Riceviamo e pubblichiamo dai compagni della redazione Il Pungolo Rosso questo contributo, già pubblicato sul loro web (vedi qui):
Gilboa e tutte le carceri israeliane
non potranno mai uccidere la libertà
e la volontà di lotta dei palestinesi
Riceviamo e volentieri pubblichiamo questa nota sull’evasione di sei militanti della causa palestinese dal carcere di Bilboa. Per parte nostra, senza esporre qui ancora una volta il nostro inquadramento della questione palestinese, ci limitiamo a ricordare solo questo: ogni mito militarista è destinato a cadere nella polvere insieme con le sue infrastrutture. Sarà così anche per la mitica “invincibilità” dello stato, dell’esercito e dei servizi israeliani.
Jenin, 13 settembre, manifestazione per Zubeidi, uno dei militanti palestinesi evasi dal carcere di Gilboa, e poi catturato, picchiato, sottoposto a tortura e negazione di cure mediche
Il 6 settembre scorso sei prigionieri politici palestinesi sono evasi dalla prigione di Gilboa, un carcere di massima sicurezza costruito nel 2004 nel nord di Israele, a meno di 6 km dai Territori occupati nel 1967, nell’area di Beesan. Nella stessa zona c’è anche la prigione di Shatta. La propaganda militare israeliana l’ha sempre descritta come una fortezza invalicabile dove sono rinchiusi i palestinesi più attivi sul piano militare e politico.
Israele investe molto nella costruzione di carceri e nelle misure di sicurezza; pertanto questa fuga ha rappresentato un trauma per l’esercito israeliano. L’associazione Addamir per i Diritti umani e il sostegno ai prigionieri fornisce questi dati: attualmente Israele detiene 4.650 prigionieri politici, dei quali 520 in detenzione amministrativa, 200 minori, 40 donne, 11 membri del Consiglio Legislativo Palestinese, tra i quali Marwan Barghouthi, Ahmad Sadat e Khalida Jarrar. Nelle prigioni israeliane ci sono circa 70 palestinesi dei territori occupati nel 1948, 240 prigionieri di Gaza e 400 di Gerusalemme.
Non c’è famiglia palestinese che non abbia un parente nelle prigioni israeliane, a volte con continuità di generazione, come nel caso di uno dei sei prigionieri evasi la settimana scorsa e poi catturato nuovamente. Secondo l’Autorità per gli Affari dei prigionieri palestinesi, dal 1967 ad oggi sono passati nelle prigioni israeliane circa un milione di palestinesi e di questi circa 226 sono morti in carcere: 73 deceduti sotto tortura, 71 per cure mediche negate, 75 per omicidio premeditato dopo l’arresto, 7 per essere stati colpiti da arma da fuoco durante la detenzione.
Vediamo allora di conoscere chi sono questi sei “combattenti per la libertà”, come li ha definiti il giornalista israeliano Gideon Levy: “..I sei prigionieri palestinesi evasi sono i più audaci combattenti per la libertà che si possano immaginare…”
Mahmoud Al ‘Arda, 46 anni, del villaggio di Arraba, vicino Jenin, teatro di un efferato massacro da parte dell’esercito israeliano. Arrestato il 21/9/1996 e condannato a 99 anni per aver organizzato cellule combattenti e aver aiutato il prigioniero Saleh Musa Tahaineh ad evadere dal carcere del Negev (Tahaineh fu poi ucciso dall’IDF negli anni Novanta, faceva parte della Jihad islamica, anche lui di un villaggio vicino Jenin). ‘Al Ardah era stato già catturato nel 1991 e condannato a 4 anni, ne scontò solo 3 perché fu rilasciato nel 1994 dopo il Trattato di Oslo. Continuò la sua militanza nella leadership della Jihad islamica palestinese fino alla seconda cattura. Prima di questa, aveva tentato già un’evasione e per questo le autorità militari israeliane lo ritengono un prigioniero pericoloso considerando anche la sua capacità di organizzare cellule militari anche dalla prigione. Sua sorella Hoda, che ora vive a Gaza, ha conosciuto il carcere, mentre i suoi fratelli Ahmad e Raddad sono stati condannati rispettivamente a 21 e 19 anni.
