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[ITALIA] Perché il “decreto Ong” del governo Meloni, è un attacco di classe contro chi fugge da guerre e povertà

PERCHE’ IL “DECRETO ONG” DEL GOVERNO MELONI

E’ UN ATTACCO DI CLASSE CONTRO CHI FUGGE DA GUERRE E POVERTA’

La Camera dei deputati ha appena approvato a larghissima maggioranza il DL n. 1/2023 (cosiddetto “decreto- Ong”) col quale vengono ulteriormente inasprite le già stringenti e repressive misure previste dal Decreto Lamorgese del 2020 in tema di sbarchi e soccorso in mare. Il testo di legge passa ora al Senato, laddove il governo punta ad un’approvazione definitiva in tempa quanto mai rapidi.

Il governo Meloni nella figura del ministro Piantedosi ha indicato i nuovi parametri entro cui le migrazioni via mare potranno essere considerate legittime o illegali. Non c’era da sorprendersi, considerato che ci troviamo di fronte ad uno dei governi più reazionari della storia della repubblica, che ha dichiarato guerra agli immigrati per mezzo di una propaganda di criminalizzazione nei confronti di chiunque provi a esercitare qualsiasi forma di solidarietà antirazzista, da quella più umanitaria a quella più classista e internazionalista.

Dopo un braccio di ferro con il governo francese giocato lo scorso novembre sulla pelle degli emigranti della Ocean Viking, il governo italiano ha indecentemente giocato a rimpiattino sul tema della spartizione degli immigrati tra le nazioni del centro e nord Europa (non senza prostrarsi alle esigenze del mercato del lavoro): si tratta di nient’altro che un alibi per giustificare il respingimento delle migliaia di profughi che dopo violente traversate in mare dovranno fare i conti con la brutalità e il razzismo istituzionale ancor prima di toccare (se vi riusciranno) la terra ferma.

Le Ong, da quest’anno, con un decreto in continuità coi precedenti pacchetti sicurezza anti-immigrazione (da quello Minniti-orlando ai decreti Salvini) dovranno attenersi a un nuovo codice di condotta per quanto riguarda i salvataggi nel Mediterraneo. Un codice di condotta fondato sui cosiddetti “sbarchi selettivi”, cioè una vera e propria “roulette russa” su chi può approdare nel primo porto sicuro, e chi invece sarà costretto a proseguire il calvario nelle acque del Mediterraneo fin quando non troverà un paese ed un porto disponibile allo sbarco… Inoltre, viene stravolta la legge internazionale che indica il porto più vicino e più sicuro quale primo approdò, con molte navi dirottate in porti lontani centinaia di chilometri (ad esempio Ancona, Ravenna e La Spezia). Queste misure sono funzionali unicamente a limitare i salvataggi in mare, rendendoli più difficili e onerosi; ma soprattutto allungano considerevolmente i tempi delle operazioni, in modo da “diradare” il numero dei soccorsi da parte ci ciascuna Ong. Queste ultime, che fino a ieri erano considerate uno strumento di primo soccorso umanitario e di solidarietà, oggi vengono poste di fronte a un bivio: o accettare di trasformarsi in uno strumento di “selezione” dei migranti al servizio del governo Meloni e delle sue logiche razziste, laddove solo le imbarcazioni segnalate dalla guardia costiera nazionale saranno autorizzate a continuare la traversata, oppure andare incontro a pesanti sanzioni pecuniarie e amministrative.

Il nuovo codice di condotta, di preciso, andrà a regolamentare le operazioni nel mediterraneo attraverso l’affidamento di tutti i poteri alle autorità marittime. Saranno queste ad indicare alle ong quali azioni svolgere in maniera prioritaria, mentre queste ultime saranno costrette a richiedere nell’immediato l’assegnazione di un porto italiano, dove dovranno attraccare in tempi rigidamente concordati coi prefetti senza tardare di un giorno lo sbarco, neanche qualora dovessero imbattersi in una seconda missione di salvataggio non concordata con le autorità. Inoltre le ong non potranno effettuare trasbordi qualora le navi impiegate non siano sufficientemente attrezzate per il numero di emigranti in cerca di soccorso, e dovranno categoricamente allontanarsi dalla zona sar (zona di ricerca e salvataggio), dunque, con il divieto di effettuare operazioni di ricerca di imbarcazioni che potrebbero trovarsi anch’esse in pericolo, qualora invece ci fossero ancora posti sulle navi umanitarie.

