LA MOBILITAZIONE DEL BLACK FRIDAY
PONE CON FORZA LA NECESSITÀ IMMEDIATA DI UNA BATTAGLIA
SINDACALE E POLITICA CONTRO IL MODELLO-AMAZON
Venerdì scorso centinaia di lavoratori del SI Cobas, in larga parte operai della logistica provenienti da varie città d’Italia, hanno presidiato i cancelli del mega-impianto Amazon di Castel San Giovanni (Piacenza); con loro alcune decine di studenti e di solidali.
Abbiamo scelto di aderire all’appello lanciato dalla rete internazionale “Make Amazon Pay” con l’obbiettivo di dare continuità alla partecipatissima iniziativa in occasione dello sciopero generale del sindacalismo di base dell’11 ottobre, e quindi di dar voce alle lotte contro lo sfruttamento e i bassi salari imposti dal sistema-Amazon.
Ci siamo concentrati fuori ai cancelli di Castel San Giovanni in concomitanza con il “Black Friday”, divenuto ormai a livello mondiale il simbolo e l’apice di un modello di consumismo sfrenato fondato su una riduzione dei prezzi al dettaglio che è il frutto dell’aumento mostruoso dei ritmi e dei carichi di lavoro dei facchini, dei drivers e dei magazzinieri, e dei salari da fame resi possibili da un sistema di precarietà generalizzata delle condizioni di lavoro e contrattuali: un sistema che durante la fase pandemica si è ulteriormente inasprito e che oggi vede la gran parte dei lavoratori Amazon inquadrati da anni con contratti a tempo determinato o in somministrazione, sotto il ricatto permanente del mancato rinnovo e quindi di fatto impossibilitati ad organizzarsi in un sindacato che faccia valere le loro ragioni e i loro interessi.
Proprio alla vigilia del Black Friday, i sindacati confederali Filt Cgil, Fit Cisl e Uil Trasporti hanno revocato lo sciopero in Amazon con la scusa di aver firmato un accordo con l’azienda: un accordo che essi spacciano come migliorativo, ma col quale in realtà si legittimano e si ratificano le condizioni di semischiavitù imposte dai padroni fino al punto di prevedere percentuali abnormi di contratti precari sul singolo impianto (fino al 70%!) in cambio di qualche modesto miglioramento salariale.
Dietro la retorica dell’”ultimo miglio” si nasconde una realtà fatta di ritmi di lavoro disumani, in cui è vietato persino andare in bagno durante il turno, pena severi provvedimenti disciplinari e in cui ogni diritto previsto dai contratti collettivi nazionali, dalle ferie alla malattia, dai congedi familiari alle tutele per le lavoratrici-madri, può essere cancellato o negato in nome delle “superiori” necessità del mercato.
La mobilitazione di venerdì non è stata una semplice iniziativa di solidarietà: i lavoratori del SI Cobas, provenienti da alcune delle più importanti filiere della logistica nazionale e internazionale (DHL, BRT, SDA, GLS, FedEx, UPS, Fercam, ecc.) e delle più importanti filiere del commercio al dettaglio (Leroy Merlin, Ikea, Zalando, Zara, ecc.) stanno già sperimentando sulla propria pelle come il modello-Amazon stia diventando sempre più il paradigma di riferimento nell’intero settore.
Ovunque i padroni spingono in maniera ossessiva per incrementare le quote di contratti a termine ed interinali, col duplice scopo di assicurarsi, da un lato, una ampia riserva di manodopera di “serie B” priva di diritti e ultraricattata, e dall’altro di scatenare una selvaggia competizione al ribasso sul costo del lavoro in modo da peggiorare le condizioni contrattuali e salariali degli stessi lavoratori a tempo indeterminato e scardinare definitivamente sia le barriere poste dal CCNL, sia soprattutto le conquiste strappate in questi anni dalle lotte condotte dal SI Cobas e dal sindacalismo di base.
Venerdì mattina abbiamo bloccato per oltre 4 ore i due cancelli dell’impianto di Castel San Giovanni, interrompendo il flusso di merci nell’arteria principale del gigante mondiale dell’e-commerce.
Non si è trattato di un’iniziativa simbolica, ma di un tassello di una strategia tesa a costruire un fronte di classe dei lavoratori che su scala nazionale e internazionale che sia capace di contrapporsi alle politiche di fame e di precarietà che colpiscono i proletari senza distinzioni di categoria e di nazionalità.
In questi mesi stiamo fronteggiando con tutte le nostre forze un’offensiva padronale che facendo leva sullo sblocco dei licenziamenti varato dal governo Draghi, si abbatte in maniera violenta sui salari diretti e indiretti, in un quadro reso ancora più drammatico dall’aumento del costo della vita e dei generi di prima necessità connesso alla ripresa dell’inflazione e ai processi di profonda ristrutturazione imposti dalla crisi pandemica: una crisi sanitaria, economica e sociale che ha messo a nudo, come mai prima d’ora, l’inefficienza, l’irrazionalità e la barbarie del sistema capitalistico su scala internazionale.
