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A proposito di Mada Kabobo

Questa volta la strage è avvenuta a Milano, nel primo mattino di una domenica di maggio.
Di solito simili fattacci avvengono in sconosciute località degli States … come Columbine, Newtown, Blacksburg … E subito i nostri psicologi, sociologi, tuttologi e Andreoli vari si mettono a sparare cazzate, a raffica. E nel mucchio qualcuna l’azzeccano. Questa volta l’ha azzeccata l’onorevole Gian Luigi Gigli, un medico, deputato di Scelta Civica. Uno neppure tanto progressista, ma forse onesto.
A proposito di Kabobo, Gigli ha timidamente detto in Parlamento che «trovarsi per le necessità della vita, in un Paese del quale forse si conosce a malapena la lingua, in una condizione di disoccupazione, in una condizione probabilmente anche di disperazione, credo che possa far uscire di testa chiunque».
Apriti cielo! I razzisti della Lega si sono scatenati con i loro fiancheggiatori bipartisan: partendo dal PDL passando per il PD finendo con qualche grillino. Con una gran faccia di tolla, costoro hanno invocato il reato di clandestinità, esaltando il barbaro ius sanguinis contro il civile ius solis …
Strillano tutti coloro che questo fattaccio l’hanno preparato, con la Bossi-Fini, con l’esercito nelle strade … con il clima di intimidazione e violenza che accompagna tutti i provvedimenti di intolleranza razzista. Senza dimenticare che la strada all’escalation securitaria fu aperta dalla Turco-Napolitano(Giorgio), madre di tutti i pacchetti-sicurezza. E così infierendo, tutti costoro hanno lanciato il piccone omicida nelle mani di Kabobo.
L’ondata reazionaria, inevitabilmente, ha investito il sindaco di Milano. Uomo di fermi principi, ma non troppo. Non esageriamo. Il Pisapia prima ha detto NO all’esercito in città, poi ha detto NI: presidi sì, ronde no.
CHIEDI ASILO? GIÙ BOTTE!
Mada Kabobo sbarcò sulle coste di Lampedusa nel maggio 2011, dopo che le rivolte arabe avevano sgretolato il regime concentrazionario di Gheddafi. Kabobo aveva fatto un disperato
viaggio, per terra e per mare. Proveniva dal distretto di Lawra, in Ghana, una delle zone più povere del mondo, un’area quasi desertica, all’estremo confine Nord-ovest del Paese, a pochi chilometri dal Burkina-Faso. Insieme ad altri compagni di sventura, fu poi internato nel Centro accoglienza per richiedenti asilo (CARA) di Bari Palese. Peggio di un carcere: in una struttura che può contenere 900 persone, ce n’erano allora 1400. Dopo mesi di inutile attesa dello status di rifugiati, il 1° agosto i reclusi protestarono, bloccando i binari della ferrovia e la Statale 16bis. La polizia intervenne in forze, «a mazzolare i negri». Gli scontri durarono alcune ore, poi ci fu la caccia all’uomo, con elicotteri e polizia a cavallo. Kabobo fu catturato e rinchiuso nel carcere di Lecce, con l’imputazione di «violenza, resistenza e altri reati».
Dopo sei mesi di galera, Kabobo cominciò a dare segni di nervosismo e, il 19 gennaio 2012, scaraventò per terra un televisore. Non ci dicono come le guardie l’abbiano poi trattato. Sappiamo solo che fu trasferito con «obbligo di dimora» al CARA di Borgo Mezzano (Foggia), da cui «scomparve», non si sa come e quando … Riapparve a Milano il 16 aprile 2013,
quando in viale Monza fu fermato dai carabinieri per un controllo, senza conseguenze, visto che era in attesa di asilo politico.
Le informazioni sul soggiorno di Kabobo in Italia sono assai carenti e confuse, con in più qualche balla, tanto per confondere le acque. Non viene precisato che i CARA sono dei piccoli campi di concentramento con le «porte aperte», tanto non si può andare troppo lontano, senza soldi e documenti. La permanenza dovrebbe durare 30/35 giorni, in realtà si protrae per tempi molto più lunghi, creando situazioni insostenibili, che costringono migliaia di persone a una vita puramente vegetativa. In queste condizioni, spesso, l’unica alternativa diventa la fuga.
Lo scorso marzo, alcune centinaia di profughi del Nord Africa, restati senza assistenza e finiti per strada, loro malgrado, hanno manifestato a Torino e hanno incontrato Laura Boldrini, ex portavoce dell’UNHCR.E costei «ha espresso la sua amarezza nelle campagne pugliesi». Null’altro ha potuto fare.

