DIVISI SIAMO NIENTE, UNITI SAREMO TUTTO!
Mentre prosegue la lotta per la nostra vertenza, l’impegno al coordinamento di tutti i comitati e realtà di disoccupati, licenziati, lavoratori sfruttati, precari continua.
Organizziamoci per un lavoro stabile e sicuro, un salario medio garantito, per la riduzione dell’orario di lavoro a parità di salario, per l’allargamento dei requisiti del reddito di cittadinanza e per un reddito dignitoso, per l’individuazione dei veri lavori necessari alla società, ai territori ed alle nostre città, per la gratuità dei servizi a tutti i proletari, perché lavoro o non lavoro dobbiamo campare!
Come Movimento di Lotta per il Lavoro – Disoccupati 7 Novembre di Napoli, insieme ai lavoratori S.I. Cobas ed i licenziati Fca, con i Disoccupati Organizzati CUB di Palermo, la Lista Disoccupati e Precari Organizzati Nord-Ovest Roma, la rete PrendoCasa di Cosenza, gli Spazi Sociali di Catania, i Movimenti di lotta per il Diritto all’Abitare di Roma, il Fronte Popolare Autorganizzato di Messina, gli Operatori Sociali Autorganizzati di Perugia ed altre realtà) dopo l’incontro a Napoli del 22 Giugno e le iniziative di queste settimane abbiamo formalizzato la richiesta al Mise per un ulteriore incontro unitario.
Riportiamo alcuni passaggi della convocazione.
“… alla luce delle numerose iniziative di protesta, assemblee, riunioni proposte per far luce sui limiti, sui vincoli e sulle molteplici restrizioni per l’accesso dei disoccupati e dei licenziati al RdC; sull’introduzione di una legge sul salario minimo orario; sui lavori di pubblica necessità; alla luce del successivo incontro verbalizzato presso la sede INPS di Napoli con una nostra rappresentanza, alla luce dell’assemblea nazionale svoltasi lo scorso 18 maggio presso il cinema “Gloria” Pomigliano d’Arco, avente ad oggetto le tematiche di cui sopra; alla luce dell’assemblea nazionale del 22 Giugno a Napoli con partecipazione da Messina, Palermo, Catania, Cosenza, Roma, Perugia e tante altre città;
CON LA PRESENTE CHIEDE
al Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, nella persona del ministro, on. Luigi di Maio, e all’Inps nella persona del Presidente Pasquale Tridico, la convocazione urgente di un tavolo nazionale per avviare un confronto sul tema dell’introduzione di una legge sul Salario Minimo Orario e del Reddito di Cittadinanza e discutere delle criticità da noi evidenziate già in sede di confronto con l’Inps e che di seguito sintetizziamo:
1. Isee: l’attuale sistema, basandosi sul reddito degli anni precedenti, tende ad escludere in partenza tutti coloro che hanno perso il lavoro nel 2018 e nel 2019. Nonostante le rassicurazioni più volte ricevute dal presidente Tridico e le ripetute dichiarazioni a mezzo stampa sull’imminente approvazione di un Decreto Ministeriale ad hoc, con cui verrebbe introdotto l’Isee Precompilato in luogo dell’Isee ordinario, allo stato attuale ancora non si è mosso nulla. Al contrario, da più parti viene ventilata l’ipotesi che tali modifiche nella migliore delle ipotesi non vedranno la luce prima di settembre;
2. stato di famiglia associato alla residenza: con l’adozione di questo sistema, vengono esclusi dall’accesso al RdC tutti coloro che a seguito del licenziamento (o di un notevole peggioramento delle condizioni salariali) si vedono costretti a lasciare anche l’abitazione e a “riparare” presso la dimora dei familiari. In questo modo viene introdotta una clamorosa (e per noi inaccettabile) discriminazione proprio nei confronti di quella fascia di disagio maggiormente colpita dalla crisi e che proprio per questo dovrebbe essere considerata maggiormente meritevole di tutela;
3. doppia penalizzazione per coloro che sono costretti a lavorare al nero: le pesanti sanzioni previste a carico sia dei datori che sfruttano manodopera al nero sia di chi presenta domanda di accesso al RdC e al contempo lavora al nero, se sulla carta si propongono di combattere il cancro dell’evasione fiscale e il fenomeno dei “furbetti”, nella realtà, così come delineate dal decreto di introduzione del RdC, da un lato “sparano nel mucchio”, colpendo indiscriminatamente anche quelle migliaia di lavoratori costretti ad operare al nero non certo per loro volontà, bensì a causa della mancanza di qualsivoglia alternativa occupazionale; dall’altro ottengono l’esito opposto ai propositi espressi (emersione del sommerso), e ciò per un motivo evidente: la cifra di 780 euro (misura massima del RdC salvo famiglie