PER LA COSTRUZIONE DI UNA MOBILITAZIONE UNITARIA
CONTRO LA GUERRA IMPERIALISTA
IL SI COBAS CO-PROMUOVE L’ASSEMBLEA PUBBLICA
DELL’11 GIUGNO A MILANO
È ormai trascorso un anno e mezzo dall’inizio delle ostilità in Ucraina: una guerra senza esclusione di colpi, apparentemente confinata in un solo stato ma che in realtà rappresenta solo il principale teatro di uno scontro a tutto campo tra l’imperialismo del “blocco-Nato” (USA e UE) da un lato e Russia-Cina dall’altro.
In questi mesi abbiamo più volte denunciato come la guerra tenda a diventare ogni giorno di più un elemento distintivo e costitutivo dell’attuale epoca capitalista, attraversata da una crisi simultanea e “multifattoriale”: una crisi non solo economica ma anche sociale, ambientale, sanitaria, energetica e alimentare.
I fatti di queste ultime settimane confermano che la crisi ucraina, per quanto a piccoli passi, tende sempre più verso un escalation bellica e uno scontro aperto tra le grandi e medie potenze: uno scenario dalle conseguenze tanto imprevedibili quanto potenzialmente incalcolabili.
Il nostro sindacato, che ha tra i suoi principi costitutivi i l’anticapitalismo e l’internazionalismo proletario, ha fin dal primo momento denunciato questa guerra come pienamente imperialista, condannando senza mezzi termini come criminale e antioperaia l’invasione di Putin , ma senza con ciò chiudere gli occhi di fronte alle gravi responsabilità della Nato, alla sequela interminabile di provocazioni e mattanze operate dai governi borghesi ucraini a danno delle popolazioni russofone del Donbass e al chiaro disegno espansionista dell’imperialismo occidentale nell’est Europa, finalizzato al saccheggio delle risorse e della manodopera ucraina a uso e consumo del capitale europeo e americano.
In quest’ottica, l’Italia ha fin dal primo momento svolto un ruolo attivo nel fronte interventista anti-russo, prima con Draghi e ora col governo Meloni: un attivismo tutt’altro che “servile agli USA e all’UE”, bensì frutto del ruolo e delle ambizioni imperialiste nazionali del “Belpaese”, la quale è tuttora l’ottava potenza capitalistica mondiale, attiva in ben 42 missioni militari all’estero con più di 10 mila soldati dislocati in giro per il mondo.
La scelta manifestata in queste settimane dal governo Meloni di rifornire Zelensky con un invio massiccio di caccia F-16 e con militari sul campo col ruolo di “addestratori” dell’aviazione ucraina, segna un ulteriore salto di qualità nel coinvolgimento diretto dell’Italia e della gran parte dei governi occidentali sul campo di battaglia.
Questa escalation bellica ha una duplice, nefasta conseguenza per i lavoratori e i proletari di ogni paese, ucraini così come russi o italiani: da un lato alimenta morti e distruzione senza fine, dall’altro spinge sempre più verso un economia di guerra, fatta di tagli al salario e alla spesa sociale in nome della corsa agli armamenti e, quindi, ai profitti delle lobbies delle armi.
Il risultato è tangibile sotto ai nostri occhi: mentre i prezzi dei beni di prima necessità continuano ad impegnarsi, i salari sono fermi al palo da anni, e si tagliano i servizi sociali (su tutti il reddito di cittadinanza) per mandare le armi a Kiev.
In questi mesi la mobilitazioni contro la guerra sono state del tutto insufficienti per far fronte alla gravità della situazione sopra descritta: lo stesso movimento “pacifista” appare sempre più in ostaggio, da un lato del sostegno “democratico” all’invio di armi a una presunta “resistenza Ucraina”, dall’altro del campismo filorusso travestito da “antimperialismo”.
Per questo, è sempre più necessario affermare con forza l’opposizione di classe a questa guerra, fuori e contro ogni complicità con ambedue le bande di predoni che si stanno contendendo il sangue e le spoglie della popolazione e dei proletari ucraini.
Lo abbiamo fatto negli scioperi e nelle manifestazioni di questi mesi, su tutti il corteo nazionale dello scorso 3 dicembre a Roma, che hanno visto in piazza migliaia di lavoratori uniti nello slogan “pace tra gli oppressi, guerra agli oppressori”, nel sostegno a tutte quelle iniziative contro la guerra in una prospettiva internazionalista, non ultimo il convegno promosso a Roma lo scorso 16 ottobre da diversi gruppi e realtà politiche, gran parte delle quali da sempre solidali con le nostre lotte sindacali.