UNA FUGA DAL NULLA, VERSO IL NULLA.
«Lo vedevo spesso nei vicoli del centro storico di Trento e in via Roma, nella biblioteca centrale della città. La mattina andava lì, lavava la sua faccia nel bagno, cercava un po’ di calore nel profumo del caffè e delle brioche del bar. Gli chiedevo: “Come stai?”. Diceva: “Dalla mattina fino alla sera cerco lavoro senza trovare nulla, passo le notti in strada vicino alla stazione sopra i tombini dell’areazione per non congelarmi. Pranzo alla Caritas se arrivo in tempo”. Poi si è perso. Chiedevamo a chiunque, ma nessuno sapeva nulla di lui. Un giorno abbiamo saputo che aveva richiesto asilo politico alla Svezia. Ancora mesi di silenzio, fino a quando ci dissero che volevano rimandarlo a Trento e che lui, per rimanere là, aveva tentato per tre volte il suicidio nel campo rifugiati. Alla fine l’ufficio competente svedese aveva accettato di prendere in considerazione il suo caso».
– Lettera è tratta dall’articolo dell’11 aprile 2013, di RAZI MOHEB e SOHEILA MOHEBI, I Rifugiati politici.
Cittadini del Nulla. I nodi ciechi e le porte chiuse. Cosa significa essere rifugiato politico in Italia, (http://www.annavanzan.com/2013/04/litalia-e-i-rifugiati-politici/).
Questa è la condizione che Kabobo deve aver incontrato a Milano. Viveva per strada, chiedendo l’elemosina, dormiva nelle stazioni o in qualche tugurio abbandonato, come quello diroccato di via Passerini, a Niguarda, dove trascorse la notte prima dell’alba di sangue. Dicono che bevesse … dicono che si drogasse … dicono. Certo, non con roba di prim’ordine. Poi, al carcere di San Vittore, gli esami clinici scoprono che, al momento dell’arresto, non faceva uso di alcolici & droghe. Ma anche se fosse, che doveva fare? Per riempire il nulla di quelle giornate e notti da fantasma.
E se qualche lavoretto lo trovava, era bello nero. Per la gioia di padroncini e caporali. Pronti a reclamare il reato di clandestinità, che va tutto a loro vantaggio.
Di Kabobo ce ne sono sempre di più, in giro per Milano. Uomini e donne, stranieri e italiani, giovani e vecchi, tutti rovinati da un’economia nemica, quella del capitale. Sono
figure che ormai fanno parte del paesaggio urbano e che accettiamo, forse con l’indifferenza di chi deve fare i conti con un’esistenza sempre più ingrata. E non per colpa nostra. Anche
per questo, seppur assai turbati, gli abitanti di Niguarda hanno cacciato quell’impunito del Borghezio, che cercava di seminar zizzania.
Tutt’altro che indifferente alla miseria altrui, anzi assai infastidito che dia colpi di testa (o fuori di testa …), è invece l’onorevole Piero Longo, avvocato del Berlusca, che volentieri avrebbe sparato al negro. Oltre alla vita, l’avvocato Longo ha molte cose da perdere, grazie al Berlusca. E ci tiene a difenderle, le sue cose, eliminando ogni causa di disturbo. E magari l’avvocato ha voluto «dare la linea» ai padroni contro i proletari che, ora, anch’essi, hanno preso la brutta abitudine di usare le pistole. Come ha fatto il 28 aprile Luigi Prieti, a Roma; poi, il 16 maggio, Davide Spadari, che ha sparato contro padrone e figlio. Dopo mesi di maltrattamenti. È avvenuto a Casate, in provincia di Varese, culla della Lega. Dove padroni e operai vivevano d’amore e d’accordo.
Forse, il vento ha cambiato il suo corso. Forse …

DINO ERBA, Milano, 18 maggio 2013.
A PROPOSITO DI BALLE …
Dovendo consultare la stampa per capire qualche cosa di Mada Kabobo, mi sono ciucciato un po’ di articoli del Corriere. Tra cui quelli firmati da tal Gianni Santucci che su Kabobo un giorno ha detto una cosa, il giorno dopo un’altra. Diversa. Un bell’esempio di disinformatia …