La lotta dei lavoratori francesi è la nostra lotta!
Mentre dall’America Latina al Nordafrica al Medio Oriente assistiamo a un forte risveglio delle lotte sociali e politiche, con la formazione di fatto di fronti unici dal basso contro governi che tutti, in una forma o nell’altra, difendono gli interessi dei capitalisti, in Europa sono ancora una volta i lavoratori francesi a rompere, per la terza volta in 4 anni, un quadro complessivo di passività, con la loro forte mobilitazione contro la “riforma” delle pensioni voluta da Macron.
naU contro-riforma che intende applicare alla lettera anche in Francia l’imperativo capitalistico per l’oggi e i prossimi decenni: lavorare di più e più a lungo, per salari diretti e indiretti inferiori a quelli attuali.
Il 5 dicembre centinaia di migliaia di lavoratori hanno risposto a questo attacco con scioperi e grandi manifestazioni di strada insieme a studenti e pensionati (800 mila secondo i dati ufficiali, 1,5 milioni secondo i sindacati) in centinaia di città della Francia.
Forte e chiarissimo il loro No alla controriforma che è volta ad aumentare l’età pensionabile a 64 anni penalizzando chi va in pensione a 62 (attuale età pensionabile), e a ridurre le pensioni rispetto ai sistemi pensionistici attuali, con un sistema “a punti” analogo al contributivo imposto in Italia, e che può essere ulteriormente manipolato verso il basso.
La partecipazione alla protesta è stata la più ampia dagli anni ’90.
i sono fermati i treni e i trasporti metropolitani nell’area di Parigi, hanno scioperato con alte adesioni insegnanti e ospedalieri, ma anche lavoratori del privato.
La PSA ha addirittura messo in cassa integrazione i lavoratori per evitare che scioperassero, adducendo la mancanza di componenti.
Martedì 10 dicembre, alla vigilia della presentazione ufficiale della riforma pensionistica da parte del governo, c’è stata una nuova mobilitazione con una partecipazione inferiore (340 mila secondo il Ministero dell’Interno, 885 mila secondo i sindacati), ma comunque rilevante e più ampia anche delle mobilitazioni contro la loi travail nel 2016, o dei picchi del movimento dei gilets jaunes al suo inizio un anno fa.
La mobilitazione è stata indetta da alcuni sindacati (tra cui CGT, SUD Solidaires, FO, non la CFDT), ma l’impulso determinante è venuto da un accumulo di conflitti sindacali (le lotte degli ospedalieri e dei ferrovieri anzitutto) e sociali (le lotte dei liceali e la grande manifestazione recente contro la violenza alle donne) spesso sgraditi alle centrali sindacali maggiori.
La grande maggioranza degli scioperanti e dei manifestanti del 5 e del 10 dicembre è costituita di lavoratori non sindacalizzati: si tratta di un dato che fa riflettere, e che conferma anche nel cuore dell’Europa da un lato la tendenziale perdita di peso delle grandi centrali sindacali, in primis tra i settori della classe lavoratrice più giovani, più sfruttati e meno tutelati, dall’altro la capacità di questi ultimi di autorganizzarsi e dar vita a forme di lotta radicali che fuoriescono dai binari del sindacalismo tradizionale, sia nella versione “tradeunionista” classica (come in Francia) sia in quella apertamente “di stato” e filopadronale come nel caso di Cgil-Cisl-Uil in Italia.
Nelle giornate di lotta si sono tenute assemblee spontanee di lavoratori nelle stazioni, nei depositi di autobus, nei metro, negli ospedali, nelle scuole, anche inter-categoriali, realizzando un’unità nella lotta che supera le divisioni professionali e di settore, e le difese di tipo corporativo, ed esprime la disposizione di crescenti settori di lavoratori e di giovani per una lotta più generale che investa tutto il sistema politico e sociale capitalistico.
Il SI Cobas saluta con entusiasmo gli scioperi e le mobilitazioni dei lavoratori francesi e sente questa lotta come la propria lotta, un esempio di quanto occorre realizzare anche in Italia, dove le condizioni dei lavoratori hanno subito un pesante e continuo deterioramento: rompere la passività e tornare a battersi in massa, con determinazione, per migliori condizioni salariali, per il salario ai disoccupati, per la riduzione dell’orario di lavoro, per la difesa del welfare in materia di salute e istruzione attraverso la abrogazione delle contro-riforme degli ultimi decenni, per imporre con la lotta una reale detassazione dei salari e una vera patrimoniale sui profitti e sul grande capitale, per la parità effettiva di genere, per spazzare via ogni discriminazione ai danni dei lavoratori immigrati, per la riconquista dell’agibilità politica e sindacale sui luoghi di lavoro e nelle piazze.