Ed è con questo spirito e con questo impegno che la nostra organizzazione intende co-promuovere un’assemblea pubblica per il prossimo 11 giugno a Milano, assieme a queste stesse realtà politiche e sociali e a chiunque sia disponibile a porsi coerentemente sul terreno dell’opposizione operaia e proletaria alla guerra dei padroni, all’economia di guerra e ai governi della guerra, e per il rilancio immediato di un’iniziativa antimilitarista e internazionalista che parta dal protagonismo e dalla mobilitazione di chi paga quotidianamente sulla propria pelle le conseguenze della guerra: lavoratori, disoccupati e proletari immigrati.
Siamo convinti che il NO alla guerra debba tradursi in tempi brevi in un calendario di lotta che abbia al centro un vero sciopero generale contro le politiche reazionarie, antioperaie e guerrafondaie del governo Meloni, che auspichiamo di mettere in campo assieme alle forze più avanzate del sindacalismo di base entro la prima metà del mese di luglio.
DOMENICA 11 GIUGNO, ore 10,30
ASSEMBLEA NAZIONALE A MILANO
Auditorium Teresa Sarti Strada, via Ca’ Granda, 19
SI Cobas nazionale
RILANCIARE L’INIZIATIVA DI CLASSE E INTERNAZIONALISTA
CONTRO LA GUERRA IMPERIALISTA IN UCRAINA
ASSEMBLEA NAZIONALE
11 GIUGNO A MILANO
A più di un anno dall’invasione russa dell’Ucraina, alcuni dati di fatto appaiono incontestabili:
1. Lungi dall’avviarsi a finire, o anche solo a fermarsi con una provvisoria tregua, la guerra in atto tra NATO e Russia nel territorio ucraino conosce una continua escalation dagli esiti imprevedibili. Sono in particolare gli Stati Uniti, il Regno Unito e la Polonia a spingere furiosamente perché il massacro prosegua e si allarghi “fino all’ultimo ucraino”. La decisione della Corte penale internazionale dell’Aia di incriminare Putin e la fornitura a Kiev di armi sempre più offensive e letali – da ultimo caccia bombardieri e proiettili all’uranio impoverito – non lasciano alcun dubbio a riguardo. All’Ucraina di Zelensky è stato dato l’ordine di impegnare sul campo e provocare la Russia fino al totale esaurimento delle proprie forze, fino all’auto-distruzione.
2. L’avvio della “operazione militare speciale” da parte della Russia di Putin non è stato un folle gesto di disperazione, mauna decisione ponderata strategicamente da parte del governo russo per perseguire gli interessi della propria borghesia e dei propri monopoli, portando la competizione con gli Stati Uniti, l’UE e i loro alleati per il controllo di risorse, infrastrutture e tratte commerciali, mercati e territori strategici, anche sul terreno militare. E nel terribile bagno di sangue di questa nuova guerra avanza in modo ormai esplicito la rivendicazione, da parte di Mosca e non solo, di “un nuovo ordine mondiale multipolare”. La decisione di invadere l’Ucraina, infatti, è stata presa dal governo russo sapendo di avere dietro di sé, accanto a sé, o almeno in posizione non ostile, oltre il “partner strategico” Cina, una serie di potenze regionali che, se non esprimono aperta ostilità nei confronti del blocco imperialista euro-atlantico, quanto meno non riconoscono nel mondo “unipolare” a guida statunitense l’unico orizzonte possibile per l’affermazione degli interessi delle proprie borghesie.
3. Lo scoppio della guerra aperta tra NATO e Russia in Ucraina sta provocando una rapida dislocazione di forze tra i blocchi imperialisti e dentro di essi. Gli Stati Uniti hanno profittato della mossa della Russia per infliggere all’UE, e in specie alla Germania, colpi durissimi sia quanto agli approvvigionamenti energetici, che nella costruzione degli assi commerciali con la Cina. Ciò ha provocato un brusco freno alle spinte all’“autonomizzazione” dagli Stati Uniti dell’UE e dei singoli paesi membri. Ma la recente sortita di Macron dimostra che ai vertici dell’UE, non solo a Parigi, c’è comunque l’intenzione di proteggere in qualche modo i propri interessi dai brutali ricatti della vecchia super-potenza. Importanti cambiamenti in politica estera stanno riguardando anche l’Arabia Saudita, la Turchia, l’Egitto, l’intero Medio Oriente, e sono legati alla intensa tessitura di fili economici e diplomatici che Pechino sta mettendo in atto a scala globale, attraverso i rapporti bilaterali, i Brics, l’Organizzazione di Shanghai per la cooperazione, la nuova Via della Seta, etc. Un quadro di estrema confusione nel quale tutte le grandi e le medie potenze si muovono per guadagnare in proprio “spazio vitale” e risorse, e allontanare da sé, scaricandolo sui concorrenti, il rischio di una violenta esplosione degli antagonismi di classe.
