Riceviamo e pubblichiamo questo contributo delle compagne del Comitato 23 settembre, già disponibile sulla loro pagina (vedi qui):
Con questo grido di denuncia migliaia di donne turche sono nuovamente scese nelle piazze contro la violenza che subiscono e l’enorme numero di femminicidi che avviene ogni anno in Turchia. L’articolo di Giovanni Sartori apparso sul sito Osservatorio Repressione (https://www.osservatoriorepressione.info/turchia-kadin…/ ) lega questa ondata di proteste e manifestazioni alle ultime donne assassinate, sei in quattro giorni, e alle trecento e più all’anno, cui vanno aggiunte altrettante morte in situazioni sospette.
L’articolo dà un ampio quadro della battaglia che le donne turche hanno ingaggiato contro l’impunità concessa agli aggressori, il sessismo diffuso, la colpevolizzazione delle donne e la delegittimazione delle loro testimonianze. Tutto ciò sta alla base del mancato contrasto alla violenza maschile, che viene denunciata come violenza di stato.
La non applicazione delle leggi di protezione e l’ideologia diffusa, che vorrebbe le donne segregate in casa a fare il numero di figli deciso dallo stato non è un fatto nuovo. Lo stesso presidente Erdogan ha “invitato” le donne a fare “almeno” quattro o cinque figli!
In continuità con la grande ondata di proteste contro l’uscita della Turchia nel 2021 dalla Convenzione di Istanbul (un trattato europeo che vincolava gli stati ad adottare misure di “contrasto” alla violenza e di protezione delle donne), questo articolo, le cui tematiche vanno ben oltre la situazione in Turchia ( la violenza sulle donne è un dato mondiale e trasversale), sottolinea la necessità, ben presente al movimento femminista turco, di unire la lotta contro il patriarcalismo alla denuncia dei governi che alimentano il clima di violenza privata contro le donne.
In Turchia come in Italia, pur nelle differenze di contesto, l’azione del governo rafforza la subordinazione delle donne a partire dal rafforzamento della gerarchia familiare. I rapporti interpersonali basati sull’idea di possesso, le leggi a difesa dei diritti dei “padri” anche se violenti o abusanti, il silenzio che circonda le violenze quotidiane fanno parte di un’azione politica generale, che serve a legittimare la violenza pubblica dello stato, a criminalizzare chi lotta o dissente e a creare la disposizione alla guerra verso altri popoli, a vantaggio del sistema sociale e della classe che ci domina.
Abbiamo più volte ribadito che la risposta non può essere affidata alle istituzioni, né all’invocazione all’uguaglianza o alla partecipazione delle donne senza privilegi alla gestione del potere e quindi all’adesione alle sue regole e scopi. In questa fase, in cui lo stato si riafferma come unico legittimo depositario dell’uso della forza e della repressione, e la usa in vari modi contro le donne, contro chi lotta per i propri diritti sociali, contro chi si oppone alle politiche governative sempre più guerrafondaie, è necessario affrontare il tema della violenza sulle donne non come un residuo del passato ma come una minaccia che intende penetrare nel profondo della società per intimidire e neutralizzare ogni tentativo di ribellione, sociale e individuale, e le organizzazioni che li sostengono. E’ a questo ampio movimento che dobbiamo fare riferimento, per unire le forze e opporsi efficacemente ai piani dello stato e del padronato!
Le donne in Turchia sono in prima fila in questa lotta, ora spetta a noi!
16 ottobre,
Comitato 23 settembre