Pubblichiamo questo articolo di J. Heer pubblicato su The Nation, ripreso dai compagni della redazione de Il Pungolo Rosso e disponibile sul loro sito.
Questa crisi sanitaria e sociale, che sta provocando i primi scioperi spontanei nelle fabbriche dopo decenni, e diviene ora anche crisi economica e finanziaria, mette alla prova i sistemi capitalistici, in Italia e nel mondo intero, e scuote le coscienze in settori della nostra classe cui si chiede di lavorare comunque, anche in assenza delle condizioni di sicurezza che vengono invece imposte al resto della popolazione.
Per la prima volta da decenni assistiamo a scioperi spontanei nelle fabbriche.
Anche nella lotta per ambienti di lavoro sicuri e adeguati dispositivi di protezione individuale, e nelle difficoltà di coloro che sono lasciati a casa con un futuro incerto, deve crescere la coscienza della necessità di lottare per superare questa società divisa in classi.
Contro le ideologie da “unità nazionale” tra sfruttati e sfruttatori.
Il virus globalizzato mette inoltre in chiaro l’inconsistenza delle prospettive di autonomie locali/localistiche, e delle scorciatoie “sovraniste”.
L’unica strada è quella internazionalista, dell’unione tra i proletari di tutto il mondo.
S.I. Cobas
Riprendiamo da The Nation del 1 aprile un articolo molto interessante di Jeet Heer sui conflitti che si stanno aprendo in diversi luoghi di lavoro. Siamo tra quelli che hanno sempre visto due Americhe, e puntato le nostre fiches tutte su un solo numero: quello della inevitabile ripresa in grande dello scontro di classe in questo paese, l’esempio perfetto della smisurata brutalità del capitalismo. Verranno belle sorprese, belle per noi, da oltre Atlantico…
Le catastrofi generano nazionalismo. Una costante storica vuole che ci si raduni [come nazione] di fronte a un nemico comune, si tratti di una potenza straniera o di un disastro naturale. Nell’attuale crisi del coronavirus, i leader politici di tutto il mondo stanno assistendo ad un picco di popolarità. Questo accade anche al polarizzante e impopolare Donald Trump. Il desiderio di un leader forte in un momento di difficoltà sta producendo ogni sorta di strani effetti collaterali, che vanno dal nuovo entusiasmo mediatico per Andrew Cuomo [governatore dello stato di New York] ai complimenti dei giornalisti a Trump per il suo “nuovo messaggio e nuovo tono”, dopo che il presidente ha riconosciuto, in una conferenza stampa, che i decessi per la pandemia potrebbero essere tra 100.000 e 240.000.
La combinazione di salvataggi plutocratici, da un lato, e la crescente precarietà e il crescente pericolo fisico per la classe operaia è esplosiva. È difficile vedere come questo possa durare a lungo senza provocare una rottura dell’ordine sociale.
Tuttavia, l’unità nazionale prodotta dalla crisi può anche essere un’apparenza che inganna. Anche durante il fervore patriottico nella seconda guerra mondiale, non vennero meno le divisioni sociali dei tempi normali. Durante il periodo di guerra Detroit fu teatro sia di scioperi selvaggi (da parte di lavoratori del settore auto che sentivano di essere stati spinti a fare sacrifici senza un equo compenso) sia di scontri razziali (da parte di bianchi che usavano la violenza contro la immigrazione dei neri provenienti dal Sud).
La crisi del coronavirus sta mostrando una simile intensificazione della lotta sociale. Aumentano gli attacchi razzisti contro gli americani di origine asiatica, grazie in gran parte al fatto che Donald Trump ha chiamato il virus “China virus”.
Anche la guerra di classe sta diventando più acuta. In realtà è in corso una guerra di classe su due fronti. Ai ricchi e ai loro alleati in entrambi i partiti politici, la crisi offre l’opportunità di saccheggiare il Tesoro. I pacchetti di stimoli che sono passati o sono stati pensati, sono tutti progettati per proteggere i privilegi dei ricchi, mentre sono davvero modeste le misure prese per attenuare i brutali colpi della recessione sulla maggioranza della classe operaia. I colletti blu dovrebbero lavorare in condizioni pericolose con ben scarse compensazioni. E molti di questi lavoratori si vedono imporre le ferie obbligate, tagli ai salari e licenziamenti.
La combinazione di salvataggi plutocratici, da un lato, e la crescente precarietà e il crescente pericolo fisico per la classe operaia è esplosiva. È difficile vedere come questo possa durare a lungo senza provocare una rottura dell’ordine sociale.
Sul Washington Post, Helaine Olen ha descritto il primo pacchetto di stimolo come “non solo un’occasione mancata per offrire ai lavoratori americani in modo permanente i benefici di cui godono i lavoratori degli altri paesi ricchi, ma come l’ennesimo arraffamento di fondi da parte delle aziende e dei più ricchi tra noi”. Offrendo ai salariati nient’altro che quattro mesi di sussidi di disoccupazione estesi e un aiuto una tantum di $1.200 (più $500 per bambino), il “piano di rilancio” ha invece aperto i rubinetti di fiumi di denaro per Wall Street, con un fondo di salvataggio delle imprese che potrebbe raggiungere i 6.000 miliardi di dollari.
