Riceviamo e pubblichiamo questo contributo dei compagni della redazione Il Pungolo Rosso, già disponibile sul loro sito (vedi qui):
Chi finanzierà la finanziaria?
Falsari professionali
Entro il 31 dicembre il governo approverà la Legge Finanziaria per il 2025. Le anticipazioni hanno riempito le cronache con promesse e buffonerie à la Salvini che sono state largamente disattese. Intanto abbiamo scoperto le attitudini filo-proletarie del ministro Giorgetti in virtù delle quali egli dichiara di sapere dove stanno i soldi e a chi bisogna chiederli. Le sue prime esternazioni – l’intervista a Bloomberg – hanno fatto davvero temere che si fosse convertito al bolscevismo, ma le smentite alla sua volontà di tassare qualche patrimonio, un po’ di case e qualche rendita sono arrivate a stretto giro. Contro l’ipotesi di tassare le abitazioni che hanno usufruito della ristrutturazione col bonus al 110% si è levata la voce tonante di Angelo Bonelli. Lo sciagurato verde-sinistro non ne azzecca una: dopo aver dichiarato tutto il suo disgusto – come il nostro per lui – per la libertà di manifestare per la Palestina, unendosi al trio Piantedosi-Nordio-Crosetto, si è spinto in un impetuoso intervento alla Camera in difesa dei beneficiari del superbonus ristrutturazioni che, a detta dello stesso Giorgetti, sono per gran parte ville e villini “… di chi i sacrifici li può fare”.
Tornando al merito, bisogna dire che il consiglio dei ministri di mercoledì 16 ha varato il Documento programmatico di bilancio, una anteprima della finanziaria vera e propria e lo ha fatto con un netto anticipo rispetto al previsto per poter rispettare i tempi della Commissione Europea. Lo zelo è dovuto soprattutto al rischio di essere messi sotto procedura d’infrazione per eccesso di debito pubblico: l’Italia ancora non riesce a diminuirlo e nemmeno ad alzare il Pil ed il famoso rapporto debito/Pil anche nel ’25 sarà del 3,3% – superiore a quanto chiedono gli accordi europei (3%) – e solo nel ’26 l’Italia arriverà al 2,8%. Il Documento (Dpb) si presenta essenzialmente come una serie di garanzie e di impegni a raggiungere gli standard europei.
Quello che per noi è di maggior interesse è l’indirizzo politico generale del governo e da quanto leggiamo le misure adottate rappresentano solo un’accentuazione di quanto già fatto per il 2024 e le promesse dei giorni precedenti si mostrano del tutto propagandistiche. Il debito pubblico in costante aumento rende necessario l’inasprimento delle misure già adottate e alcune di esse si basano sul ricorso al metodo del tutto simile a quello della “partita di giro” in uso nella contabilità finanziaria degli enti pubblici. E non ci si meravigli per questa estensione: non c’è atto più politico di una finanziaria dato che essa dichiara in moneta contante il programma di vessazione e di dominio della borghesia rispetto a tutte le altre classi.
Prendiamo ad esempio la riduzione del canone Rai da 90 a 70 euro deciso dalla finanziaria scorsa. La misura ha comportato una minore entrata per il bilancio della Rai che però è stata compensata da un finanziamento di 430 milioni di euro erogato alla stessa Rai dallo Stato nel corso 2024. Quest’ultima cifra è stata “spalmata” sulla fiscalità generale, quindi torna ad essere pagata dai “cittadini”. Lo stesso meccanismo è stato adottato per la riduzione del cuneo fiscale, per il taglio dell’Irpef ed altri capitoli di cui parleremo in breve. Si tratta, quindi, solo di un apparente beneficio, ma è in realtà una sostanziale “presa in giro” soprattutto per i lavoratori, quelli che notoriamente pagano le tasse: pochi euro di più in busta paga, ma meno servizi, meno detrazioni e, infine, aumento dei prezzi che comporta per lo Stato maggiori entrate tramite l’Iva. Anche qui il meccanismo è astutamente propagandistico sfruttando l’erogazione del “beneficio” ad una collettività e facendone ricadere il finanziamento al livello della individualità. La collettività dei lavoratori percepirà qualche euro in più in busta paga, ma la singola persona lavoratrice o lavoratore subirà il maggior costo del carburante per andare al lavoro, pagherà l’aumento della componente energia delle bollette di fornitura acqua, luce e gas, eccetera. Più nel dettaglio, accadrà che il beneficio in busta paga crescerà per i redditi più alti e proprio per questo il governo progettava di elevare la soglia dei percettori da 35 a 40mila euro (speranza delusa!), mentre per i redditi da lavoro più bassi ci saranno aumenti ridicoli dell’ordine dei centesimi di euro. Si agirà su due voci delle trattenute sulle retribuzioni: fino a 20mila euro verranno diminuiti i contributi Inps e oltre quella soglia si farà ricorso all’aumento della “detrazione per lavoro dipendente”. Ricorrendo ad una riduzione dei soli contributi Inps si sarebbe aggravato il già disastrato bilancio dell’ente. Il costo di questa misura è stimato in 9,4 miliardi di euro e anch’essi – ripetiamo – verranno messi a carico della fiscalità generale.
