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[COMUNICATO] Il green-pass sui posti di lavoro: le manovre di governo e Confindustria per far pagare la crisi ai lavoratori

IL GREEN-PASS SUI POSTI DI LAVORO

E LE MANOVRE DEL GOVERNO E DELLA CONFINDUSTRIA

PER SCARICARE SUI LAVORATORI LE RESPONSABILITA’ DELLE ISTITUZIONI

NELLA LOTTA ALLA PANDEMIA

Avanti verso lo sciopero nazionale dell’11 ottobre

Il governo ha imposto per legge l’obbligo vaccinale ai lavoratori della sanità e, sempre per legge, l’obbligo di green-pass al personale della scuola.

Per queste categorie di lavoratori (circa due milioni gli interessati), la mancata vaccinazione comporta la sospensione dal servizio e la privazione dello stipendio (con la possibilità, per il solo personale scolastico, di sostituire il green pass con un tampone a pagamento ogni due giorni).

Il governo Draghi sta inoltre studiando l’estensione a tutto il Pubblico Impiego del provvedimento sul green-pass, se non, addirittura, la possibilità di istituire un obbligo generalizzato.

La Confindustria ha già da tempo avanzato la richiesta ai sindacati confederali di un accordo in tal senso, rifiutato in particolare dalla CGIL, che si è dichiarata favorevole ad una legge che imponga l’obbligo generalizzato, ma non ad un accordo sindacale fra le parti.

Come Sicobas abbiamo ribadito la nostra contrarietà al green-pass, così come al decreto Draghi che obbliga al vaccino i sanitari, per motivi di merito che nulla hanno a che vedere con la babele di posizioni espresse in piazza dal cosiddetto movimento “no green-pass”, prima del flop registrato in occasione della preannunciata “occupazione delle stazioni ferroviarie”.

Si tratta, a nostro avviso, di piazze tenute insieme da un impasto reazionario di negazionismo, complottismo, posizioni no-vax, centrate sulla rivendicazione di una “libertà individuale” del tutto funzionale, se non coincidente, agli interessi di
bottega di padroni e padroncini che “vogliono tenere aperto” a qualunque costo.

Al contrario, in accordo con quanto affermato da autorevoli scienziati, noi sosteniamo che il green-pass non è uno strumento di sanità pubblica.

I dati ufficiali ad oggi disponibili mostrano un fatto innegabile: la protezione dal contagio fornita dagli attuali vaccini, pur esistente, è piuttosto bassa.

Da questo punto di vista, il green-pass è perfino pericoloso per il senso di falsa sicurezza che può dare a chi ne sia in possesso, perché induce a ritenere di essere protetti (come martella la propaganda ufficiale) mentre così non è.

Certo, la vaccinazione, seppur in modo molto limitato, protegge anche dal contagio. Su questa labile base, sono fondati i decreti legge varati dal governo Draghi e i tentativi padronali di estenderli in tutti i luoghi di lavoro.

A macchia di leopardo, i lavoratori hanno già dato segno di non voler accettare la cancellazione di diritti acquisiti come la mensa, tanto meno di voler rischiare sospensioni dal lavoro e dal salario.

Si tratta allora di valorizzare queste prime risposte operaie, di estenderle e generalizzarle, collegandole a quanto, come S.I. Cobas, abbiamo cercato di fare dall’inizio della pandemia, imponendo stringenti protocolli di sicurezza ai
padroni, in opposizione a quelli all’acqua di rose siglati dai confederali e proclamando l’astensione dal lavoro, a protezione della salute e della vita dei lavoratori, laddove mancavano condizioni minime di sicurezza.

Confindustria, al contrario, insieme al governo Conte (e ora a quello Draghi) è la prima responsabile della strage che si è verificata nel nord Italia, nelle aree più industrializzate, ad Alzano, Nembro, nella bergamasca, ecc.

L’associazione degli industriali ha voluto tenere aperta la fabbrica globale del profitto, aggirando, con le autocertificazioni fasulle, la complicità del governo e l’assenza di ogni minimo controllo istituzionale, le prescrizioni di un lockdown che ha colpito in prevalenza commercio e piccole attività.

Si tratta di quella stessa Confindustria che, per bocca di Domenico Guzzini, suo presidente delle Marche, ha avuto il coraggio di dire che “bisogna aprire e, se qualcuno muore, pazienza…”.

Oggi, i padroni riscoprono con fervore che la salvaguardia della salute dev’essere messa al primo posto.

Ma al primo posto, come sempre, sta il loro portafoglio e la difesa dei profitti. Il loro intento di estendere il green pass in tutti i posti di lavoro nasce dalla volontà di liberarsi di ogni minima incombenza riguardo alle sanificazioni, alle misure di sicurezza (distanza interpersonale, scaglionamento dei turni), a quegli obblighi minimi cui pure hanno dovuto sottostare.

Per loro, come per il governo, l’obiettivo è trasformare la pandemia da problema sociale in problema individuale, da scaricare sui lavoratori una volta per tutte.

Se così non fosse, il governo si sarebbe adoperato in un anno e mezzo di pandemia quanto meno per ridurre i fattori che hanno determinato l’espansione del contagio e la crescita dei decessi.

Parliamo innanzitutto di una indispensabile inversione di tendenza nella sanità, sia dal punto di vista dell’assunzione di personale, sia dal punto di vista degli indirizzi generali su cui il sistema sanitario è stato strutturato negli ultimi tre decenni.

In questi anni, si è persa ogni traccia di medicina territoriale a favore di una organizzazione centrata sui grandi ospedali, una scelta capace di convogliare le risorse economiche verso i centri di spesa maggiormente redditizi e di
funzionare da volano tanto per il rafforzamento parallelo della sanità privata quanto per la crescente aziendalizzazione della stessa sanità pubblica.

