Leggiamo, da “La Repubblica” del 13 giugno 2013 (qui il link all’articolo), un articolo interessante dal titolo “GRANAROLO, i facchini dell’indotto: tutelateci dai blocchi selvaggi” . In esso si dice che c’è un papello firmato, oltre da qualche facchino che ha sostituito i lavoratori licenziati, degli autisti, autotrasportatori in proprio, venditori, turnisti, impiegati e sicuramente (aggiungiamo noi) qualche dirigente dell’azienda.
Tutti costoro rivolgono un appello al Prefetto e al Questore per un intervento che possa garantirgli di “lavorare in condizioni di normalità e serenità”.
Per normalità pensiamo che intendano la possibilità di continuare a mantenere la situazione in cui lavoravano gli attuali licenziati, e cioè:
con una busta paga decurtata del 35%; con la voce straordinari sostituita con una altra voce in modo che la cooperativa non paghi le tasse allo Stato; con gli scatti di anzianità non calcolati; con gli istituti contrattuali (tredicesima, quattordicesima, Rol ed ex festività) non pagati al 100%; con i livelli che non corrispondono alla professionalità acquisita; e infine, con condizioni e ritmi di lavoro tali da provocare sofferenze psicofisiche tra i lavoratori immigrati (i quali, si sa, sono più ricattabili).
Una normalità per i padroni della Granarolo, che utilizzavano il “caporalato collettivo” attraverso il Consorzio Sgb, oggi scaricato, ma – come dimostreremo anche in sede giudiziaria- facente capo alla stessa Ctl, la quale attuava, nei fatti, una vera e propria intermediazione della forza lavoro impiegata.
Per questo semplice motivo i lavoratori si sono organizzati nel Sindacato Intercategoriale Cobas, per rivendicare la piena applicazione del CCNL, la chiusura del fasullo “stato di crisi” (mentre in quel magazzino si facevano gli straordinari) e perché la voce “straordinari” non fosse pagata sotto voci non tassabili.
Dopo il secondo sciopero per queste rivendicazioni, i lavoratori venivano esclusi dalla loro abituale attività (qualcuno con 12 anni di servizio), e venivano bloccati ai cancelli, senza che fosse stato emesso nei loro confronti nessun atto formale.
In quei giorni abbiamo denunciato il fatto all’Ispettorato del Lavoro ma, a quanto ci è dato sapere, senza che questo abbia prodotto alcun effetto ed intervento ispettivo.
Per 11 giorni questi 41 “disgraziati”, lasciati fuori dal posto di lavoro, hanno protestato davanti ai cancelli (denunciano i 203 firmatari, i quali in sede giudiziaria saranno chiamati a testimoniare per gli 11 giorni che si sono presentati e non avrebbero potuto lavorare), ora i 203 firmatari, poverini, per tornare alla loro misera “normalità”, vorrebbero la loro totale eliminazione.
Chiaramente questa raccolta di firme è una farsa, sospettiamo organizzata ad arte dalla Granarolo, per poter continuare a sfruttare i lavoratori, senza che questi vedano tutelati i loro diritti.
Perché passino i licenziamenti non basteranno, però, i milioni di euro che hanno messo fino ad oggi sul tavolo.
I lavoratori, il loro sindacato, e tutti coloro che hanno sostenuto la lotta, saranno davanti ai cancelli fino a quando non avranno ottenuto il rientro sul loro posto di lavoro, con un salario stabilito dal CCNL, e col rispetto della propria dignità.
Il COORDINATORE NAZIONALE DEL SINDACATO INTERCATEGORIALE COBAS Aldo Milani