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[INTERNAZIONALISMO] Breve aggiornamento sul crack dell’Amerika

Pubblichiamo qui sotto la prima parte del contributo “Breve aggiornamento sul crack dell’Amerika” ricevuto dalla redazione de Il Pungolo Rosso e già disponibile sul loro sito.

Questa crisi sanitaria e sociale, che sta provocando i primi scioperi spontanei nelle fabbriche dopo decenni, e diviene ora anche crisi economica e finanziaria, mette alla prova i sistemi capitalistici, in Italia e nel mondo intero, e scuote le coscienze in settori della nostra classe cui si chiede di lavorare comunque, anche in assenza delle condizioni di sicurezza che vengono invece imposte al resto della popolazione.

Per la prima volta da decenni assistiamo a scioperi spontanei nelle fabbriche.

Anche nella lotta per ambienti di lavoro sicuri e adeguati dispositivi di protezione individuale, e nelle difficoltà di coloro che sono lasciati a casa con un futuro incerto, deve crescere la coscienza della necessità di lottare per superare questa società divisa in classi.

Contro le ideologie da “unità nazionale” tra sfruttati e sfruttatori.

Il virus globalizzato mette inoltre in chiaro l’inconsistenza delle prospettive di autonomie locali/localistiche, e delle scorciatoie “sovraniste”.

L’unica strada è quella internazionalista, dell’unione tra i proletari di tutto il mondo.

S.I. Cobas


Breve aggiornamento sul crack dell’Amerika

Ogni giorno che passa il crack dell’Amerika si aggrava.

È di qualche ora fa la notizia che nel secondo trimestre dell’anno l’economia statunitense ha avuto un crollo del 32,9% (su base annua), ben 4 volte superiore alla caduta produttiva massima della grande crisi del 2008, quando il massimo calo trimestrale fu dell’8,4% nell’ultimo trimestre dell’anno. Anche l’indice (ufficiale) della disoccupazione, che aveva toccato il 15% in aprile, è rimasto tuttora all’11%, a livelli, cioè, superiori a quelli del periodo più acuto della precedente crisi. Ciò che più spaventa economisti e imprenditori è che in diversi stati la ripresa di giugno è stata interrotta dal riaccendersi dell’epidemia che appare, nell’insieme, fuori controllo.

La verticale caduta dei salari avvenuta in aprile è stata contrastata dagli stanziamenti eccezionali a sostegno dei consumi decisa dall’amministrazione Trump con sussidi pari a 1.200 dollari per molti e un’indennità supplementare di disoccupazione pari a 600 dollari a settimana. Quest’ultima indennità dovrebbe scadere questo fine settimana, ma – data l’entità del dissesto economico di tante famiglie ridotte alla fame – ci potrebbe essere una proroga.

Il capo della Federal Reserve, Powell, si congratula (con sé stesso) per il fatto che la montagna di denaro in deficit distribuita ai “cittadini” (il famoso helicopter money che secondo certi nostri “sinistri” sarebbe la soluzione magica di ogni problema) ha funzionato perché “ha tenuto la gente nelle proprie case” (oltre 150.000 morti di covid-19, ad oggi) e perché “ha consentito al business, alle imprese, di continuare a fare business” (-32,9%). Certo, in assenza di queste misure-tampone, le cose sarebbero andate in modo ancor più catastrofico. Ma per quanto ancora sarà possibile prolungare la cura emergenziale (comunque a carico delle classi lavoratrici)?

Tra i repubblicani sta facendosi strada proprio nelle ultime settimane l’idea di una forte potatura alla previdenza sociale, in specie ai sussidi di disoccupazione, e al Medicare, l’assicurazione medica pubblica per gli over-65: c’è già un disegno di legge del sen. Romney, a riguardo. Se arrivassero questi tagli radicali, secondo alcune organizzazioni sindacali e movimenti/gruppi per i diritti civili avrebbero l’effetto di “devastare l’America” – l’America dei proletari e dei salariati. Perché per l’altra Amerika, quella dei capitalisti, già sono pronte, invece, proposte aggiuntive di “stimolo fiscale” (sempre la questione fiscale che ritorna…) per un centinaio di miliardi di dollari, ed un robusto scudo legale quinquennale che metterà le imprese al riparo da qualsiasi responsabilità per aver provocato la morte, o messo a rischio la salute, dei propri dipendenti. L’iniziativa è della cricca di Trump, ma state certi che i democratici, secondi a nessuno nella tutela degli interessi del capitale, non si tireranno indietro. Le spese militari non si possono tagliare, specie in un momento in cui stanno intensificandosi le azioni ostili con la Cina su una scala geo-politica sempre più vasta. Le spese di polizia neppure, nonostante la forte richiesta di “Defund Police”, togliere soldi alle polizie – anche Biden non ha lasciato margini di speranza su un’eventualità del genere. I tempi dell’illimitata potenza yankee nell’imporre il primato della propria moneta senza incontrare opposizioni di rilievo, sono dietro le spalle. E dunque – lo si voglia o no – i poteri costituiti finiranno per gettare altra benzina sul fuoco… di qui la messa in campo di truppe federali e di bande di assalitori e squadristi al soldo della classe capitalista.

Ma… come abbiamo mostrato nell’analisi degli sviluppi del movimento nato in reazione all’uccisione di George Floyd (che presto aggiorneremo), non pare esserci, per ora almeno, paura mortale, né arrendevolezza tra quanti sono scesi nelle piazze – prova ne sia che siamo vicini ad un accordo per il ritiro delle truppe federali inviate da Trump a Portland, per lo meno il ritiro dal centro della città. Sotto la pressione del movimento (lì in larga misura bianco), lo chiede ora anche la governatrice dell’Oregon, la democratica Kate Brown. Molto interessante la risposta del Dipartimento della sicurezza interna: lo faremo, ma solo quando “saremo certi che l’Harfield Federal Courthouse (la Cittadella) e le altre proprietà federali non saranno attaccate e che l’edificio dove si amministra la giustizia sarà al sicuro”. Non è il Vietnam anni ‘70. Non è l’Afghanistan o l’Iraq degli anni duemila.

Capite?

È il fronte interno, sempre più inquieto…