Riceviamo e pubblichiamo questo contributo dai compagni della redazione Il Pungolo Rosso, già disponibile sul loro sito (vedi qui):
La lotta alla DHL:
sindacalisti schierati con i padroni,
lavoratori della CGIL che si rifiutano di spezzare il picchetto
Negli scioperi indetti nei giorni scorsi dal SI Cobas ai magazzini DHL di Settala, Liscate, Livraga, Corteleona, Piacenza contro un’internalizzazione a perdere decisa dalla multinazionale tedesca, sono emersi due fatti politici – che riguardano, cioè, l’intera classe lavoratrice – da mettere in rilievo.
Anzitutto l’aperta, provocatoria contrapposizione di CGIL-CISL-UIL agli scioperi in atto e alle rivendicazioni dei lavoratori, con una volgarità da Santanché-Briatore. Verificate qui sotto se per caso esageriamo:
Merita sottolineare due passaggi: “Parlano e scrivono [si riferiscono al SI Cobas] di problemi sulla malattia, su straordinari, tickets a 8 euro (perché non a 9, 10, 11, 12?), livelli a pioggia fuori dalla logica e dal CCNL… Tutta roba pesante per chi non ha voglia di lavorare”. I lavoratori in sciopero, e sciopero massiccio, quindi, sono quelli che “non hanno voglia di lavorare”: il vile stereotipo del padrone-sanguisuga rivomitato da dirigenti sindacali privi di ogni pudore. Come se la tutela in caso di malattia, la regolamentazione degli straordinari, un ticket mensa adeguato e incrementato per via dell’inflazione, livelli definiti in base all’anzianità e non all’arbitrio padronale, fossero cosette da poco, per le quali non val la pena battersi.
“Anche l’operaio vuole il figlio dottore…”, menava scandalo così la signora contessa in una famosa canzone degli anni del ‘68, per deridere gli operai in lotta. Ora a scandalizzarsi davanti agli scioperi sono invece dei funzionari sindacali – uno dei prototipi della gente che “non ha voglia di lavorare”, figure ormai parassitarie, veri e propri mantenuti dalla classe lavoratrice, sempre più lontani e separati dai proletari comuni (specie se immigrati), e – per converso – intrecciati con il prosperare del capitale. Lo vedete anche dal vanto che fanno dell’aver “concordato con DHL un contributo sostanziale dell’azienda a coloro (tra le migliaia di operatori di magazzino) che aderiscono alla previdenza complementare”. Si gonfiano il petto per questa impresa: operatori sindacali o agenti dei fondi pensione privati?
Lasciamo ai volantini del SI Cobas illustrare i singoli punti rivendicativi della lotta in corso contro DHL, per sottolineare un altro aspetto politico di rilievo, “eclatante” – e perché no? – come l’ha definito il compagno Umberto Nicosia in un suo commento, “uno di quegli atti che ridanno dignità a tutti i lavoratori”. E’ avvenuto lunedì scorso ai cancelli della DHL di Settala: “la presa di posizione dei lavoratori/lavoratrici (per lo più iscritti alla CGIL) che si sono rifiutati di varcare i cancelli a testa bassa, contravvenendo agli ordini impartiti dalla DHL con il vergognoso e immancabile supporto dei burocrati CGIL, non ha dato al padrone i frutti sperati e neanche alle forze dell’ “ordine”, vanificando di fatto il loro intervento forzoso. La posizione che ha portato questa mattina le colleghe e i colleghi, compagni prevalentemente iscritti alla CGIL, a non obbedire nel commettere un atto di crumiraggio supportati da un corridoio protetto da poliziotti per forzare il picchetto dei loro compagni del SI Cobas, è stato un atto di coraggio che chiede di essere riconosciuto!”.
Infatti, infatti.
Né l’una cosa (schieramento incondizionato dei sindacati confederali con il padrone “danneggiato” dagli scioperi), né l’altra (rifiuto dei lavoratori iscritti ai sindacati confederali di fare i crumiri) sono delle prime in assoluto. Ma il segnale interessante è la loro concomitanza. I loro “dirigenti” attaccano a testa bassa, con violenza, lo sciopero, chi lo fa, chi lo organizza; i lavoratori comuni iscritti si rifiutano di spezzarlo, nonostante la pressione ricattatoria del padrone e dei “servi del padrone” (è troppo schematico definirli così? Allora trovate voi un’altra definizione adeguata). Un passo dopo l’altro il muro costruito dal binomio mercato-stato tra proletari immigrati e proletari autoctoni sta cedendo; cederà anche il muro tra i proletari organizzati nel sindacalismo combattivo e i proletari che ancora seguono i sindacati confederali. Ne siamo certi come se l’avessimo già visto. L’ulteriore statizzazione e incanaglimento dei burocrati confederali avvicina questo momento. Purché la lotta continui. E purché chi è in lotta non cessi mai di rivolgersi a chi è ancora fermo.