4. I contendenti di questa nuova guerra al centro dell’Europa, lungi dal mettere in scena una guerra asettica e “intelligente” combattuta solo ed esclusivamente da soldati robot e droni, stanno utilizzandotutti gli armamenti tecnologicamente più avanzati e le innovazioni disponibili in campo militare in un conflitto bellico sanguinosissimo, combattuto sul campo (come le “vecchie” guerre) da centinaia di migliaia di soldati, con una terribile distruzione di vite umane, ambientale e di mezzi meccanici, dando così una pallida idea di quale apocalittica catastrofe potrebbe essere, per l’umanità e la natura, una nuova guerra mondiale in pieno ventunesimo secolo.
5. Lo scontro bellico in atto in Ucraina appare sempre più – come abbiamo sostenuto da subito – il primo passo in questa direzione, un punto di svolta epocale. Dopo un ventennio di eventi traumatici, questa guerra indica dove si sta dirigendo il capitalismo globale per cercare di risolvere quella che appare sempre più come una sua crisi storica; una crisi che anche sul piano economico-finanziario non accenna a rallentare, come evidenziato dai recenti crack bancari negli USA e in Europa, e dalle conseguenze economiche della pandemia che hanno intaccato in particolare le catene di approvvigionamento dei paesi occidentali. È partita una frenetica corsa mondiale al riarmo con giganteschi piani di spese militari, dalla Germania alla Cina, dal Giappone all’Australia. Il commissario europeo all’industria Breton non l’ha mandata a dire: “L’industria della difesa dell’Unione europea deve passare ad un modello da economia di guerra”, indicando la priorità immediata nel produrre rapidamente i milioni di proiettili di artiglieria che servono all’esercito ucraino. Manovre che preludono a nuovi scontri bellici anche a scadenza relativamente ravvicinata sono in atto nei Balcani, nell’Africa occidentale, intorno a Taiwan. Nessuno può sapere, neppure i capi delle grandi potenze, i tempi di precipitazione di questo processo globale. Ma la direzione di marcia è data. Il vecchio ordine mondiale a stelle e strisce, che Washington e Wall Street avrebbero preteso di rendere eterno, è finito. Il passaggio ad un nuovo ordine mondiale “multipolare” non sarà in alcun modo pacifico ed indolore. Chi lo va raccontando esprime una posizione opposta agli interessi del proletariato e delle masse oppresse di tutto il globo: un mondo “multipolare”, costituito strutturalmente da campi imperialisti in accesa e costante competizione tra loro, produrrà una tendenza alla guerra sempre più acuta, e un peggioramento globale delle condizioni di vita e di lavoro della classe lavoratrice.
6. La guerra in Ucraina è una guerra contro i proletari ucraini e i proletari russi spinti, obbligata massacrarsi a vicenda per gli interessi dei propri sfruttatori e, nel caso degli ucraini, anche per gli interessi delle alleanze e istituzioni imperialiste – NATO, UE, FMI – a cui risponde il governo di Kiev. È, al tempo stesso, una guerra con pesanti ricadute anche sui lavoratori dei paesi che, per ora, non hanno proprie truppe massicciamente sul campo. Noi non siamo affatto indifferenti al desiderio di gran parte delle popolazioni del Donbass colpite dalla pulizia etnica di Kiev di unirsi alla Federazione Russa, né al rifiuto delle popolazioni di gran parte dell’Ucraina di accettare la subordinazione ad una Russia che non ha nulla a che fare con l’URSS, e con la storia di fratellanza dei popoli e delle nazionalità che vivevano entro quei confini. Ma in questa guerra le loro aspirazioni non hanno alcun ruolo, in quanto sono soggiogate da un lato al progetto del blocco di potere putiniano di ricostituire la “grande Russia millenaria” dei secoli passati, e dall’altro agli interessi di sfruttamento e di dominio del blocco USA-NATO-UE, che li stanno forzando a combattere e a morire per loro, e non certo per sé stessi.