Sulle nostre iniziative si abbatte quotidianamente una scure repressiva che non ha precedenti: alle rivendicazioni sindacali e sociali, i governi e lo stato dei padroni non hanno altra risposta da dare che le cariche della polizia, i manganelli, i fermi, i fogli di via e le innumerevoli misure di sorveglianza e di limitazione della libertà personale; ciò a dimostrazione che questo sistema, a partire dalle sue istituzioni “democratiche”, non ha nulla da offrire ai lavoratori e alle masse sfruttate, se non il peggioramento costante e inesorabile delle condizioni salariali e di vita.
Al termine dell’iniziativa di lotta abbiamo promesso che torneremo presto fuori ai cancelli di Amazon, sempre più forti, decisi e organizzati: auspichiamo che la nostra mobilitazione funga da sveglia per tutti coloro che non intendono accettare passivamente la progressiva “amazonizzazione” del mondo del lavoro e dell’intera società, e possa contribuire a creare i presupposti per la costruzione in tempi brevi di un nuovo sciopero generale nazionale.
Solo la lotta paga
Toccano uno – toccano tutti!
28 novembre
SI Cobas nazionale
IL SI COBAS ADERISCE
ALLA CAMPAGNA INTERNAZIONALE “MAKE AMAZON PAY”
E PROMUOVE UNA GIORNATA DI MOBILITAZIONE PER IL 26 NOVEMBRE
Il S.I. Cobas nazionale ha deciso nei suoi organi di vertice di scendere in campo per il “black Friday” del prossimo 26 novembre, coordinandosi con oltre mille realtà sindacali in tutto il mondo (Germania, Francia, Stati Uniti, Giappone…) nell’ambito della campagna “make Amazon pay”.
L’obiettivo dichiarato è il modello di lavoro precario promosso dalla multinazionale Amazon e in via di estensione nel mercato del lavoro.
L’iniziativa si tradurrà in scioperi e blocchi su tutti i siti Amazon in Italia, compreso quello di Piacenza.
Lo sfruttamento diretto da Amazon crea un precedente per tutto il territorio italiano, ponendo le basi per la rovina di una intera generazione di lavoratori.
Gli effetti nefasti non si fermano infatti ai magazzini Amazon o ai siti dove operano i corrieri di Assoespressi, loro partner nel trasporto merci, ma arrivano a influenzare negativamente tutti i posti di lavoro, che a quei modelli contrattuali si adeguano.
Da marzo scorso, il S.I.Cobas ha stilato una piattaforma rivendicativa nazionale volta a tutelare tutti i facchini impiegati direttamente e tutti i corrieri operanti nelle numerose aziende federate ad Assoespressi, piattaforma nella quale si richiede l’adozione del corretto contratto nazionale, quello della logistica, che prevederebbe il rispetto dei sabati e delle domeniche a differenza di quello “commercio” attualmente in uso.
Non solo: a fronte dell’estremo sacrificio dei lavoratori, si richiedono ticket mensa, premi di produzione, investimenti nella sicurezza e soprattutto la fine del ricorso smodato ai contratti precari, oggi ampiamente al di fuori del tetto massimo del 25% previsto dalla legge.
Fondamentale anche la riduzione dei carichi di lavoro per i driver di Assoespressi e la riduzione di responsabilità in caso di danni e franchigie.
Tutti queste rivendicazioni risultano ad oggi bloccate dal ruolo complice svolto dai sindacati confederali.
In questi anni, essi hanno messo in campo blande azioni simboliche che non hanno ottenuto nessun risultato se non il loro riconoscimento da parte dell’azienda e il conseguente versamento di qualche quota sindacale.
Non solo: ad ogni manifestazione davanti ad Amazon tenutasi nell’ultimo anno, è regolarmente seguita una recrudescenza ingiustificabile in termini repressivi: denunce, fogli di via, avvisi orali.
Ciò rende ancora più grave la situazione di extra-legalità di Amazon.
La richiesta del ritiro immediato di tutte queste misure a carico dei sindacalisti e dei lavoratori diviene quindi un punto della piattaforma.
Che sia Amazon a pagare le scelte politiche repressive delle istituzioni italiane.
Il 26 novembre, data tristemente nota come “black Friday”, sarà quindi una giornata dalla enorme valenza politica, a cui invitiamo tutti gli attivisti impegnati a vario titolo nella lotta per un mondo più umano e in cui il lavoro non sia una merce di scambio con la dignità.
Ci appelliamo a disoccupati, studenti, militanti, operatori sanitari già sfruttati in prima fila contro il Covid: il 26 novembre deve essere un segnale di unità che veda tutti uniti nel blocco di 24 ore alle attività di Amazon, blocco che mai arriverà altrimenti da parte dei sindacati che in tutti questi anni hanno recitato la parte per permettere che nulla cambiasse.
Solo il blocco degli interessi padronali può impensierire i nuovi “padroni del vapore” e aprire uno spiraglio su un domani più degno di essere vissuto.
16 novembre
Coordinamento nazionale SI Cobas