La realizzazione di questa prospettiva non può contare certo sugli apparati di Cgil, Cisl e Uil che sono sempre più subordinati alle compatibilità e priorità dell’azienda-Italia e delle singole imprese, e sono sempre più compromessi con i governi di “sinistra” e di destra.
Può contare solo sulla auto-organizzazione e sull’organizzazione unitaria, dal basso, dei lavoratori di tutti i settori produttivi e sulla convergenza tra questo rinnovato protagonismo dei lavoratori (sull’esempio delle lotte della logistica) e i movimenti dei giovani e delle donne già in campo contro l’incombente catastrofe ecologica e contro la perdurante oppressione di genere in un fronte unico anti-capitalista che raccolga ed esprima in pieno la rabbia e la voglia di riscatto di quanti vivono del proprio lavoro, o sono forzatamente esclusi dal lavoro.
Le lotte che in queste settimane si stanno sviluppando in vari paesi tornano inoltre a porre con forza la necessità di ricostruire forme di collegamento e di coordinamento su scala internazionale di tutte quelle soggettività sindacali e sociali che si pongono in una prospettiva anticapitalista.
Con lo sciopero unitario del sindacalismo di base del 25 ottobre e la manifestazione a Roma contro il governo Conte-bis del giorno seguente abbiamo dato due segnali che vanno in questa direzione.
Ma facciamo appello a quanti e a quante non intendono limitarsi a proteste settoriali e disperse, e non condividono la deriva “sovranista”, nazionalista, di tante forze che si dicono di sinistra, ad unirsi a noi nello sforzo di stabilire solidi rapporti con il movimento di lotta in corso in Francia e con i movimenti di lotta in corso in Nord Africa, Medio Oriente e America Latina.
SI Cobas
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La lutte des travailleurs français est notre lutte!
Alors que de l’Amérique latine à l’Afrique du Nord au Moyen-Orient, nous assistons à un fort réveil des luttes sociales et politiques, avec la formation en fait de fronts uniques d’en bas contre des gouvernements qui tous, sous une forme ou une autre, défendent les intérêts des capitalistes, en Europe, ce sont encore une fois les travailleurs français qui, pour la troisième fois en quatre ans brisent un tableau d’ensemble de passivité, avec leur forte mobilisation contre la «réforme» des retraites voulue par Macron.
Une contre-réforme qui veut appliquer à la lettre en France aussi l’impératif capitaliste d’aujourd’hui et des prochaines décennies: travailler plus dur et plus longtemps, pour des salaires directs et indirects inférieurs aux actuels.
Le 5 décembre, des centaines de milliers de travailleurs ont répondu à cette attaque par des grèves et de grandes manifestations de rue avec les étudiants et les retraités (800 000 selon les données officielles, 1,5 million selon les syndicats) dans des centaines de villes en France.
Fort et très clair est leur Non à la contre-réforme qui vise à porter l’âge de la retraite à 64 ans, pénalisant ceux qui prennent leur retraite à 62 ans (âge actuel de retraite), et à réduire les pensions par rapport aux systèmes de retraite actuels, avec un système de “points”, similaire au système basé sur la contribution imposée en Italie, et qui peut être davantage manipulée à la baisse.
La participation aux manifestations a été la plus importante depuis les années 1990.
Les trains et transports métropolitains de la région parisienne se sont arrêtés, les grèves des professeurs et des hospitalier-es ont eu une haute participation aux grèves, autant que celles des travailleurs du privé. La PSA a même mis les travailleurs en chômage pour empêcher les grèves, invoquant le manque de composants.
Mardi 10 décembre, à la veille de la présentation officielle de la réforme des retraites par le gouvernement, il y a eu une nouvelle mobilisation avec une participation réduite (340 000 selon le ministère de l’Intérieur, 885 000 selon les syndicats), mais toujours considérable et aussi plus forte que les mobilisations contre la loi du travail en 2016, ou des pics du mouvement des gilets jaunes à son début, il y a un an.
