Una storia di ordinario e disumano sfruttamento
Quello che vogliamo raccontare è la storia dei lavoratori di una cooperativa che lavora presso il capannone GLS Italy di Cerro al Lambro, la cooperativa Papavero; una cooperativa di facchinaggio come tantissime altre nell’immenso arcipelago delle cooperative, che manifesta ormai una tendenza a coprire tutta l’area del lavoro subordinato. E come quasi tutte le storie che riguardano il mondo delle cooperative, è una storia fatta di sfruttamento disumano, di violazione continua e sistematica dei diritti dei lavoratori, di mancato rispetto dei contratti, di maltrattamenti e di umiliazioni.
Di cooperative vere, genuine ce ne sono poche, la maggior parte sono false cooperative, messe in piedi dalle stesse imprese committenti attraverso la creazione di società da loro direttamente controllate, oppure attraverso dei semplici prestanome. Cooperative costituite da consulenti o commercialisti dell’impresa committente per somministrare manodopera nelle aziende dei loro clienti. Esistono cooperative “fatte in casa” dall’amministratore delegato della committente che ne affida la gestione ai propri familiari.
Spesso e volentieri non dispongono neanche di una sede, di un ufficio… ma solo di un recapito telefonico presso lo studio di un consulente del lavoro o di un commercialista.
Molte sono gestite direttamente dalla mafia, come la ribalta giornalistica ha evidenziato in questi ultimi tempi. False cooperative sono anche quelle che, regolarmente costituite e con una sede propria, in realtà si limitano ad assumere manodopera, soprattutto straniera, che provvedono ad allocare presso una ditta committente attraverso il meccanismo dell’appalto o subappalto. Mentre, secondo quanto prevede la legge, dovrebbero assumere il compimento di un’opera o di un servizio loro affidati dalla committente, con organizzazione di mezzi necessari e con gestione a proprio rischio, in realtà svolgono una attività di intermediazione illecita di manodopera, limitandosi a fornire forza lavoro a basso costo alla committente. I lavoratori delle cooperative non godono di nessuna autonomia organizzativa, utilizzano mezzi ed attrezzature della committente, eseguono, le loro mansioni sotto la direzione dei dirigenti e collaboratori di quest’ultima nel rigido rispetto di orari, direttive, tempi e modi di esecuzione dell’attività lavorativa come fossero suoi dipendenti. Totalmente assenti sono anche gli elementi qualificanti del rapporto associativo: tra soci lavoratori e cooperativa non sussiste, nella stragrande maggioranza dei casi, nessun rapporto associativo. Il socio lavoratore infatti “non concorre affatto – come prevede la legge – alla gestione della impresa cooperativa, partecipando alla formazione degli organi sociali e alla definizione della struttura di direzione e conduzione della medesima”. Non viene neppure convocato alle assemblee: egli non ha nemmeno la percezione di essere socio di una compagine sociale, ma soltanto la convinzione, consolidata dalla totale esclusione dalla vita sociale, di essere un lavoratore dipendente. Sovente le cooperative appaiono e scompaiono cambiando continuamente nome, oppure si strutturano secondo il modello mimetico delle scatole cinesi per sottrarsi agli obblighi retributivi, contributivi e fiscali. Il mondo delle cooperative configura un vasto sistema di attività di intermediazione illecita di manodopera, un fenomeno che è alla base del moderno caporalato, il modo più efficiente di sfruttamento in assoluta franchigia della forza-lavoro.