7. Come già è avvenuto in passato, le guerre del capitale funzionano da inesorabile spartiacque tra l’opportunismo – che maschera più o meno bene lo sciovinismo e il nazionalismo – e la linea rivoluzionaria di classe, internazionalista. L’acquisizione, a livello internazionale, di questa consapevolezza è necessaria affinché il proletariato possa tornare protagonista sulla scena della lotta di classe. La recente accensione di imponenti movimenti di scioperi e manifestazioni sindacali in Francia, Gran Bretagna e Grecia sono segnali di risveglio molto significativi, allo stato attuale decisamente insufficienti a fermare la marcia verso una nuova guerra mondiale, ma a cui guardare con ottimismo. Perché nella loro diversità e complessità sono il prodotto dell’insuperabile inconciliabilità tra gli interessi di profitto del capitale e il benessere del proletariato e delle classi non sfruttatrici, e dimostrano che anche in Europa esistono le premesse per una nuova avanzata del movimento operaio nel XXI secolo.
8. L’Italia, l’imperialismo italiano, ben rappresentato nelle sue varie articolazioni e frazioni dalle coesistenti declinazioni date da Mattarella e dalla Meloni, è parte integrante e attiva di questo processo di scontro inter-capitalistico mondiale. Nonostante le frizioni interne alla sua maggioranza, il governo delle destre sta contribuendo a portare avanti i piani bellicisti di Nato e UE con meno ipocrisia di Draghi&Co., e a montare una campagna anti-russa e anti-cinese dai toni accesamente sciovinisti. La dinamica guerra-propaganda di guerra-economia di guerra – con il rilancio delle spese militari e dell’invio di armi all’Ucraina per tutto il 2023 – va sempre più di pari passo con l’intensificazione dell’attacco anti-proletario sul “fronte interno”. Lo vediamo nelle decisioni di politica economica, nell’illimitata aggressività dei padroni sui luoghi di lavoro e nel mercato del lavoro, nelle manovre propagandistiche in favore della piccola-borghesia, nei crimini di stato contro gli emigranti e gli immigrati, nell’intervento onnipresente delle forze di polizia ovunque ci siano veri conflitti sindacali e sociali, nelle sentenze “esemplari” contro militanti anarchici, nel seguito di affondi revisionistici sul piano storico, nell’oscena riproposizione di un’ideologia e di un modello di “famiglia tradizionale” radicalmente ostile alle donne. La “normalità” dello sfruttamento capitalistico, il tentativo di compattare attorno agli “interessi nazionali” il consenso più ampio possibile, sono come sempre facilmente trasponibili, in caso di escalation militare, in un livello di guerra interna, di costruzione del nemico interno atta a mantenere e rafforzare le politiche classiste nel contesto della guerra imperialista.
Cambiano gli esecutivi, cambia la composizione dei parlamenti, ma il nostro nemico è sempre qui, in “casa nostra”: è il capitalismo imperialista italiano, che in questo momento ha il volto del governo Meloni, l’apparato statale al servizio della classe borghese. In questo quadro l’Italia resta nel pugno di paesi che sfruttano e opprimono le classi lavoratrici del mondo intero, con la borghesia italiana che sgomita per ottenere migliori posizioni nella contesa inter-capitalistica facendo leva sulle alleanze imperialiste di cui fa parte. In particolare, il primo esecutivo del dopoguerra a guida esplicitamente post-missina ha già dismesso i toni “anti-establishment” e anti-UE con cui aveva abilmente capitalizzato il malcontento di strati sociali intermedi e di piccola borghesia in campagna elettorale, dimostrandosi immediatamente pronto ad operare al meglio per gli interessi della grande borghesia e dei mercati finanziari.