La mobilisation a été lancée par certains syndicats (dont CGT, SUD Solidaires, FO, pas la CFDT), mais l’impulsion décisive est venue d’une accumulation de conflits syndicaux (les luttes des hôpitaux et des cheminots en premier lieu) et sociaux (les luttes des lycéens et la grande manifestation récente contre la violence à l’égard des femmes) que certaines centrales syndicales n’avaient pas agréés.
La grande majorité des grévistes et manifestants des 5 et 10 décembre sont des travailleurs non syndiqués: c’est une donnée qui fait réfléchir, et confirme même au cœur de l’Europe d’un côté la perte de poids tendancielle des grandes centrales syndicales, principalement parmi les secteurs les plus jeunes, les plus exploités et les moins protégés de la classe ouvrière, et de l’autre la capacité de ces derniers à s’auto-organiser et à adopter des formes radicales de lutte qui sortent des voies du syndicalisme traditionnel, tant dans la version classique (comme en France) que dans sa version ouvertement “d’état” et pro-patronale comme dans le cas de Cgil-Cisl-Uil en Italie.
Dans les journées de lutte, on a eu des assemblées spontanées de travailleurs dans les gares, dans les dépôts de bus, dans le métro, dans les hôpitaux, dans les écoles, interprofessionnelles aussi, en réalisant ainsi une unité dans la lutte qui dépasse les divisions professionnelles et sectorielles, et les défenses de nature corporative, et exprime la disposition de secteurs croissants de travailleurs et de jeunes à une lutte plus générale qui concerne l’ensemble du système politique et social capitaliste.
SI Cobas accueille avec enthousiasme les grèves et les mobilisations des travailleurs français et considère cette lutte comme sa propre lutte, un exemple de ce qu’il faudrait faire en Italie, où les conditions des travailleurs ont subi une détérioration lourde et continue: briser la passivité et reprendre à lutter en masse, avec détermination, pour de meilleures conditions salariales, pour le salaire aux chômeurs, pour la réduction des heures de travail, pour la préservation des protections sociales dans la santé et l’éducation à travers l’abrogation des contre-réformes des dernières décennies , pour imposer avec la lutte une véritable réduction d’impôt sur les salaires et un véritable impôt sur les grandes fortunes et sur les bénéfices et les gros capitaux, pour une égalité effective entre les femmes et les hommes, pour éliminer toute discrimination à détriment des travailleurs immigrés, pour reconquérir les droits d’action politique et syndicale sur les lieux de travail et dans le rues.
La réalisation de cette perspective ne peut s’appuyer sur les appareils Cgil, Cisl et Uil qui sont de plus en plus subordonnés à la compatibilité et aux priorités de l’entreprise-Italie et des entreprises individuelles, et sont de plus en plus compromis avec les gouvernements de la “gauche” et de la droite.
Elle ne peut s’appuyer que sur l’auto-organisation et l’organisation unifiée, par le bas, des travailleurs de tous les secteurs productifs et sur la convergence entre ce protagonisme renouvelé des travailleurs (à l’instar des luttes dans la logistique) et les mouvements de jeunes et de femmes contre la catastrophe écologique imminente et contre l’oppression continue des sexes, dans un front anticapitaliste unique qui recueille pleinement et exprime la colère et le désir de rachat de ceux qui vivent de leur travail, ou sont exclus de force du travail.
Les luttes dans divers pays ces dernières semaines renvoient également avec force à la nécessité de reconstruire des formes de connexion et de coordination à l’échelle internationale de toutes ces subjectivités syndicales et sociales dans une perspective anticapitaliste.
Avec la grève unitaire des syndicats de base du 25 octobre et la manifestation à Rome contre le gouvernement Conte-bis du lendemain, nous avons donné deux signaux qui vont dans cette direction.
Mais nous appelons ceux qui n’ont pas l’intention de se limiter à des manifestations sectorielles et dispersées et ne partagent pas la dérive «souverainiste», nationaliste de tant de forces qui se disent de gauche, à se joindre à nous pour établir des relations solides avec le mouvement des lutte en cours en France et avec les mouvements de lutte en cours en Afrique du Nord, au Moyen-Orient et en Amérique latine.
SI Cobas