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Processo allo sciopero: condannato

le lotte non si processano

le lotte non si processano

Concluso ieri il mio processo per “manifestazione non autorizzata” per uno sciopero organizzato nel settembre 2013 alla Traconf di Piacenza:
condannato a 5 giorni di arresto tramutati in 1358 euro di multa.

 

Nella prima udienza aveva deposto la Digos, che aveva montato il caso su iniziativa della Questura,
ma anche l’altro testimone dell’accusa, ex capo appalto, aveva confermato la nostra tesi:
era uno sciopero, non una manifestazione (e non si erano neanche verificati incidenti di sorta).

Nell’udienza di ieri il anche il PM ha chiesto l’assoluzione perché il fatto non sussiste, ossia perché trattavasi di sciopero.

 

Nonostante gli avvocati della difesa abbiano argomentato la tesi che si trattava di un normale sciopero, diritto garantito dalla Costituzione

(L’avv. Losco di Milano in particolare ha sostenuto la libertà di sciopero sancita dalla costituzione, anche non proclamato, anche spontaneo, anche politico e l’assurdità di volerlo colpire penalmente, quando anche gli scioperi in violazione della legge sugli scioperi nei servizi pubblici essenziali sono sanzionati con una sola ammenda), il giudice ha voluto condannare, anche se con un minimo di pena e la non menzione, accogliendo le tesi della Questura, che vuole colpire la pratica di lotta del SI Cobas.

 

Ora si attendono le motivazioni della sentenza (fra 15 giorni) per opporre appello (a Bologna).

E’ un precedente pericoloso, perché minaccia l’incriminazione per “manifestazione non autorizzata” contro qualsiasi picchetto di sciopero.

 

Un altro processo potrebbe essere aperto, contro 16 partecipanti a un picchetto all’Ikea del dicembre 2012: in questo caso per violenza privata aggravata, consistente nel porsi davanti ai cancelli…
Solo la pratica della lotta può respingere la repressione.

 

Roberto luzzi militante SICobas

 

P.S. Tra le notizie dei media, scorretta quella di Piacenza 24: il picchetto non venne sgomberato dalla polizia, ma venne sciolto dopo che l’azienda si era impegnata a riprendere al lavoro gli iscritti SI Cobas che venivano lasciati a casa senza retribuzione.