L’attacco frontale al reddito di cittadinanza e il netto rifiuto verso ogni ipotesi di introduzione di un salario minimo – rivendicati dalla premier persino sul palco del congresso CGIL – rappresentano misure in cui coesiste la capacità di rispondere su un piano propagandistico agli appetiti della piccola borghesia parassitaria e la funzionalità molto più concreta di perpetuare quella spirale verso il basso dei salari che da decenni contraddistingue il mercato del lavoro italiano. Il governo è pronto a difendere con decisione quella realtà fatta di frammentazione contrattuale, precarietà, veri e propri contratti-pirata, lavoro nero ed evasione fiscale e contributiva “sistemica” di cui hanno beneficiato tutti i livelli di impresa, e per primi i grandi monopoli. A questo si affianca il fitto ed inestricabile sottobosco di appalti e subappalti, utili come bacino di reclutamento di manodopera di “serie C”, con salari ampiamente al di sotto della soglia di sussistenza e, non a caso, composta in prevalenza da quegli immigrati a cui il governo ha dichiarato guerra senza quartiere, da un lato accrescendone le morti in mare, dall’altro rendendo quasi impossibile il riconoscimento del permesso di soggiorno e della cittadinanza a chi arriva in Italia.
In questo quadro si inseriscono le due principali riforme che il governo ha messo in agenda e verso cui già sta marciando a passi spediti: da un lato la riforma fiscale, tesa ad affermare la regressivitá delle imposte secondo il modello della flat-tax ,”più hai, meno paghi” e viceversa; dall’altro l’autonomia differenziata, già messa nero su bianco in questi giorni col DL Calderoli, la quale porterà al definitivo smantellamento del Sistema sanitario nazionale, condannando gran parte delle aree del Sud Italia a forme estreme di degrado sociale e al ricatto delle gabbie salariali. Dunque, questi primi sei mesi di governo Meloni – in modo simile a quanto abbiamo potuto osservare con i governi di destra di Trump, Bolsonaro e Orban -dimostrano come la retorica “sovranista” sia nient’altro che una maschera dietro la quale il sostegno agli interessi padronali assume anche la forma del liberismo più sfrenato e selvaggio.
9. Ad oltre un anno dall’invasione dell’Ucraina dobbiamo constatare che non esiste al momento, né in Italia né in Europa, un vero movimento di massa contro la guerra. Le iniziative pacifiste sono state in larga parte connotate da un orientamento pro-Ucraina, e quindi oggettivamente pro-Nato. Non hanno quasi mai preso in seria considerazione, e tanto meno denunciato, le manovre di lungo periodo del blocco USA-NATO-UE nei Balcani, nell’Europa dell’Est e, specificamente, in Ucraina, lo spostamento delle forze NATO di 1.000 km ad Est. Una pace che non sia infame come la guerra in corso, una pace giusta tra i popoli dell’Ucraina e della Russia, per quanto sia oggi lontana, potrà essere il frutto solo ed esclusivamente di una ritrovata fraternità di classe tra i proletari di Ucraina e di Russia, la fraternità che in passato c’è stata grazie alla rivoluzione di Ottobre e alla comune lotta al nazifascismo. Il passaggio obbligato in questa direzione non è certo la “vittoria dell’Ucraina”, cioè la vittoria della Nato, bensì la sconfitta di entrambi i fronti imperialisti a scontro. Il che significa, per quanti sono in Italia e nell’Unione Europea, lavorare senza tregua per la disfatta del “nostro” governo, dell’UE, della NATO. È questo il migliore contributo che possiamo dare ai lavoratori ucraini e russi perché si liberino quanto prima dall’incubo della prosecuzione della guerra per anni e anni.
10. In assenza di un vero movimento di massa contro la guerra con connotati di classe sia in Italia che a livello internazionale, esercitano una certa influenza, tanto in Italia che a scala internazionale, le posizioni che individuano nella Russia e nella Cina presunte funzioni “anti-imperialiste”, o quelle addirittura disposte a fare integralmente proprio il piano propagandistico con cui vengono presentate da quegli stessi paesi – entrambi in una fase di sviluppo capitalistico maturo – le rispettive scelte di politica internazionale, ed in questo frangente anche le giustificazioni di parte russa sulla guerra. Nelle ultime settimane la proposta “di pace” presentata dal governo cinese ha sintetizzato in modo efficace la faccia con cui la Cina vuole presentarsi a livello mondiale, delineando come vantaggiosa “per tutti” la prospettiva di un passaggio dal mondo unipolare dominato da Stati Uniti e loro alleati, ad un mondo multipolare nel quale tutto ritornerebbe magicamente in equilibrio, con l’apertura di una lunga era di pace e co-prosperità generale. Chi sostiene intenzionalmente queste posizioni e la propaganda con cui le classi capitalistiche di Russia e Cina si armano per combattere lo scontro a tutto campo per la spartizione del mercato mondiale, svolge una funzione reazionaria di inganno delle masse, spingendole a parteggiare per un nuovo ordine mondiale non dissimile nella sua sostanza da quello precedente, in quanto sempre e comunque capitalistico, fondato cioè sulla divisione in classi esistente oggi in tutto il mondo (Russia e Cina perfettamente incluse) e sullo sfruttamento e l’oppressione degli operai, dei salariati, dei contadini poveri, dei semi-proletari, da parte dei capitalisti proprietari, in forma individuale, collettiva o statale, dei mezzi e delle condizioni della produzione e della riproduzione sociale. Combattere politicamente la propaganda che favorisce l’illusione di un mondo multipolare pacifico (e favorevole ai lavoratori) è compito immediato delle forze rivoluzionarie e internazionaliste. Sottolineiamo ancora una volta che i proletari, gli sfruttati, i popoli, non hanno alcun interesse a schierarsi con uno o l’altro tra gli imperialisti, con una o un’altra alleanza che serve gli interessi dei capitalisti. In entrambi i casi, non si tratta di aspetti secondari rispetto a quanto si è finora mosso nel variegato mondo pacifista, ma di aspetti centrali nel processo di costruzione di un movimento che lotti realmente contro la guerra imperialista, poiché sono in grado di determinare l’efficacia o l’inconcludenza del movimento stesso.