Se la perdita dei presidi sanitari territoriali è stata un danno in linea generale, si è rivelata addirittura disastrosa per il contrasto alla pandemia, lasciando la massa dei contagiati senza cura, in balia di se stessi, in attesa della guarigione o dell’aggravamento e del ricovero in ospedali sempre più intasati e sotto stress.

E lo stesso dicasi per la mancanza di ogni medicina preventiva.

Le ricorrenti spending review, che hanno lasciate intatte le spese in conto capitale, hanno invece colpito la spesa per il personale, dando il colpo di grazia ad un sistema sempre più incapace di svolgere il suo ruolo.

Su tutte queste materie, il governo non ha fatto e non farà nulla di diverso dal passato, come dimostra chiaramente il PNRR approvato.

E lo stesso dicasi per la scuola, con le classi-pollaio sempre presenti, le mancate assunzioni di insegnanti e l’edilizia fatiscente, così come per il trasporto pubblico, ecc.

Dobbiamo denunciare con forza e sviluppare iniziative di lotta su ciascuno di questi aspetti, perché su questi terreni si gioca la battaglia complessiva contro la pandemia e la possibilità di uscirne.

La necessità di contrastare il green-pass sui luoghi di lavoro nasce proprio dalla necessità di combattere il tentativo del governo di mettere la pietra tombale definitiva su ogni cambiamento delle condizioni di vita in cui sono costretti a
vivere i proletari, aizzando la contrapposizione fra i lavoratori vaccinati (la grandissima maggioranza) e i pochi non vaccinati.

A fronte di un beneficio residuale trascurabile, il governo interviene sulla questione
con un attacco pesantissimo per privare i lavoratori non vaccinati del loro salario.

Si interviene con la scure contro i diritti fondamentali dei lavoratori per ottenere un risultato minimo, ma non si fa nulla per aggredire, se non le cause, almeno i fattori di amplificazione del contagio.

Non si tratta di un errore di valutazione, si tratta invece di una politica che ha come stella polare la difesa del profitto, il rilancio dell’accumulazione capitalistica e dello sfruttamento e che solo a questi fini vuole utilizzare le risorse del bilancio statale e del PNRR.

E’ allora fondamentale che la nostra iniziativa di lotta sappia collegare le reazioni contro l’uso del green-pass che spontaneamente si sono prodotte qua e là fra i lavoratori in difesa dei loro diritti e del loro salario

agli obiettivi generali che abbiamo prima richiamato (sanità, scuola, trasporti, vivibilità dei quartieri proletari), senza nessuna concessione a punti di vista individualistici che non hanno nulla a che vedere con la costruzione di percorsi di lotta collettivi, fondati sulla necessità che i proletari come classe prendano su di sé la responsabilità della difesa della loro salute e della loro vita.

Noi sosteniamo che questa pandemia può e deve essere combattuta anche con la diffusione più ampia possibile del vaccino, ma siamo contro ogni interessata retorica che fa del vaccino l’unica arma “per tornare alla normalità”.

L’opposizione al green-pass deve basarsi, per noi, sul rifiuto di qualunque rappresaglia contro i proletari sui posti di lavoro, tenendo presente che non esistono attualmente focolai infettivi nella sanità o nella scuola, dove peraltro gli studenti non sono tenuti ad avere il green-pass.

Non ci strappiamo le vesti per l’impossibilità di recarci al ristorante al coperto.

Sappiamo che la lotta alla pandemia comporta limitazioni e disagi; del resto, gli stessi lockdown, che pure sono a volte indispensabili per frenare la circolazione del virus, comportano limitazioni ben più estese e penalizzanti.

Ma ci dobbiamo opporre all’utilizzo del green-pass per colpire i lavoratori nei loro diritti essenziali, sapendo che governo e istituzioni si muovono in tal senso proprio per mantenere e rafforzare gli assi portanti di un attacco permanente ai proletari.

Esemplare, in tal senso, è il mancato rifinanziamento del fondo dell’INPS che erogava il pagamento delle quarantene fiduciarie ai lavoratori.

Questo vuol dire che chi deve rimanere in isolamento perché entrato in contatto con un positivo o perché rientra in Italia da un paese per il quale la quarantena è obbligatoria, sarà costretto a consumare le proprie ferie residue o vedere il suo salario decurtato in misura considerevole.

Una misura del genere è un vero e proprio incentivo al contagio, a tenere celata la propria condizione di rischio per non veder compromessa la propria possibilità di vivere.

E tale norma viene da un governo che ogni giorno sostiene di operare per la salute della popolazione!

Per questi motivi, come siamo stati lontani da qualunque suggestione di partecipazione, anche “critica”, alle piazze no green-pass delle scorse settimane, parteciperemo a quelle iniziative che mettono al centro della mobilitazione la difesa dei lavoratori, l’opposizione ad ogni intervento repressivo, l’attacco ai loro diritti e al loro salario in nome della lotta alla pandemia.

Un passo importante in questa direzione è far comprendere alla massa più grande possibile di proletari l’importanza della piena riuscita dello sciopero generale dell’11 ottobre.

Se questo avrà successo, se la mobilitazione coinvolgerà un settore di lavoratori più ampio e combattivo della consueta area d’influenza del “sindacalismo di base”, si rafforzeranno le condizioni per impostare una lotta generale al governo, ai padroni, alla Confindustria, che sappia legare ogni questione specifica agi obiettivi di lotta generale che la piattaforma dell’Assemblea delle lavoratrici e dei lavoratori combattivi ha già elaborato.

S.I. Cobas nazionale