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[CONTRIBUTO] Germania – L’”ultimo chilometro” di Amazon, motore della precarizzazione del lavoro

Germania

L’”ultimo chilometro” di Amazon, motore della precarizzazione del lavoro

– Jorn Boewe

Riprendiamo qui di seguito due pezzi informativi sulle proteste e gli scioperi del prossimo “Black Friday” (26 novembre) contro Amazon, che si svolgeranno in almeno 20 paesi. Come si è visto lo scorso anno, e si tornerà a vedere anche questa volta, sono compresenti in questa giornata spinte e impostazioni tra loro divergenti, anzi: alternative, che vanno dall’impostazione istituzionale, sotto-riformista di UNI Global Union, il sindacato dei servizi aderente all’ITUF (International Trade Unions Confederation), a quella di classe, militante in Italia (SI Cobas), in Polonia (OZZ Inicjatywa Pracownicza Amazon) e in alcuni paesi asiatici, con la presenza in diversi paesi (a cominciare dalla Germania) di nuclei proletari combattivi dentro le stesse strutture istituzionali.

Su questa eterogeneità fa premio, secondo il nostro punto di vista, l’azione internazionale congiunta di protesta e di sciopero di decine di migliaia di proletari attraverso il mondo, che è comunque un terreno favorevole al maturare di un sentimento internazionalista, di comunità di interessi e di destini dei lavoratori che sono sotto il comando dispotico di Amazon, anche al di là dei confini di Amazon. (Traduciamo da https://alencontre.org/europe/allemagne/allemagne-le-dernier-kilometre-damazon-moteur-dune-precarisation-du-travail.html)

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Amazon sta riorganizzando la propria logistica. I diritti del lavoro e la dignità non giocano alcun ruolo. “Macchina, io sono una macchina”, dice l’autista del furgone bianco. “Dodici ore, ogni giorno, per quattro anni. Ma se non lavoro, non vengo pagato». Quest’uomo consegna pacchi per Amazon, il numero 1 al mondo delle vendite on line. Ogni mattina, fa la coda con il suo camion delle consegne di fronte al centro di distribuzione di Amazon a Francoforte sul Meno.

Ma in questa mattina di fine estate, inizio settembre 2021, qualcosa è diverso: un piccolo gruppo di sindacalisti sta distribuendo volantini in diverse lingue agli autisti. Iniziano subito una conversazione. Le storie sono simili: gli autisti raccontano giornate di dieci o dodici ore, la pressione sul lavoro, i turni giornalieri con 250 consegne. Alla fine del mese ricevono dai 1000 ai 1200 euro, spesso in ritardo. A volte ci sono delle detrazioni, ad esempio per uno specchietto rotto o per qualche graffio sul veicolo.

Uno sguardo più attento rivela che molte di queste misure violano il diritto del lavoro tedesco. Ma: “dove non c’è denunciante, non c’è giudice”. I conducenti spesso non conoscono i loro diritti. Molti provengono dall’Europa dell’Est, alcuni dal Medio Oriente. Per sopravvivere, dipendono da questo lavoro. Il coraggio di affrontare il loro “datore di lavoro” è difficile da trovare.

L’azione a Francoforte è stata organizzata dal sindacato del settore dei servizi Verdi e dalla rete di aiuti DGB (Deutscher Gewerkschaftsbund) “Faire Mobilität”. Circa 100 persone in piccoli team distribuiscono materiale informativo a più di 8.000 conducenti che viaggiano per Amazon per effettuare “l’ultimo miglio” [1] o consegne di pacchi per il trasporto a mezzo camion. Tuttavia, nessuno di loro è impiegato da Amazon. Fin dall’inizio, l’azienda ha esternalizzato il suo rischio imprenditoriale di consegna a una rete di piccoli appaltatori che competono tra loro e trasferiscono la pressione sui loro lavoratori.

Il proprio aeroporto ad Halle

In Germania, Amazon gestisce 14 grandi magazzini di spedizione tra Amburgo e Monaco di Baviera. In molti di loro ci sono scioperi da anni. Ma oltre alle vendite per corrispondenza, l’azienda sta sviluppando anche altre aree strategiche. Una di questi è la logistica. Amazon è passata alla spedizione di container e gestisce la propria compagnia aerea merci, che oramai si trova al quarto posto [Amazon ha acquistato aerei da Delta Airlines, da WestJet; Amazon Air annuncia l’obiettivo di 200 aerei entro sei-sette anni]. Nell’autunno 2020, la compagnia ha inaugurato la propria piattaforma per il trasporto aereo di merci all’aeroporto di Halle-Lipsia. Nel bel mezzo della crisi del coronavirus, che non è stata certo una crisi per Amazon, è avvenuto il più grande boom di sempre per l’azienda.

