18 e 19 settembre: due importanti giornate di mobilitazione, in vista dello sciopero generale dell’11 ottobre
– Csa Vittoria
Riceviamo dal Csa Vittoria di Milano e volentieri pubblichiamo.
Sabato 18 e domenica 19 settembre abbiamo partecipato a 2 belle e importanti giornate di mobilitazione che ci auguriamo possano andare esplicitamente nella stessa direzione.
SABATO 18 SETTEMBRE abbiamo partecipato al corteo indetto dal collettivo dei lavoratori della GKN contro i licenziamenti e contro la ristrutturazione padronale.
Un bel corteo partecipato e animato dai protagonisti delle mille sfaccettature del conflitto tra capitale e lavoro. Un conflitto inevitabile tra gli inconciliabili interessi di classe di padronato e lavoratori. Abbiamo marciato e gridato slogan al fianco della entusiastica combattività dei lavoratori del SI Cobas della Texprint di Prato. Lavoratori protagonisti di una lotta che dura da diversi mesi, che si sono ribellati a severe condizioni di sfruttamento agendo forme di lotta rigide e conflittuali evidenziate dalla netta incompatibilità con gli interessi del “padrone” di turno e forse per questo meno “presentabili” agli occhi di chi vorrebbe l’avanzamento sul terreno dei diritti senza conflittualità; e che per questi motivi non hanno ricevuto la stessa solidarietà trasversale e il medesimo sostegno mediatico “democratico”. Esattamente come lo diventeranno anche i lavoratori e le lavoratrici della GKN quando, una volta finita la prima schermaglia giuridica con il Tribunale che ha sanzionato l’illegittimità procedurale dei licenziamenti, Melrose rispetterà le forme previste e il problema diventerà passare dalla denuncia della barbarie del licenziamento alla dura e faticosa resistenza quotidiana all’attacco padronale inventandosi giorno per giorno la possibilità di colpirne gli interessi.
Siamo stati a questo grande corteo portando con noi lo striscione per il compagno Adil, con il suo nome e il suo volto gridando fino a sgolarci che lui continuerà a vivere nella rabbia e nella lotta di classe. Ed è proprio questa la questione centrale che deve attraversare ogni riflessione tattica o di prospettiva: la trasformazione in lotta di classe generalizzata di ogni esperienza di lotta e di ogni vertenza.
La stessa lotta per la sopravvivenza di centinaia di famiglie di lavoratori e lavoratrici, la difesa del posto di lavoro, devono essere palestra politica di lotta di classe per darsi una prospettiva di un miglioramento complessivo delle condizioni di vita per l’intera classe o altrimenti non sarà sufficiente.
Solidarizziamo con il collettivo dei lavoratori della GKN e confidiamo che, senza alcuna incertezza, comprenderanno come la possibile soluzione al loro licenziamento stia nella capacità di allargare gli orizzonti, uscire dalla fabbrica e porre la loro vertenza all’interno di un conflitto di classe generalizzato contro tutti i licenziamenti e i piani di Confidustria di ricominciare un nuovo ciclo di accumulazione di profitti con il restringimento del numero dei posti di lavoro e con condizioni di lavoro sempre più precarie e flessibili come la presunta “ripresina” sta evidenziando.
Questo crediamo sia l’unico presupposto possibile per costruire un fronte di resistenza che possa incidere sui piani di ristrutturazione.
Solidarietà tra i lavoratori divisi in mille lavori, ma uniti in una sola classe.
Domenica 19 settembre abbiamo poi assistito ad un’assemblea affollatissima con più di 400 lavoratori attivi nelle lotte. Un’assemblea vissuta dall’inizio alla fine con estrema attenzione e partecipazione dai presenti, nella quale è emerso il difficile quadro della situazione di attacco al lavoro da parte della controparte padronale e dell’attuale governo politico del capitale e della necessità di un fronte unico di classe. Un fronte di classe che sappia e possa opporsi a questa nuova ristrutturazione che ha caratteri epocali, sottolineati dalla presenza stessa del capitale produttivo e finanziario al governo del paese senza quasi più mediazioni politiche.