numerose compreso il contributo al fitto non sempre dimostrabile soprattutto a Sud) è del tutto insufficiente (considerando che molti hanno avuto molto meno) a garantire la sopravvivenza di un nucleo familiare, ragion per cui la gran parte di questi ultimi preferiscono (del tutto comprensibilmente) rinunciare al RdC e continuare a svolgere attività sommersa, magari sottopagata e supersfruttata ma tale da garantire il raggiungimento di un salario mensile sufficiente al soddisfacimento dei bisogni primari (che per un nucleo familiare standard è pari ad almeno 1200-1300 euro nette al mese). Per un nucleo familiare costituito da più persone la soglia di accesso e il reddito di cittadinanza che viene assegnato, aumenta moltiplicando il reddito per un parametro, che è 1 per un solo individuo, più 0,4 per ogni adulto in più e 0,2 per ogni minorenne, fino ad un massimo di 2,1, o 2,2 in presenza di un disabile nel nucleo familiare. C’è poi il limite Isee che nega l’accesso al reddito di cittadinanza quando si supera la soglia di euro 9360: questo spiega il motivo per cui la platea dei beneficiari è molto ridotta rispetto alle previsioni, cioè alla reale, e ben più ampia platea dei “poveri”. La lotta al lavoro nero passa per un’intensificazione dei controlli e un inasprimento delle sanzioni alle parti datoriali, contraenti “forti” dei rapporti di lavoro sommersi, e deve andare di passo con la tutela del contraente debole e non certo con la sua criminalizzazione: dunque da un lato con l’innalzamento degli importi del RdC tale da garantire un’esistenza dignitosa a tutti senza dover accettare il ricatto del lavoro nero, dall’altro con l’abrogazione delle norme che prevedono l’esclusione, e addirittura le sanzioni penali, a carico di questi lavoratori.
4. lavoratori immigrati: riteniamo discriminatoria la norma che vieta l’accesso al RdC per tutti quei lavoratori immigrati con regolare permesso ma privi della cittadinanza o della residenza da almeno 10 anni. Chiunque vive e ha prodotto ricchezza in Italia col suo lavoro, se licenziato o disoccupato, deve poter avere accesso al trattamento.
5. residenze di prossimità: non è un mistero che, soprattutto nelle grandi metropoli, l’aumento vertiginoso dei canoni di locazione costringe molti disoccupati, precari o lavoratori a basso salario ad occupare immobili sfitti o abbandonati, nella gran parte dei casi di proprietà pubblica. L’Art. 5 del “Piano Casa” (c.d. Renzi-Lupi) nega il riconoscimento della residenza anagrafica a chi occupa per necessità, escludendo “de facto” proprio le fasce più povere della popolazione, italiani e migranti, dal godimento pieno di diritti fondamentali (salute, istruzione, voto, iscrizione ai centri per l’impiego, ottenimento della cittadinanza). Nonostante molte amministrazioni comunali stiano provando a “tamponare”, con risultati diversi, gli effetti nefasti dell’art.5 attraverso la cosiddetta residenza di prossimità o residenza fittizia, per ripristinare pienamente l’accesso all’iscrizione anagrafica, oggi negata o condizionata, è necessario abolire una legge fortemente ideologica e marcatamente classista che aggredisce e stigmatizzai povero, producendo un’inclusione differenziale. Chiediamo l’abrogazione dell’art.5 per porre fine ad un’inaccettabile discriminazione proprio nei confronti di quella fascia di disagio maggiormente colpita dalla crisi, una vera e propria aggressione contro i cosiddetti “senza titolo o abusivi” che individualmente o collettivamente reclamano il diritto ad un alloggio dignitoso ad un costo sostenibile legato al proprio reddito.
6. introduzione del salario medio orario o di un salario medio garantito: crediamo sia urgente aprire la discussione immediata per l’individuazione di uno strumento che consenta di non poter sfruttare lavoratori al di sotto di un salario minimo orario, che rompa la concorrenza a ribasso che alzi anzi i livelli salariali, riduca gli orari di lavoro a parità di salario e faccia rispettare i contratti collettivi nazionali che lo prevedono già. Di queste ed altre problematiche vorremmo discutere, analizzando nel merito, nel dettaglio e dati alla mano quanto possiamo dimostrare. In attesa di un riscontro che ci auspichiamo positivo, informiamo che le organizzazioni firmatarie per il mese di Settembre sono promotrici di una manifestazione nazionale fuori tutte le INPS e fuori il MISE per i motivi espressi in attesa di riscontri.”
Movimento di Lotta – Disoccupati “7 Novembre”