La parte più critica della filiera è l’”ultimo miglio”. È quando il pacco arriva al cliente finale che le cose possono andare storte. I veicoli per le consegne sono bloccati nel traffico o non trovano parcheggio, i destinatari non sono in casa, gli indirizzi non sono chiari, i corrieri devono recarsi alla porta d’ingresso al quinto piano del secondo edificio situato in seconda fila o passare davanti a cani aggressivi. E, cosa più importante ancora per Amazon, il 50% dei costi è sostenuto nell’ultimo miglio.

Non sorprende che Amazon abbia cercato di prendere il controllo dell’”ultimo miglio” per circa cinque anni. Con la sua divisione Amazon Logistics, l’azienda sta creando un proprio servizio di consegna ed è sempre più indipendente da aziende come Deutsche Post DHL e Hermes Logistik Gruppe Deutschland. Questo è un altro fattore di precarietà in un settore già sottoposto a un’enorme pressione competitiva. “Delivery Service Partners” (DSP) è il nome della rete di subappaltatori creata appositamente da Amazon. Inoltre, questi ultimi stanno sperimentando un modello occupazionale basato su una piattaforma, come Uber o altre aziende della gig economy: i “corrieri indipendenti” possono registrarsi tramite l’applicazione “Amazon Flex” e consegnare i pacchi con la propria auto. In cambio, ricevono 25 euro all’ora, con i quali devono pagare non solo le spese mediche, ma anche le spese di funzionamento e la previdenza sociale.

L’onere principale dell’attività di consegna grava però sulle “DSP”, piccole aziende da cinque a dieci fino a 25 automezzi, che ogni mattina si allineano davanti ai centri di distribuzione delle merci insieme agli autisti di altre aziende più o meno della stessa dimensione. Amazon ha creato circa 50 centri di distribuzione regionali in Germania. È qui che vengono pianificati i giri di consegna e i pacchi vengono caricati sui camion di consegna. Amazon non ha inventato il sistema di outsourcing nella consegna dei pacchi – lo usano anche Hermes, DPD (del gruppo francese La Poste), GLS (General Logistics Systems, olandese); e questo è sempre più il caso di DHL. Ma in modo molto più coerente di qualsiasi altro concorrente, Amazon combina i vantaggi aziendali di questo outsourcing con il monitoraggio digitale, il controllo tramite algoritmi e l’intelligenza artificiale (IA).

Tina Morgenroth del Centro di consulenza della Turingia “Faire Mobilität” ha esaminato come esempio il centro di distribuzione aperto a Erfurt-Stotternheim alla fine del 2019. Non perché si stesse scagliando contro Amazon, ma perché sempre più lavoratori dei subappaltatori di Amazon si presentavano al suo centro di consulenza con problemi – ora circa 150 hanno chiesto un supporto. Sottolineano condizioni di lavoro che non dovrebbero esistere ai sensi del diritto del lavoro vigente. Turni da dieci a dodici ore, sei giorni alla settimana, nessuna indennità di malattia, salari al di sotto del salario minimo legale, pressione sul lavoro che impedisce le pause obbligatorie per legge. Nondimeno i tempi di pausa vengono automaticamente sottratti: l’IA ti invia i suoi “saluti”.

I controlli effettuati dalle competenti autorità per la tutela del lavoro non hanno finora rappresentato una seria minaccia per Amazon. È difficile imputare [legalmente] alla società Amazon la responsabilità delle condizioni di lavoro dei suoi subappaltatori. Inoltre, i subappaltatori sono spesso difficili da sottoporre a procedura. Ad esempio, a metà luglio, l’autorità per la protezione del lavoro della Turingia ha riscontrato violazioni presso 21 appaltatori di pacchi Amazon. Tuttavia, poiché 20 di queste società hanno la loro sede al di fuori della Turingia, non sono legalmente responsabili. La salute e la sicurezza sul lavoro sono di competenza dei Länder. Tuttavia, il problema – il sistema Amazon – è globale!

(Articolo pubblicato dal settimanale Der Freitag, il 4 ottobre 2021)

Jörn Boewe, in collaborazione con Tina Morgenroth e Johannes Schulten, ha appena pubblicato, per la Fondazione Rosa Luxemburg e DGB Bildungswerk Thüringen, la brochure Amazons letzte Meile. Ein Onlinehändler als Prekarisierungstreiber in der Paketlogistik (L’ultimo miglio di Amazon. Un venditore online come fattore di insicurezza nella logistica dei pacchi).

Note

[1] Secondo Annexx Business Service, “la questione dell’ultimo miglio è cruciale per un colosso del web che cerca di ridurre i propri costi logistici (dalla gestione dei flussi logistici dai distributori alla logistica distributiva al cliente finale) per rimanere il più competitivo possibile nelle attività di consegna. Le cifre riflettono la portata delle sfide commerciali e logistiche: la consegna dell’ultimo miglio rappresenta quasi un quarto dei costi logistici. E nel 2020 le merci locali rappresentano circa il 20% del traffico urbano!”. Jeff Bezos ha annunciato piani di incentivi per creare start-up in outsourcing per consegnare pacchetti Amazon all’ultimo miglio.