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[CONTRIBUTO] Un piccolo dossier sull’Africa di oggi e di ieri

Riceviamo e pubblichiamo il contributo “Un piccolo dossier sull’Africa di oggi e di ieri“, già disponibile sul sito della redazione Il Pungolo Rosso (vedi qui).

Questa crisi sanitaria e sociale, che sta provocando i primi scioperi spontanei nelle fabbriche dopo decenni, e diviene ora anche crisi economica e finanziaria, mette alla prova i sistemi capitalistici, in Italia e nel mondo intero, e scuote le coscienze in settori della nostra classe cui si chiede di lavorare comunque, anche in assenza delle condizioni di sicurezza che vengono invece imposte al resto della popolazione.

Per la prima volta da decenni assistiamo a scioperi spontanei nelle fabbriche.

Anche nella lotta per ambienti di lavoro sicuri e adeguati dispositivi di protezione individuale, e nelle difficoltà di coloro che sono lasciati a casa con un futuro incerto, deve crescere la coscienza della necessità di lottare per superare questa società divisa in classi.

Contro le ideologie da “unità nazionale” tra sfruttati e sfruttatori.

Il virus globalizzato mette inoltre in chiaro l’inconsistenza delle prospettive di autonomie locali/localistiche, e delle scorciatoie “sovraniste”.

L’unica strada è quella internazionalista, dell’unione tra i proletari di tutto il mondo.

S.I. Cobas


Un piccolo dossier sull’Africa di oggi e di ieri

L’uccisione in Congo dell’ambasciatore italiano e della sua guardia del corpo hanno riportato per qualche giorno l’attenzione dei mass media sull’Africa sub-sahariana. E’ stata l’occasione per un’altra spudorata campagna di criminalizzazione delle popolazioni africane, e – in parallelo – l’occasione per rilanciare il rancido mito degli “italiani brava gente” (quali che fossero le caratteristiche personali di Attanasio – ogni ambasciatore, per obbligo di funzione, è ambasciatore degli interessi del “proprio” capitalismo, in esecuzione di quelli che il gelido custode della ragion di stato Mattarella ha definito “doveri professionali”). Su “L’Espresso” di oggi, 28 febbraio, Fabrizio Gatti, che pure fu autore in passato di inchieste interessanti, arriva al punto da ipotizzare che l’agguato sia una rappresaglia anti-italiana per le meritorie iniziative dell’ENI di De Scalzi (“l’avvio di un progetto per la produzione di elettricità da fonti rinnovabili e la sua distribuzione per usi civili e industriali e anche lo sviluppo di iniziative per difendere le foreste dal commercio illegale di legname”)! L’umanitaria ENI, attiva in Congo da più di dieci anni alla ricerca di petrolio e di gas, che ha arraffato, insieme con l’Hedge Fund statunitense Och-Ziff, la lucrosa licenza Marine XII, dopo essersi assicurato il mega-giacimento di Marine XI; l’ENI protagonista della spoliazione del Delta del Niger e della causazione, lì, di una devastante catastrofe ecologica; l’ENI corruttrice internazionale di primissimo livello… (cfr. https://gliasinirivista.org/leni-in-africa/ – al netto dell’idiotismo legalitario sottotraccia, che non vuol prendere in considerazione il fatto che le tangenti sono il modus operandi ordinario delle multinazionali).

Questo vezzo di abbellire sempre il “nostro” colonialismo viene da lontano. La democrazia lo ha ereditato dal fascismo, il fascismo dal regime liberale che l’ha preceduto e generato. Sentiamo, ad esempio, con quali melodiose parole Benito Mussolini presentò l’aggressione italiana alle popolazioni etiopiche:

“L’Italia non ‘aggredisce’ le popolazioni etiopiche, ma le libera, emancipa gli schiavi, ridistribuisce il grano razziato dalle orde del Negus, apre strade, istituisce ambulatori, protegge i bambini abbandonati, dà pane agli indigeni indigenti. Essa compie un’opera ‘societaria’ nel vero senso della parola. Fa quello che la Società delle nazioni avrebbe dovuto fare e non ha fatto”.

Di Africa, dell’Africa del Nord (araba, berbera/amazyg, tuareg, etc.) e dell’Africa sub-sahariana, ci siamo occupati più volte, sia come redazione del “Cuneo rosso” che su questo blog. Lo abbiamo fatto, in particolare, nel n. 3 della nostra rivista dedicata al tema “Neo-colonialismo e guerra agli immigrati” (aprile 2019), da cui riprendiamo alcuni estratti in sequenza: 1)Il nuovo assalto all’Africa, con una nota introduttiva su coltan, multinazionali e “prima guerra mondiale africana”; 2)L’Italia, avamposto della guerra europea agli emigranti dall’Africa; 3)l’intervista a Papis Ndiaye, immigrato dal Senegal, avanguardia delle lotte della logistica, militante del SI Cobas. Completa questo piccolo dossier un ricordo di Patrice Lumumba, capo del moto nazional-rivoluzionario congolese di fine anni ’50, inizio anni ’60, assassinato su ordine di Stati Uniti, Belgio e Francia, vecchio e nuovo colonialismo uniti, coperti sotto il mantello legittima-delitti dell’ONU.

Richiamiamo qui anche i compiti di lotta internazionalisti indissolubilmente legati alle nostre analisi:

Tanto per cominciare, si dovrebbe:

  1. azzerare il debito estero dei paesi africani;
  2. ritirare immediatamente dall’Africa le truppe di stato e private italiane ed europee, i consiglieri militari, gli addestratori di truppe e di polizie;
  3. restituire le terre razziate con il land grabbing;
  4. cessare di inondare l’Africa con i prodotti agricoli sovvenzionati europei che distruggono l’agricoltura locale;
  5. finirla di appropriarsi del pescato dei loro mari;
  6. ridiscutere su basi paritarie e di effettiva reciproca utilità i commerci in atto;
  7. avviare un processo di restituzione del plurisecolare maltolto, e così via.

E, prima di tutto, spezzare il silenzio sulle lotte operaie e popolari, sulle resistenze al neo-colonialismo in corso in Africa, e sostenerle con ogni mezzo.