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Ora più che mai SERVE una cassa di resistenza

I padroni, per contrastare le lotte dei lavoratori utilizzano anche i licenziamenti politici degli elementi più attivi. Questi licenziamenti non si fondano necessariamente su dati certi, legalmente perseguibili, anzi, generalmente sono del tutto strumentali e basati su fatti fasulli o sicuramente rigettabili da qualsiasi tribunale.

I padroni e i loro uffici legali sanno bene, però, che i tempi di pronunciamento dei tribunali sono lunghi e anche ricorrendo all’urgenza (che non è detto sia accolta dalla magistratura) parliamo come minimo di qualche mese. Non solo, i padroni anche se perdono la causa e vedono annullato il licenziamento, ricorrono in appello (altri 2-3 anni). Intanto, non fanno rientrare i lavoratori e non pagano loro il salario, almeno finché non vi sono costretti da un’altra causa specifica (qualche altro mese).

Se essere messi sulla strada è un dramma per chiunque, la cosa è ancora peggiore per tutti quei lavoratori che non siano coperti dallo Statuto dei Lavoratori (per quello che ne resterà), per i precari (ricattati dall’essere accompagnati dalla “fama” di fare cause), per i lavoratori immigrati (perdendo il lavoro non possono rinnovare il permesso di soggiorno) e per tutti quei lavoratori che non hanno diritto all’indennità di disoccupazione (buona parte delle cooperative).

Il ricatto economico della privazione del salario insito nel licenziamento è uno strumento di lotta di classe padronale, che costringe il lavoratore licenziato ad abbandonare la lotta e cercarsi un altro lavoro (cosa non semplice in una fase di crisi come l’attuale) e, contemporaneamente, terrorizza i lavoratori rimasti, che temono di subire la medesima sorte. Il licenziamento politico è un vero e proprio atto di terrorismo, finalizzato a reprimere e dividere i lavoratori.

Se è ovvio che, contro i licenziamenti politici, si avviano la mobilitazione e le cause, bisogna però contrastare il terrorismo padronale e la sua tattica dei tempi lunghi. Il nostro obiettivo è quello di far continuare la lotta e questo richiede che il lavoratore colpito dal licenziamento rimanga assieme ai lavoratori con cui stava lottando. Occorre quindi anche una solidarietà concreta, economica; è necessario garantirgli il salario fino a che non possa rientrare al posto di lavoro, occorre costituire una cassa di resistenza.

Aumentando, con la crisi e con lo sviluppo delle lotte, i licenziamenti politici la cassa di resistenza non può essere un’iniziativa episodica legata al caso specifico, ma deve divenire un fondo permanente, alimentato dalle sottoscrizioni, dalle iniziative di solidarietà e dai soldi restituiti dai lavoratori licenziati, quando riescano ad ottenere il salario non ricevuto nel periodo del licenziamento.

Una cassa di resistenza “ottimale” dovrebbe essere gestita territorialmente dagli stessi lavoratori, ma siamo ancora distanti da una situazione del genere. Per questo noi costituiamo una cassa di resistenza finalizzata a sostenere i licenziati politici delle realtà lavorative in lotta, in cui siamo interni o abbiamo rapporti, separata dai fondi del nostro sindacato.

Invitiamo tutti, singoli e organizzazioni, a contribuire a questa cassa, a organizzare iniziative, concerti, cene … di solidarietà, a coordinarsi con noi nella campagna per le casse di resistenza.

A tutti coloro che sottoscriveranno e ci forniranno un indirizzo faremo avere il rendiconto della cassa.

I versamenti possono essere effettuati, indicando la causale: “cassa di resistenza”:

  • con bollettini postali sul ccp nr. 3046206

  • con bonifici sul c/c IBAN IT13N0760101600000003046206

  • con vaglia postale