L’intento di questo decreto, viene propagandato dal governo essere una “disposizione urgente per la gestione dei flussi migratori”, atta a distinguere il ruolo delle ong dalle attività dei trafficanti di immigrati clandestini. Non a caso negli ultimi mesi abbiamo assistito a una propaganda di regime dove le ong sono state accusate di favorire il traffico di esseri umani, raggirando la guardia costiera libica e violando gli accordi tra il governo libico e quello italiano. Su questo aspetto, le ong hanno denunciato che il nuovo decreto punta ad allontanare le organizzazioni umanitarie dall’area di controllo della guardia costiera libica per nascondere agli occhi dell’occidente quello che accade ai prigionieri nei centri di detenzione in Libia. Non possiamo dimenticare che poco prima dell’emanazione del nuovo decreto anti-immigrati, il memorandum Italia-Libia è stato rinnovato, a dimostrazione del fatto che anche questo governo preferisce finanziare e armare le autorità libiche che permettono il traffico di esseri umani, approfittando della disperazione dei proletari immigrati costretti a pagare ingenti cifre per affidarsi agli scafisti o a pagare con la loro stessa vita nel tentativo di sfuggire all’inferno della fame, della guerra e della repressione. Così come non può sfuggire che proprio a fine gennaio la premier si è fiondata a Tripoli accompagnata dai ministri Tajani e Piantedosi e dall’Ad di ENI Claudio Descalzi per siglare un accordo col governo libico per la produzione di gas destinato ai mercati europei: un affare del valore di 8 miliardi di dollari, finalizzato a sostituire almeno in parte il fabbisogno di gas che finora era stato fornito dal “nemico” russo… Piuttosto che investire in forme di sostegno al salario indiretto e facilitare le richieste di asilo per regolarizzare quelle migliaia di immigrati che ci si limita a definire clandestini, l’Italia e il resto dei governi UE preferiscono svolgere il ruolo di complici degli aguzzini dei lager libici… Come evidenziato da Riccardo Gatti di Medici senza Frontiere, l’isteria securitaria delle “democrazie europee” serve non solo ad alimentare la divisione tra proletari autoctoni e immigrati da capitalizzare in chiave elettorale, ma anche e soprattutto a nascondere dagli occhi “indiscreti” delle ONG la vera e propria mattanza dei morti in mare: dal 2014 ad oggi si contano almeno 24 mila vite sepolte nelle acque del Mediterraneo… Che questi clandestini scappino dalle catene della schiavitù dei centri di detenzione libici, non è un affare che interessa il governo, tanto più che proprio dalla disperazione e dalle condizioni di miseria e povertà dei proletari che scappano dalle barbarie, potrà instancabilmente trarre quella forza lavoro da regalare a costo zero ai padroni e alle multinazionali del made in Italy, nei settori della logistica, del tessile e delle campagne.

Un altro aspetto, tra i più repressivi e autoritari del nuovo codice di condotta è che gli operatori della ong saranno costretti a gestire un censimento sull’imbarcazione e a improvvisarsi in autorità competenti, al fine di obbligare gli emigranti a fornire le generalità e a esprimere la volontà di richiedere la protezione internazionale presso la nazione battente bandiera della nave. Ciò si traduce nella disposizione di impedire la richiesta di protezione internazionale in Italia, l’eventuale ottenimento di un regolare documento con cui richiedere una residenza sul territorio per almeno due anni, o avere accesso al sistema di accoglienza, pena il rischio di un rimpatrio forzato nel paese di origine, da cui uomini e donne erano scappati nella ricerca disperata di condizioni materiali migliori.

Insomma, quelli che anche i predecessori “di sinistra” di Fratelli d’Italia hanno sempre considerato “le risorse”, cioè gli immigrati con il diritto ad essere rifugiati, adesso devono sbarcare altrove se vogliono entrare nel mondo del lavoro “regolare”. Il mercato italiano, invece, di immigrati ne ha già tanti da spremere con lavoro nero, interinale e sfruttato, e con la crescente eliminazione del reddito di cittadinanza per i disoccupati autoctoni, la manodopera a basso costo potrà essere rintracciata in quella fetta di proletari ricattati dalla perdita del già misero sussidio di Stato. Un piano funzionale ancora una volta a difendere gli interessi dei padroni, nel quadro di un più generale attacco alla classe proletaria di ogni nazione.