È probabile che i futuri pacchetti di stimoli siano dello stesso tipo [a favore dei più ricchi]. Il New York Times riferisce che la presidente della Camera, la democratica Nancy Pelosi, parla di un accordo [tra democratici e repubblicani] per “togliere ogni limite alle detrazioni fiscali statali e locali [alle imprese] con effetto retroattivo”. Come rileva l’economista dell’Università del Michigan Justin Wolfers, “oltre la metà di questi dollari andrebbe ai milionari”. Sul piano politico, la proposta potrebbe avere un senso, poiché premierà gli elettori suburbani degli stati blu [quelli che in genere votano per i democratici]. Ma sul piano economico, pone lo stesso problema del primo stimolo: il desiderio di distribuire dollari proprio a coloro che meno ne hanno bisogno.
Mentre repubblicani e democratici si prendono cura dei milionari, la classe operaia viene martellata. Come riporta ProPublica di martedì [24 marzo], “i medici e gli infermieri del pronto soccorso – molti dei quali hanno a che fare con l’afflusso pazienti affetti da coronavirus e la carenza di dispositivi di protezione – stanno ora scoprendo che le loro indennità stanno per essere ridotte”. Molti di questi operatori e operatrici della sanità sono assunti da agenzie interinali che stanno ora riducendo i loro compensi, scaricando su di loro la perdita di entrate derivante dal taglio degli interventi non urgenti. Alteon Health, una delle principali imprese di reclutamento di medici e infermieri, ha rilasciato oggi [30 marzo] una nota in cui informa che “la società ridurrà le ore per il personale sanitario, ridurrà del 20% le retribuzioni per gli impiegati amministrativi e sospenderà i piani 401 (k) [riguardanti le pensioni], i bonus e i congedi pagati.”
Non sono solo i lavoratori e le lavoratrici della sanità a dover fronteggiare una condizione di lavoro più precaria e pericolosa. Sul New York Times, un reporter che è un veterano delle inchieste sul movimento operaio, Steven Greenhouse, ha osservato che c’era una forte divisione di classe nel modo in cui si sta vivendo la crisi del coronavirus. “Milioni di impiegati fanno telelavoro da casa per stare al sicuro, mentre il coronavirus estende la sua portata terrificante in tutta l’America”, osserva Greenhouse. “Ma milioni di altri lavoratori – cassieri dei supermercati, farmacisti, magazzinieri, autisti di autobus, addetti al confezionamento della carne – devono andare a lavorare ogni giorno, e molti sono furiosi contro i loro datori di lavoro che non stanno facendo abbastanza per proteggerli dalla pandemia.” La crescente letalità dei posti di lavoro negli Stati Uniti sta alimentando un’ondata di scioperi, sia proteste guidate dai sindacati sia scioperi spontanei “selvaggi” [auto-organizzati]. Greenhouse ha elencato alcune di queste azioni:
«Martedì scorso [24 marzo], dopo che un meccanico è risultato positivo al coronavirus, più della metà dei lavoratori di Bath Iron Works, un cantiere navale nel Maine, sono rimasti a casa dal lavoro per fare pressione sulla loro impresa per pulire a fondo il cantiere. A Warren, nel Michigan, gli operai sono usciti da una fabbrica di camion della Fiat Chrysler perché non c’era acqua calda per lavarsi. A Birmingham, in Alabama, gli autisti dei bus hanno scioperato perché ritenevano insufficienti le misure prese per proteggerli dal rischio di contrarre il coronavirus da passeggeri infetti. Gli autisti di autobus a Detroit nel Michigan hanno organizzato un’improvvisa interruzione del lavoro per questo stesso motivo. I lavoratori delle strutture igienico-sanitarie di Pittsburgh hanno interrotto il lavoro per le loro preoccupazioni sul coronavirus.»
È molto probabile che questa ondata di proteste crescerà, non solo a causa del coronavirus, ma anche a causa della rottura del contratto sociale da parte dei ricchi. Concependo e approvando piani di salvataggio che hanno favorito le imprese e i milionari in mezzo a una pandemia durante la quale gli operai sono costretti a lavorare in condizioni potenzialmente letali, l’élite politica americana sta giocando con il fuoco. Potremmo vedere conflitti sociali molto più intensi persino della turbolenza di Occupy Wall Street e del movimento Tea Party emersi sulla scia del crollo economico del 2008.
L’indebolimento dei sindacati americani negli ultimi decenni significa anche che la forza stabilizzatrice delle strutture sindacali sui lavoratori è sparita. Di conseguenza si è aperto uno spazio perché i “wildcat strikes”, gli scioperi a gatto selvaggio diventino l’arma preferita [dai lavoratori] in questa nuova guerra di classe. Gli Stati UNiti potrebbero stare per entrare in un periodo di militanza della classe operaia molto diverso da tutto ciò che abbiamo vissuto dopo gli anni ’30 e ’40.