Le navi negriere non solcano più l’oceano, adesso i trafficanti di schiavi operano stando nel Ministero del lavoro. Col sistema delle cooperative si è inaugurato definitivamente la nuova era della schiavitù salariata: salari da fame e prezzi europei! Quella della cooperativa Papavero che svolge lavori di facchinaggio presso la GLS Italy di Cerro al Lambro è una situazione comune a tutte le cooperative. Una storia fatta di sfruttamento senza limiti di orari di lavoro insostenibili, in assenza di sistemi di rilevamento del tempo di lavoro, di carichi lavorativi disumani, nel disprezzo totale delle norme poste a tutela della salute e dell’integrità psico-fisica del lavoratore, di sistematici furti retributivi, di discriminazioni reiterate, di continue violenze morali e di intimidazioni, di condotta repressiva e antisindacale, di diritti basilari negati, di mancato rispetto del contratto di lavoro. Di tutto ciò è corresponsabile anche la GLS, ditta committente, un sodalizio conveniente, in cui interposto ed interponente, in perfetta solidarietà, traggono il maggior profitto possibile dal peggior sfruttamento possibile. A tutto questo però alcuni lavoratori hanno detto basta, utilizzando l’unica voce che i padroni riescono ancora a sentire, quella dello sciopero. Decidono di scioperare davanti ai cancelli della GLS e di bloccarne l’ingresso ai camion per il carico delle merci, con l’appoggio e la solidarietà di lavoratori di altre cooperative, centri sociali, sindacato Cobas e persone che decidono di appoggiare la loro lotta. La riuscita dei primo sciopero, sfruttando l’elemento sorpresa ha creato non pochi danni economici e indotto la cooperativa ad applicare il contratto di settore al 100%, oltre a strappare una serie di promesse. Per evitare che queste promesse rimanessero tali, come sempre era accaduto, decidono di ripetere l’esperienza, ma si trovano dì fronte un folto gruppo di poliziotti e carabinieri in assetto antisommossa che non esitano ad usare le maniere forti, manganellando lavoratori e quanti partecipavano all’iniziativa (un sindacalista Cobas veniva trasportato al pronto soccorso di Melegnano; le sue condizioni non risulteranno, per fortuna gravi). Le forze dell’ordine in assetto antisommossa non lasceranno il sito logistico, dove organizzano un presidio permanente. Per quasi due mesi, più di 50 poliziotti e carabinieri in assetto antisommossa tengono in stato d’assedio la zona, come mai era avvenuto prima. È questa la particolare peculiarità di Cerro rispetto alle altre realtà: la GLS è il principale gruppo della distribuzione in Italia e il secondo in Europa, attorno al quale gravitano interessi enormi, non solo economici, e su cui si è concentrata l’attenzione del blocco borghese, sorretto dalle forze dello Stato. È qui che ha deciso di erigere il proprio baluardo difensivo e repressivo, è qui che, grazie al dispiegamento imponente di agenti in assetto antisommossa, intendono lanciare il “non passeranno”, quale monito e deterrente per le future lotte sociali. La conseguenza di questa linea reazionaria si manifesta immediatamente nella protervia con cui la cooperativa Papavero avvia una serie di procedure disciplinari a carico dei lavoratori, colpevoli di aver esercitato un diritto costituzionalmente garantito, quale lo sciopero, e, in palese violazione del diritto di difesa dei lavoratori, che non venivano neppure ascoltati, comminava la sanzione del licenziamento a 15 di loro, ad agosto, dopo più di 5 mesi. Un licenziamento discriminatorio e ritorsivo, un atto di rappresaglia che si aggiunge, secondo un unico filo conduttore, ai licenziamenti della Fiat di Melfi, di Termoli e degli operai delle cooperative appaltatrici alla Carrefour di Pieve Emanuele, cui fanno eco le recenti minacce dello stabilimento Fiat Sevel di Chieti e della Ferrari di Maranello di procedere ad atti ritorsivi e a richieste danni in caso di sciopero nelle giornate di sabato in cui si dovrà effettuare lo straordinario. È un chiaro disegno reazionario, che ignora persino le pronunce di reintegra dell’autorità giudiziaria, e intende imporre la linea del terrore, della intimidazione, al fine di rendere la classe operaia più sottomessa e rassegnata, condizione essenziale per il pieno e completo dispiegarsi del comando del capitale sul lavoro e d’assicurarsi così nuovi e più ampi margini di profitto.
È tempo di lasciare da parte la logica corporativa, delle comode appartenenze che non ci permettono di vedere il bosco dietro l’albero; di mettere da parte la logica del meno peggio che progressivamente ha solo peggiorato le condizioni di vita e di lavoro della classe operaia.
È tempo di unire le lotte dal basso, in un unico fronte nella direzione di una ritrovata unità di classe; o l’alternativa sarà la rassegnazione alla sconfitta e alla sottomissione.
A cura di E.B. del S.I. Cobas Nuovi schiavi