Per quel che ci riguarda, attraverso un periodo di approfondito confronto, le nostre organizzazioni sono arrivate a promuovere insieme il convegno di Roma del 16 ottobre nel quale abbiamo chiarito e denunciato la natura imperialista della guerra in Ucraina, ed espresso la necessità di costruire un’opposizione di massa, di classe, internazionalista alla guerra – per una battaglia strategica totalmente slegata da ogni interesse che i diversi pezzi di borghesia nazionale e internazionale hanno dentro l’attuale quadro globale. Il cammino che abbiamo compiuto dal convegno del 16 ottobre alla manifestazione del 3 dicembre a Roma, nella quale abbiamo marciato insieme in uno spezzone di classe unitario al fianco dei lavoratori del SI Cobas nel corteo del sindacalismo di base e conflittuale, e poi alle giornate del 24-25 febbraio, ha rafforzato la necessità di un lavoro comune contro la guerra, contro il governo Meloni, contro la NATO e l’UE. La constatazione che, nonostante un anno di incessante bombardamento bellicista, permane a livello di massa un sentimento contrario alla guerra, ha rafforzato in noi la determinazione a portare tra i lavoratori, i disoccupati, gli studenti, il punto di vista di classe sulla guerra in Ucraina, sulla tendenza ad una nuova guerra mondiale, sulla crisi del sistema.
È venuto il momento di rilanciare con forza l’iniziativa contro la guerra in Ucraina e la tendenza ad un nuovo massacro mondiale, facendo l’impossibile per uscire dal ghetto in cui vogliono rinchiuderci. Non c’è nulla di più attuale e necessario dell’internazionalismo del “proletari di tutti i paesi unitevi” contro un sistema sociale capitalistico che non ha più nulla da dare di “progressivo” alla specie umana, e si caratterizza per una crescente distruttività. Siamo coscienti che l’affermazione di questa prospettiva classista, rivoluzionaria, internazionalista potrà avvenire solo attraverso una serie di prove molto ardue: siamo decisi ad affrontarle. I recenti fatti di Francia, Gran Bretagna, Grecia – solo per restare agli ultimi mesi e alla sola Europa – mostrano che sotto una superficie sociale in apparenza immobile si sono accumulate immense sostanze infiammabili per l’interminabile serie di sacrifici materiali, insicurezze, sofferenze interiori che le classi proprietarie impongono da decenni alle lavoratrici e ai lavoratori, con un carico da novanta in più per le nuove generazioni.
Il primo maggio sarà un importante banco di prova dell’accumulazione di forze lungo questa traiettoria. Ma guardiamo oltre. Perciò abbiamo deciso di convocare l’11 giugno a Milano un’assemblea nazionale per chiamare a raccolta tutti gli organismi sociali, politici, sindacali, nonché i singoli e le singole militanti disposti a battersi insieme a noi per rilanciare l’iniziativa di classe, internazionalista contro la guerra imperialista, e farla vivere consapevolmente nel contesto delle mobilitazioni dei prossimi mesi.
18 aprile,
Fronte comunista
Fronte della gioventù comunista
Laboratorio politico Iskra
Tendenza internazionalista rivoluzionaria