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[CONTRIBUTO] Il legame tra cancro e ambiente negli studi di epigenetica. Un’intervista a Ernesto Burgio

Il legame tra cancro e ambiente negli studi di epigenetica.

Un’intervista a Ernesto Burgio

(nella foto: l’Ilva di Taranto, una delle più grandi fabbriche siderurgiche d’Europa)

Pubblichiamo qui sotto un breve, incisivo intervento di Ernesto Burgio, fatto a presentazione di un convegno dedicato agli studi di epigenetica in relazione al cancro.

Gli studi di epigenetica, recenti e in rapida crescita, riguardano, per usare una metafora, gli spartiti cangianti secondo cui viene interpretata in un modo o nell’altro la musica potenzialmente racchiusa, a livello strutturale, nel nostro patrimonio genetico. In questo intervento, Burgio sottolinea come l’interpretazione del cancro alla luce dell’epigenetica, come adattamento fuori controllo dello spartito alle stimolazioni ambientali, chiami in causa con rinnovata forza il nesso tra il fenomeno del tumore, il male del XX secolo, con tutto il suo incremento, specie tra i bambini, e appunto l’ambiente, ovvero la società del capitalismo; si parla, per esempio, di inquinamento atmosferico e delle acque, di circolazione di sostanze nocive nelle catene alimentari, etc.

Questa interpretazione permetterebbe quindi di chiudere i conti con la spiegazione secondo cui il cancro va ricondotto ad un accumulo di modificazioni casuali del materiale genetico, configurandosi addirittura, come è stato affermato anche di recente su “Science”, come un fatto di “sfortuna”. Tale spiegazione sembra essere oggi completamente invalidata, anche perché non permette di dare conto dell’incremento dei casi di tumore e della loro crescente incidenza sui bambini. Né, poi, si tratta di una spiegazione meramente descrittiva; è piuttosto intrisa di conservatorismo. Se devo studiare il cancro concentrandomi sull’organismo singolarmente preso, l’ambiente diviene irrilevante. Se devo restare nel chiuso del singolo organismo, la società, così come il suo rapporto con l’ambiente, scompaiono.

Burgio batte con forza sul chiodo della medicina preventiva e sociale, perché se è l’ambiente che ti fa ammalare, è sull’ambiente, cioè sulla società, che si deve metter mano, trasformandola radicalmente. Tempo fa, per far luce sull’andamento drammatico della pandemia, abbiamo pubblicato un contributo sullo studioso militante Giulio Maccacaro, che propugnava quei sistemi di medicina preventiva, territoriale e in genere “sociale” di cui, come si è visto con lo scoppio della pandemia, non è rimasta nemmeno l’ombra.

Ci sono altri punti di contatto tra le questioni toccate da Burgio e le discussioni sulla pandemia in corso. Gli studi epigenetici sul cancro, con la sottolineatura dell’impatto sulla salute di un ambiente sociale nocivo, vanno a parare sul medesimo punto di quella che è probabilmente la lettura più corretta della violenza selettiva – socialmente selettiva – del covid-19: la lettura della pandemia come sindemia, secondo la quale il virus colpisce tanto più duramente organismi già messi a dura prova da una cattiva condizione sociale, e dunque di salute. Del resto, come dice P. Vineis parlando sempre di epigenetica, far vedere i nessi tra ambiente nocivo e malattia significa gioco forza mostrare il carattere squisitamente di classe di innumerevoli condizioni patologiche.

Speriamo con contributi come questo di aiutare ad uscire dal dibattito asfittico, che rischia di diventare perfino nocivo, su green pass e affini. Solo uno sguardo critico e a tutto tondo sulle questioni sanitarie – riguardanti la devastazione ambientale, la nocività dell’ambiente di lavoro e di vita del proletariato in ogni angolo del mondo, l’assenza di sistemi sanitari all’altezza dei bisogni sociali, etc. – permette di far luce sulla devastazione della natura e di larga parte dell’umanità ad opera di un sistema economico, il capitalismo, che più si avvita su sé stesso, più è pericoloso.