Un altro segnale della riduzione dei vari benefit viene dall’esame di misure apparentemente secondarie e che nelle previsioni – ma sarebbe meglio chiamarle promesse – dovevano essere incrementate. Ad esempio la social card “dedicata a te” (che slogan fantasioso!) avrebbe richiesto un rifinanziamento che la propaganda di Meloni annunciava in 600 milioni di euro. Incremento che avrebbe dovuto compensare l’inflazione, e che invece non ci sarà: restano i 500 euro coi quali, data l’inflazione, si potrà acquistare un minor numero di merci. Assente anche l’estensione del taglio del cuneo fiscale per i redditi fino a 40mila euro che resta quello in vigore nel 2024. La riduzione dell’aliquota Irpef dal 35% al 33% – anch’essa annunciata – resta ferma al palo e condizionata alla possibilità che le partite Iva accedano in quantità notevoli al concordato preventivo, un’altra scommessa del governo che, non solo in questa circostanza, mostra la sua vocazione ai giochi d’azzardo, tutti su pelle e tasche dei proletari ma anche della piccola borghesia non sfruttatrice. Per l’altra, quella dei piccoli (e non sempre piccoli) accumulatori di capitale che campano facendo tirare le cuoia ai propri dipendenti in catene di subappalti, quella dei balneari, della corporazione dei tassisti, dei medici che lasciano il servizio sanitario pubblico perché garantiti dalla impunità per prestazioni in nero, per queste categorie di votanti nemmeno un accenno, nemmeno un contributo, neanche un “sacrificio”.
Il “sacrificio”, al contrario, lo faranno le banche – così dice Giorgetti in tv – ma è una menzogna delle più sfacciate! Si tratta semplicemente di questo: le banche contro cui tuonavano un po’ tutti (tranne Tajani) si impegnano ad anticipare – è questo il termine esatto – il pagamento delle tasse che competono loro di norma: 3,5 miliardi che saranno destinati alla Sanità. Le banche pagano le tasse – non come tutti i salariati, è ovvio, ma qualcosa devono pur dare allo Stato – e stavolta pagheranno in anticipo, né più né meno dei comuni cittadini che pagano l’acconto Irpef, l’acconto Tari ed altri acconti in misura sempre maggiore. Come farà il governo a compensare, per i prossimi tre anni, la minore entrata derivante da questa voce non si sa, ma intanto si fa cassa. Ed è così che questa banda di trucchisti si avvale di questa trovata per coprire un impegno che era difficile mantenere, quello di agganciare i fondi per la sanità al Pil, anzi di aumentarne la percentuale (dello 0,1%!) come ripetutamente promesso dallo stesso Giorgetti nell’audizione dell’8 ottobre scorso.
