste isole un fattore destabilizzante e un’interferenza nei suoi affari interni e nel suo territorio, e la condanna con forza”.

La disputa diplomatica dimostra quanto sia difficile per la Cina destreggiarsi nella geopolitica della regione e nelle rivalità radicate, mentre cerca di estendere la sua influenza in Medio Oriente.

La pubblica disapprovazione dell’Iran non comprometterà però i suoi legami con la Cina, che è anche il suo più importante partner economico; l’Iran ha pochi altri alleati oltre Russia e Siria.

L’Arabia Saudita è il primo maggior fornitore di petrolio della Cina, con il 18% delle sue importazioni complessive (dati dogane cinesi, Scmp, 14 dic. ’22).

L’Iran ha venduto petrolio a basso costo per competere con il greggio saudita e russo, ma rappresenta solo una porzione molto inferiore piccola delle importazioni di petrolio alla Cina, che considera la disponibilità di energia come un elemento centrale della sua strategia di sicurezza nazionale.

Le grandi reti infrastrutturali, come il Corridoio economico Cina-Pakistan, garantiscono un trasporto più rapido ed economico dal Golfo alla Cina.

A sua volta, la Cina non vuole alienarsi l’Iran, sempre considerata come potenza asiatica e media potenza globale, che potrebbe esserle un utile partner, se non fosse per la sua instabilità.

La Cina cerca di creare un equilibrio nella regione, ma deve tenere conto degli interessi fondamentali di ciascun Paese.


L’ARABIA SAUDITA STA VOLGENDOSI VERSO LA CINA

CON UN GRANDE PERNO OLEOSO

Fonte: Asia Times, 14/12/2022 – Traduzione a cura di: G. L.

La decisione dell’Arabia Saudita ad ottobre di promuovere la riduzione di due milioni di barili al giorno le quote di produzione dell’OPEC+, e la propria produzione di oltre 500.000 barili al giorno (decisione in parte chiaramente politicamente motivata, un tentativo di dimostrare il potere e l’indipendenza dei sauditi nonostante la loro dichiarazione di aver preso la decisione sulla base dei propri interessi economici e non per sostenere la Russia nella sua guerra contro l’Ucraina), seguita dalla dura risposta degli Stati Uniti, è solo l’esempio più recente
della deriva delle relazioni tra Arabia Saudita e Stati Uniti.

Una disputa che rischia di aprire alla Cina uno spazio per espandere la propria influenza politica nella regione a scapito degli Stati Uniti e dei suoi alleati.

A dicembre 2022, il presidente Xi Jinping ha visitato Riyadh per il primo vertice Cina – Stati Arabi, un vertice con il Consiglio di cooperazione Cina-Golfo e incontri bilaterali con i sauditi.

Nel breve periodo, però, la Cina non può sostituirsi agli Stati Uniti, dati i forti legami di sicurezza tra i Paesi del CCG e gli Stati Uniti, nonché i legami della Cina con l’Iran e la sua riluttanza a fungere da garante della sicurezza della regione.

Gli Stati Uniti sono preoccupati per la concorrenza con la Cina.

L’espansione della cooperazione cinese con la regione complica la collaborazione per la sicurezza degli Stati Uniti e rischia di esacerbare le dispute tra Stati Uniti e Arabia Saudita.

Dal punto di vista economico, l’Arabia Saudita e gli altri paesi del Golfo guardano da anni ad est.

Nel 2021 circa il 78% delle esportazioni di greggio saudita è stato destinato all’Asia, come pure quasi tutte le esportazioni di greggio kuwaitiano ed emiratino (Statistical Review of World Energy della Bp); nel 2021, un quarto delle esportazioni di greggio saudita e il 12% delle esportazioni di Gnl del Qatar sono andati in Cina, che rappresenta una quota parte sempre più importante di questo mercato.

Circa il 50% del petrolio importato dalla Cina proviene dal Medio Oriente; l’Arabia Saudita è il suo maggior fornitore, assieme all’Iraq.

Viceversa, le esportazioni di greggio saudita verso gli Stati Uniti sono in calo dal 2012 – con circa il 5% del greggio saudita nel 2021.

La crescita della produzione di petrolio e gas di scisto negli Stati Uniti ha indotto alcuni esponenti americani a parlare di indipendenza energetica e di minore interesse degli Stati Uniti per la regione.