In questo senso è stata criticata da tutti, senza cadere nell’errore dell’autosufficienza, l’assenza di altre strutture del sindacalismo di base ancora avviluppate in una logica mera di sopravvivenza sindacale evidenziando purtroppo una forma di incredibile miopia politica. Naturalmente l’assemblea, oltre alla doverosa critica, si è espressa a favore della ricerca di un processo il più possibile unitario di costruzione dello sciopero generale. Ed è ciò che ci auguriamo come presupposto perché ci possa essere un dopo 11 ottobre come dato assolutamente necessario e richiesto dalla difficoltà della fase a tutte e tutti noi.
L’assemblea è entrata nel merito, anche con il nostro piccolo contributo, delle modificazioni dell’organizzazione capitalistica del lavoro attuate per affinare meglio gli strumenti di dominio, controllo e ricatto sui lavoratori. In questo senso l’assemblea ha denunciato la progressiva “amazzonizzazione” dei posti di lavoro, con l’abuso della gestione in appalto, dello staff leasing, delle agenzie interinali e di come sia necessario fin da subito un aggiornamento di analisi e di pratiche di lotta contro questi nuovi paletti imposti dal capitale.
Rigidità nella difesa del posto di lavoro – lavorare meno lavorare tutti – diminuzione dell’orario a parità di salario – ecc.
Dobbiamo nel contempo porci, analiticamente e come metodo di lotta, il problema di fornire risposte (salario sociale, nuovo reimpiego) ai bisogni del settore, prevedibilmente sempre più in espansione, dei lavoratori licenziati o ciclicamente intermittenti nel sistema produttivo.
Senza voler essere profeti di catastrofi crediamo che questo settore potrà essere tragicamente in aumento anche a causa del passaggio a tecnologie e a paradigmi produttivi più rispettosi degli ecosistemi. A solo titolo esemplificativo, l’intero ciclo della produzione dell’auto elettrica comporta costi inferiori e un impiego minore di mano d’opera; i nuovi processi di automazione e di informatizzazione comporteranno la creazione di una quota di lavoratori superflui, ecc. Insomma, una massa di lavoratori espulsi dalla produzione utili al padronato quale esercito industriale di riserva, ma sempre di più da tenere parcheggiati in attesa di una nuova ripresa generale che anche gli economisti borghesi sanno che difficilmente potrà avvenire.
Questo stato di crisi perenne che oggettivamente aumenta la distanza delle punte di un’ipotetica forbice salariale e indicatrice delle opposte condizioni di vita, ci pone un ulteriore responsabilità soggettiva: se per un verso il problema è certamente quello di fornire risposte “sindacali” alla materialità dei bisogni di milioni di proletari e proletarie, dall’altro siamo tutti ben coscienti che la caduta tendenziale del saggio di profitto e la saturazione di alcuni mercati e zone del pianeta, con il condimento di cicliche crisi belliche circoscritte, non potrà che rafforzare questa tendenza. Ciò pone a noi, un noi tutti e tutte collettivo, allargato a tutto il sindacalismo di base e a tutte le strutture di autorganizzazione sociale e territoriale, a chi si occupa di contraddizioni di genere, a chi si batte a fianco degli immigrati e del diritto a un tetto dignitoso, di porci il problema di una risposta “politica” nella prospettiva di una rottura anticapitalista e di una trasformazione complessiva in una società che metta al centro l’uomo e la natura con i suoi bisogni complessivi.
Non abbiamo mai creduto e invitiamo a perdere definitivamente l’illusione, e la speranza acquiescente, di trovarsi all’interno di un positivo processo di espansione continua e infinita della “democrazia borghese”, perché l’acuirsi della crisi ha invece reso evidente, per chi ne avesse avuto bisogno, di come ci sia al contrario una trasformazione in forme di “democrazia autoritaria” che se da una parte spande olio sulla superficie del mare per pacificare e mettere la sordina alle innumerevoli occasioni di conflitto (e il risorgere del nazionalismo ne è un sintomo evidente), procede invece con violenza l’assoluta repressione (arresti, denunce e fogli di via a piene mani) delle lotte che si pongono su un piano concreto di incompatibilità politica con i piani di ristrutturazione.
La crisi pandemica ne ha accentuato le caratteristiche e contro questa tendenza crediamo debba muoversi tutto il movimento sindacale e politico che scenderà davanti ai cancelli delle fabbriche, davanti alle scuole, nei territori e in piazza l’11 ottobre perché finalmente siano i padroni a pagare la loro crisi.
I compagni e le compagne del Csa Vittoria