Iham Kammaji, 35 anni, nato il 6/6/1986 a Kafr Dan, vicino Jenin, è stato imprigionato nel 2006. Era membro dell’intelligence militare della Jihad palestinese. E’ stato accusato di aver ucciso un soldato israeliano e condannato all’ergastolo. In carcere ha completato gli studi. Aveva già tentato di evadere nel 2014. Ha un fratello, Ahed, prigioniero nelle carceri dell’occupante.
Mohammad Qasem Al ‘Arda, 39 anni, nato ad Arraba, vicino Jenin, il 3/6/1982, è tra i fondatori di Siraya Al Quds, braccio armato della Jihad in Palestina. Accusato di aver ucciso tre coloni israeliani, è stato condannato a 20 anni e a 3 ergastoli ed è detenuto dal 2002. Precedentemente era riuscito a fuggire dalla prigione di Ofer, Ramallah, inseguito per mesi era stato poi preso dall’esercito. In prigione ha conseguito una laurea in Storia, ed era stato trasferito di prigione in prigione fino ad arrivare a Gilboa 4 mesi fa.
Yaqob Qaderi, 49 anni, nato il 22/121972 a Bir Al Basha, vicino Jenin. Anche lui della Jihad, era stato incarcerato nel 2003, accusato di preparazione di esplosivi.
Munadil Infyat, 26 anni, nato nel 1995 in un villaggio vicino Jenin e detenuto dal 2019. Nonostante la giovane età ha già trascorso circa 6 anni nelle prigioni israeliane in regime di detenzione amministrativa, cioè senza un capo d’accusa ufficiale e senza processo e senza sentenza.
Zakaria Az-Zubeidi, 46 anni, nato il 19/1/1975 nel campo profugo di Jenin. E’ detenuto dal 2019 ma non ha ancora subìto una condanna. Arrestato per la prima volta a 16 anni durante la prima Intifadha, trascorse 4 anni in carcere e fu rilasciato nel 1995 dopo gli accordi di Oslo. Durante la sua prima detenzione, l’esercito demolì la sua casa, e durante la seconda Intifadha ha cercato varie volte di assassinarlo per il ruolo di leader a Jenin nelle Brigate dei Martiri di Al Aqsa, il braccio armato di Fatah. Il nonno materno di Az-Zubeidi, Mohammed Ali Jahjah, era uno dei 66 prigionieri evasi dalla prigione israeliana di Shatta durante la grande rivolta carceraria del 1958. Il nonno era di Qaisaryah (Cesarea) ed era stato espulso con la famiglia nel 1948 divenendo profugo a Jenin e ricoprendo un ruolo importante nel movimento di Fatah. [Va ricordato anche che Zubeidi qualche anno fa fu imprigionato nel carcere di Gerico dalla polizia dell’Anp.]
Leggendo le brevi biografie di questi militanti della causa palestinese, non si può fare a meno di contestualizzare luoghi e anni: luoghi della Palestina occupati e distrutti, anni e vite di palestinesi trascorsi in resistenza, in battaglie e in detenzione. Intere famiglie costrette a tutto questo da più di 70 anni, un’intera popolazione di milioni di palestinesi.