Le preoccupazioni degli arabi riguardo all’interesse Usa sono rafforzate dall’accordo nucleare del 2015 con l’Iran, il “Pivot to Asia” di Barack Obama e la mancata risposta aggressiva di Donald Trump agli attacchi iraniani alle infrastrutture petrolifere saudite.

Sta crescendo la cooperazione Cina – paesi del Golfo in materia di sicurezza.

Le esportazioni cinesi di armamenti nella regione sono notevolmente aumentate, come pure gli sforzi cinesi per lo sviluppo di industrie militari nella regione.

Secondo la stampa, l’Arabia Saudita potrebbe ora produrre missili balistici con l’assistenza cinese.

Le forze militari saudite e cinesi hanno tenuto esercitazioni congiunte in entrambi i Paesi.

Dato che gli alleati degli Usa, tra cui Giappone e Corea del Sud, dipendono ancora
dall’energia della regione, le riduzioni delle forniture o le impennate dei prezzi influenzano gli interessi degli Stati Uniti.

È probabile che la regione diventi ancora più importante nei prossimi decenni.

Anche se la produzione globale diminuisce a causa della rapida decarbonizzazione, la quota di petrolio globale prodotta nel Golfo Persico è destinata ad aumentare.


IN MEDIO ORIENTE STA DELINEANDOSI UNA SPECIE DI PAX SINICA

Fonte: Asia Times, 15/12/2022 – Traduzione a cura di: G. L.

La Cina ha sottoscritto assieme all’Arabia Saudita e ad altri membri del Consiglio di
Cooperazione del Golfo (CCG) una dichiarazione congiunta del 9 dicembre che qualifica l’Iran come sostenitore di organizzazioni terroristiche regionali.

La dichiarazione esorta i partecipanti “ad affrontare il dossier nucleare iraniano e le attività regionali destabilizzanti, ad intervenire contro il sostegno ai gruppi terroristici e settari e alle organizzazioni armate illegali, a impedire la proliferazione di missili balistici e droni, a garantire la sicurezza della navigazione internazionale e delle installazioni petrolifere, ad aderire alle risoluzioni delle Nazioni Unite e alla legittimità internazionale”.

In essa si dichiara inoltre “che Taiwan è parte integrante del territorio cinese, si respinge la “indipendenza” di Taiwan in tutte le sue forme, si sostiene la posizione cinese sul dossier di Hong Kong e si appoggiano gli sforzi della Repubblica Popolare Cinese per mantenere la sicurezza nazionale e sviluppare e perfezionare la democrazia a Hong Kong nel quadro di un Paese, due sistemi”.

Da parte sua, la Cina appoggia la rivendicazione degli Emirati Arabi Uniti su tre isole
occupate dall’Iran ma rivendicate dagli Emirati Arabi Uniti.

La dichiarazione congiunta con il CCG non indica che la Cina sia la nuova grande potenza nella regione.

Ma dimostra che essa non può agire come potenza economica globale senza esercitare un’influenza strategica.

Un portavoce del ministero degli Esteri cinese ha dichiarato il 12 dicembre: “I Paesi del CCG e l’Iran sono tutti amici della Cina e né le relazioni Cina-CCG né quelle Cina-Iran sono indirizzate contro terzi.

La Cina sostiene i Paesi del CCG nel migliorare le relazioni con l’Iran sulla base del principio di amicizia di buon vicinato, nel condurre una cooperazione
vantaggiosa per tutti con l’Iran e nel promuovere congiuntamente lo sviluppo e la stabilità nel Golfo Persico.

La Cina è disposta a continuare a svolgere un ruolo costruttivo in questo
senso”.

Dopo il ritiro disordinato dell’America dall’Afghanistan e lo stabilirsi di un regime jihadista a Kabul, la Cina non può ignorare le minacce per le sue forniture di petrolio dal Golfo Persico e i rischi per la sua Belt and Road Initiative.

In quanto maggiore investitore internazionale in Ucraina, prima nazione ad aderire alla Belt and Road Initiative, la Cina considera la guerra in Ucraina come un fallimento della politica russa e come il risultato dell’arroganza occidentale.

A Pechino non piace la prospettiva di un riavvicinamento russo-iraniano che potrebbe dare a Teheran l’accesso ad armi più sofisticate, compresa la tecnologia nucleare.

A novembre, Xi Jinping ha colto l’occasione della visita del cancelliere tedesco Olaf Scholz a Pechino per ammonire Putin contro la minaccia di ricorso alle armi nucleari.