Se le norme del decreto non verranno rigorosamente rispettate, i prefetti potranno sanzionare le ong per multe dai 50mila euro fino alla confisca delle navi. La nostra condanna e denuncia dell’opera di criminalizzazione dei soccorsi in mare, non è mossa da una mera solidarietà alle istituzioni non governative che si muovono secondo i parametri del diritto costituzionale (borghese) europeo, ma in quanto parte di un attacco alle migliaia di profughi proletari, costretti a scappare dalle guerre di spartizione e di saccheggio delle risorse e dalle conseguenti condizioni di miseria generate dai colonialisti occidentali che hanno sempre fatto del sud del mondo la propria miniera d’oro, oltre che il proprio terreno di scontro imperialista.

La forza della classe lavoratrice, in particolare quella che dopo aver già subito nel proprio cortile di casa le politiche di oppressione e di rapina nel proprio paese, è testimoniata da un decennio da quei lavoratori che, organizzandosi nel SI Cobas, hanno riconquistato i diritti sul lavoro con gli scioperi e i picchetti. Qualsiasi complicità con gli attacchi di matrice razzista e fascista quali quelli portati avanti dal governo Meloni, è un attacco contro le lotte in cui emerge l’unità dei lavoratori proletari senza distinzione alcuna di nazionalità, di etnia, di sesso o di orientamento religioso. In quest’ottica le vertenze sindacali diventano una vera e propria “palestra” della lotta di classe non solo sotto l’aspetto economico, ma anche da un punto di vista politico generale: è quella lotta che già i governi precedenti non avevano esitato a criminalizzare. La retorica degli immigrati di serie A e di serie B, quella dell’insostenibilità degli sbarchi e di una fantomatica invasione di immigrati clandestini, non potrà fermare le migrazioni imposte dal sistema capitalistico, ma ne accentuerà la repressione da parte degli stati e delle loro istituzioni.

L’ecatombe di profughi, non certo una novità di oggi, deve gridare vendetta a partire da una critica radicale a tutto l’apparato legislativo italiano che dalle leggi Turco-Napolitano e Bossi-Fini passando per i più recenti pacchetti sicurezza, continua ad opprimere i proletari e le proletarie del sud del mondo in un sistema istituzionale fondato sul ricatto burocratico e sulla segregazione razziale attraverso il ricatto dei “requisiti” richiesti dalle istituzioni borghesi. Requisiti di fatto irrilevanti quando si tratta di sfruttare un esercito di riserva ed estrarre plusvalore dallo sfruttamento nei magazzini e nelle campagne a condizioni disumane.

Oggi, la retorica dell’”interesse nazionale” muove dalla necessità di allargare le spese militari sottraendo risorse alla sanità pubblica, al trasporto pubblico locale, all’istruzione, alle pensioni e agli ammortizzatori sociali, per finanziare la corsa al riarmo tanto caldeggiata dalla Nato a seguito del conflitto imperialista che Russia e Stati Uniti-UE stanno scatenando in Ucraina. A fronte di questa prospettiva, e dell’acuirsi di una crisi capitalistica che ricade sui proletari attraverso il caro vita e l’ulteriore precarizzazione del lavoro, sempre più sfruttato e sotto ricatto, smascherare il lavoro di divisione nelle fila proletarie svolto dalla propaganda razzista istituzionale significa innanzitutto lottare per l’apertura incondizionata dei porti sicuri per tutti i proletari, rigettando il processo di militarizzazione del Mediterraneo, e contrapponendo alle guerre imperialiste la costruzione di nuovi ponti per l’internazionalismo proletario.

È su queste basi e per queste rivendicazioni che il SI Cobas sarà in piazza il prossimo 25 febbraio, a Milano e in diverse altre città, contro la guerra, l’economia di guerra e le misure antiproletarie e razziste che su scala internazionale accompagnano l’intensificarsi della crisi capitalistica e dello scontro tra potenze.

“Una delle prime condizioni della sua emancipazione [del proletariato] è l’azione unita [..]. Lo sfruttamento di una nazione da parte di un’altra viene abolito nella stessa misura che viene abolito lo sfruttamento di un individuo da parte di un altro. Con l’antagonismo delle classi all’interno delle nazioni scompare la posizione di reciproca ostilità fra le nazioni”. (K. Marx)

S.I. Cobas