L’evasione di questi prigionieri lunedì 6 settembre, 4 dei quali già catturati (Az-Zubeidi, Mahmoud Al ‘Ardah, Mohammad Al ‘Ardah e Yaqob Qaderi), ha scosso non solo i servizi di sicurezza e l’intera società israeliana, ma ha riportato all’attenzione dell’opinione pubblica la situazione dei prigionieri politici palestinesi nelle carceri israeliane. Ancora una volta la stampa occidentale ha raccolto le veline degli addetti militari israeliani, rilanciando termini come “terroristi” e ipotizzando attentati, mentre la controinformazione ebraica di contrasto al nazionalismo israeliano faceva notare che “…c’è la violenza di chi opprime calpesta, con superiorità, e c’è la violenza dell’altro per la sua liberazione. Tutta la rabbia e le coperture israeliane nel mondo non cambieranno questo fatto di base.” E ancora: “..Nella sua ira, Israele farà ora l’unica cosa che sa fare: aumentare gli abusi sui palestinesi e sui prigionieri palestinesi in particolare. Chi si è preoccupato di informarsi, sa che (i prigionieri) sono persone esposte ad ogni capriccio del sistema, senza alcuna protezione” (Orly Noy). Una presa di posizione che è costata a Orly Noy, israeliana, il bando da Facebook.
In campo palestinese, da subito si è registrata la mobilitazione nei Territori Occupati nel 1967. Scontri tra palestinesi ed esercito a Jenin, Bethlem e in alcune zone di Gerusalemme, a Nablus per rendere difficili i controlli e le ricerche. I giovani palestinesi si sono arrampicati dove possibile per distruggere le telecamere e impedire all’esercito di raccogliere dati. Scontri e sassaiole sono avvenuti in molti villaggi del distretto di El Khalil, mentre a Gaza ci sono stati cortei di solidarietà. Sui social si lanciavano appelli per raccomandare la massima collaborazione per agevolare la fuga dei prigionieri. La Palestina che sta fuori dalle prigioni non ha mai smesso di occuparsi di chi sta dentro le prigioni. I prigionieri non sono solo eroi, ma anche simbolo di determinazione a continuare la lotta. Per questo motivo, alla notizia della cattura di 4 dei prigionieri, tutte le fazioni politiche palestinesi hanno rilasciato dichiarazioni in cui hanno ringraziato chi nel carcere continua a combattere e ad alimentare la speranza nella liberazione.
Purtroppo c’è da registrare che la cattura è avvenuta nei territori occupati nel 1948, territori israeliani dove i controlli e le misure di sicurezza sono ingenti. I media israeliani si sono affrettati a dare la notizia secondo cui sarebbero stati palestinesi del 1948 a denunciare gli evasi per cercare di scalfire l’unità di tutti i palestinesi che abbiamo visto lo scorso maggio animare una potente mobilitazione generale ed un altrettanto potente sciopero generale “dal fiume fino al mare”. Sabato 11 settembre, davanti alla Corte distrettuale di Nazareth (territorio del 1948) si è tenuta una manifestazione a sostegno dei 4 prigionieri catturati. Intanto alcune immagini evidenziano che Zakaria Az-Zubeidi è stato picchiato durante la cattura. Hanin Zoubi, attivista palestinese ed ex-parlamentare alla Knesset, denuncia maltrattamenti, torture e negazione di cure mediche a Zubeidi. Dopo questa denuncia,
L’evasione dei sei prigionieri è avvenuta quasi una settimana dopo l’incontro tra il ministro israeliano della Difesa, Benny Gantz, e Mahmoud Abbas che si è tenuto il 29 agosto a Ramallah, un incontro che aveva l’obiettivo di riorganizzare l’accordo con cui il Qatar dovrebbe incanalare i fondi a Gaza. Una missione diplomatica interrotta dal Qatar dopo alcune dichiarazioni dell’ex capo del Mossad, Yossi Cohen secondo il quale sarebbe un “errore esortare il Qatar a continuare ad aiutare Gaza perché i soldi per lo più hanno aiutato la crescita di Hamas”
E forse proprio in questi oscuri giochi di alleanze e nell’appartenenza politica degli evasi (cinque di loro appartengono alla Jihad e, oltre loro, c’è un irriducibile di Fatah non certo simpatizzante dell’attuale leadership di Abbas, subordinata allo stato di Israele) che va letta la disattenzione di Hamas e ANP al tentativo eroico di questi sei militanti palestinesi di riconquistare la propria libertà.
Jenin, 13 settembre