Due mesi prima, Xi aveva messo in guardia Putin dalle interferenze in Kazakistan.

Nel 2014, l’allora presidente americano Barack Obama denunciò il fatto che la Cina fosse un “free rider” nel Golfo Persico, lasciando sostenere agli Stati Uniti il costo di una flotta di alto mare a protezione delle proprie forniture di petrolio.

L’accusa era fondata: sebbene la Cina abbia aumentato drasticamente la sua spesa militare, ha solo una piccola base nella regione, a Gibuti, con soli 200 marinai, (secondo l’ultima valutazione del Pentagono sulla capacità militare cinese).

Ha solo circa 14.000 soldati delle forze speciali, rispetto ai 75.000 dell’America, e solo 40.000 marines, mentre l’America ne ha oltre 200.000, comprese le riserve.

La sua capacità di spedizione è piccola, sufficiente per condurre operazioni di salvataggio dei cittadini cinesi, non per intervenire come ha fatto l’America.

Sebbene la Cina stia costruendo una marina da guerra, in passato ha rifiutato l’invito a pattugliare il Golfo Persico.

In occasione di un seminario privato del 2015 a Pechino organizzato, da una fondazione israeliana, uno stratega cinese descrisse nel dettaglio le vendite di armi della Cina all’Iran e all’Arabia Saudita, in particolare i missili a raggio intermedio, l’arma più devastante a disposizione di entrambe le parti.

L’Iran acquistava più missili, ma l’Arabia Saudita aveva accesso a quelli più avanzati, perché la Cina cercava di mantenere l’equilibrio di potere.

Da allora però sono cambiate molte cose.

L’auto-isolamento dell’Iran gli ha impedito di accedere ai mercati petroliferi mondiali e le sue importazioni dalla Cina sono scese da 1,5 miliardi di dollari al mese nel 2016 a soli 500 milioni di dollari nel 2022.

Viceversa, le importazioni dell’Arabia Saudita dalla Cina sono aumentate da circa lo stesso livello di 1,5 miliardi di dollari al mese nel 2016 a 3,5 miliardi di dollari al mese oggi.

Mentre le relazioni economiche Cina-Iran si sono atrofizzate, sono aumentati i legami con la Turchia, rivale di lunga data dell’Iran per l’influenza in Asia centrale.

Le esportazioni cinesi verso la Turchia sono balzate a 3,5 miliardi di dollari al mese in ottobre, da appena 1,5 miliardi di dollari prima dell’epidemia di Covid.

Intanto, la Turchia ha quasi triplicato le sue esportazioni verso la Russia.

Sebbene la Cina eviti di violare apertamente le sanzioni americane contro la Russia, il sostegno economico dato alla Turchia sostiene indirettamente anche l’economia russa.

Il successo del soft-power cinese nella regione si estende a Israele, le cui importazioni dalla Cina sono quasi raddoppiate dopo l’epidemia di Covid – almeno secondo le statistiche ufficiali cinesi.

Per vari motivi, le relazioni tra Israele e la Turchia sono migliorate.

Ad ottobre è stato re-inviato un ambasciatore turco a Gerusalemme, ritirato quando l’amministrazione Trump aveva riconosciuto Gerusalemme come capitale di Israele.

In precedenza la Turchia aveva ripreso le relazioni con gli Emirati Arabi Uniti, incolpati da Erdogan del tentativo di colpo di Stato del 2016 contro il suo governo.

Gli EAU sono un importante investitore in Turchia, insieme alla Cina.

Il gigante cinese delle telecomunicazioni Huawei sta costruendo sistemi a banda larga sia per gli Emirati Arabi Uniti che per la Turchia.

Il mercato azionario turco ha raddoppiato il suo valore in dollari nel corso del 2022, la migliore performance di tutti i principali mercati azionari del mondo.

Non è una Pax Sinica nel senso della Pax Britannica del XIX secolo o della Pax Americana del XX secolo, fondata su un “fronte di guerra esteso”*.

Il dispiegamento militare della Cina consiste in un duecento marines a Gibuti.

Nondimeno, il soft power cinese sta ridisegnando il Medio Oriente e Pechino non vuole che regimi guastafeste come Teheran rovinino la festa.

La sua diplomazia è cauta, prudente e poco fantasiosa, ma sempre attenta alle minacce ai suoi interessi a lungo termine.