Senza alcuna vergogna e ad ennesima riprova delle loro falsità riportiamo dall’opera “La versione di Giorgia” la difesa della versione originaria dell’imposta sugli extra profitti definita come “…un margine ingiusto realizzato in questi mesi dagli istituti di credito”. Un altro dichiarato campione di balle è il leghista Salvini che il 7 agosto scorso annunciò che il prelievo sugli extraprofitti delle banche era una misura di equità sociale e che “Tutti gli introiti andranno a due voci: aiuto per i mutui delle prime case … e taglio delle tasse”. Sennonché il governo si è rimangiato il suo stesso decreto col quale fissava l’aliquota che avrebbe voluto riscuotere (lo 0,1% o poco più!) e in sede di conversione di quel decreto in legge quegli stessi che avevano tuonato sugli ingiusti proventi delle banche hanno proposto che “…al fine di rafforzare la struttura patrimoniale degli istituti di credito viene introdotta la facoltà di non versare l’imposta” (sic!). Con una faccia di bronzo che ha dell’inverosimile mercoledì sera in tv Salvini aveva la spudoratezza di dichiarare: “Una promessa mantenuta. Le banche hanno guadagnato 40 miliardi di euro lo scorso anno ed è un modo di fare impresa un po’ particolare, non è il modo di fare impresa di chi si alza alle sei della mattina e rischia del suo. Quindi che restituiscono ai cittadini sotto forma di sanità, di salute, di medicina, del taglio delle liste d’attesa una parte dei loro guadagni miliardari è una cosa che mi rende orgoglioso”. Ma è chiaro a tutti, perfino ai PDini, che le banche non restituiscono nulla, nemmeno cinquanta centesimi dei loro profitti ed extra-profitti; nemmeno Cottarelli, un altro mentitore professionale, se l’è sentita di avallare la versione dei due falsari e ha definito l’operazione un prestito delle banche allo Stato – prestito che, ovviamente, dovrà essere restituito (con gli interessi?).
Superbonus fiscale fino al 130% e per tre anni alle aziende che fanno nuove assunzioni, incentivi all’autoimpiego ma in settori strategici (figurarsi!), tassazione agevolata per i premi di produttività, “promessa” di stanziare le risorse per il rinnovo dei contratti pubblici e un bonus (fringe benefit, quindi in natura) per i nuovi assunti che accetteranno di trasferirsi a distanza di oltre 100 km – queste le misure per “incentivare il lavoro”.
Un altro sacrificio – e Giorgetti su questo ha fatto la voce grossa (!) – toccherà farlo ai manager di enti pubblici, fondazioni, società non quotate: non potranno guadagnare più del presidente del consiglio! Altri provvedimenti minori, tutti basati sulla stessa filosofia del mancato introito per agevolazioni fiscali compensato dallo Stato e scaricato sulla contabilità generale, fanno da contorno alla manovra che però non dimentica il potenziamento degli investimenti per la Difesa. Per questo capitolo non ci sono trucchi ma moneta fresca e dedicata ed è l’unica voce del documento che mette a segno incrementi.
Al di là delle trombonate di Salvini e delle pose della ducetta, e sedate le preoccupazioni di Giorgetti, questa manovra di bilancio del governo conferma l’aggressione al tenore di vita dei proletari e comincia ad intaccare anche tutta la piccola borghesia non sfruttatrice. I presunti “aiuti” sotto forma di bonus, carte e benefit in natura vengono rimangiati dall’inflazione e non sono mai diretti o monetizzati. Anche la “Carta per i nuovi nati” prevede 1.000 euro per far fronte alle spese iniziali del nuovo nato, e anche qui verrebbe da dire che le casse dello Stato se la cavano con poco, visto il calo della natalità. Il ricorso alla riduzione delle detrazioni fiscali, alla decontribuzione, alla esclusione di alcuni benefit dal computo dei redditi sono trucchi contabili con i quali si differisce nel tempo l’effetto inflattivo, l’aggravamento delle condizioni di vita delle classi sociali subalterne.
Per concludere: siccome avevano promesso una finanziaria no tax, i governanti hanno pensato di fare un decreto legislativo che rivedesse (hanno imparato dal ministro della cultura ad usare belle parole!) le accise, e toccherà al gas e al diesel far capire che i prezzi aumenteranno e che con loro ci sarà la inevitabile ricaduta su molte altre merci e tariffe. Ora spetterà al parlamento esaminare la manovra ed eventualmente apportare modifiche, ma data la qualità ed il nerbo dei partiti della minoranza difficile immaginare anche solo qualche “ritocco”.