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Riflessioni sullo sciopero del 14 Novembre

14 novembre

14 novembre

Il corteo muove da Porta Venezia dove si sono concentrati i lavoratori della FIOM e del SI Cobas. In un’altra piazza altra manifestazione organizzata dai sindacati di base.

A qualcuno la scelta di aderire allo sciopero e partecipare al corteo della FIOM ha fatto storcere il naso.
Si paventa un pericolo e una deriva che allontano dalle posizioni d’intransigenza, più formali che sostanziali, nella critica al sindacalismo concertativo.

 

Dovrebbe, invece, essere il contenuto reale dell’azione sindacale il discrimine tra sindacato di classe e il sindacato della conciliazione inconciliabile. Se questa pratica quotidiana non c’è tutti i giorni e in tutti i luoghi di lavoro, il presunto sindacalismo di base si riduce ad una posa. Più che una pratica finisce per essere una predica, un rito dove ci ritrova in tanti per un giorno ma al ritorno nelle aziende si è più soli e disarmati di prima. Forti delle lotte espresse nella logistica si è giustamente voluto portare ai lavoratori metalmeccanici la dimensione e la portata anche numerica di questo tipo di lotta. Circa un quarto di Piazza Duomo è stato occupato dai lavoratori delle cooperative organizzati dal Si Cobas.

Per questo aver condiviso con la FIOM lo stesso percorso non significa affiliazione codista ma l’occasione per ribadire la necessità della lotta classista. Lotta che può perfino sorprendere nei risultati conseguiti.
Occasione per denunciare il massimalismo da parata che la FIOM fa ad uso delle telecamere mentre a telecamere spente i contratti di secondo livello, anche tra le aziende del settore metalmeccanico, vengono firmati in puro stile Marchionne.

 

Il Si Cobas non è andato a riempire la piazza degli altri, ha portato in piazza la propria forza, la propria lotta esemplare.
Quindi nessun cedimento, nessuna rincorsa alla legittimazione istituzionale, questa casomai, è una mira mal dissimulate da un certo sindacalismo di base (con forti venature neo concertative).
L’affermazione dell’autonomia di classe si esplica anche partecipando alle manifestazioni indette da altri ma ribadendo, con orgoglio, le proprie parole d’ordine. Non è un problema di piazza. Forti di questa autentica autonomia teorica ed organizzativa il pericolo di contaminazione lo corrono gli altri.

 

Da troppo tempo nel lessico della sinistra erano scomparsi termini come “picchetti” e “casse di resistenza” indispensabili a sostenere lo scontro con il padronato. Della loro riappropriazione il merito è di chi i picchetti e lotta l’ha praticata in questi cinque anni, e di tutti coloro che hanno teso una rete di protezione e di fattiva solidarietà a questa esperienza che dà identità al mondo del lavoro. Il fatto che la Fiom si sia decisa ad indire lo sciopero generale anche a seguito dell’aggressione da parte delle Forze dell’Ordine ai lavoratori delle acciaierie di Terni ha avuto un forte significato simbolico perché riporta lo scontro sindacale alla sua essenza di sempre.

 

Salario contro Capitale, operai contro padroni fiancheggiati da partiti e istituzioni varie. Dopo cinque anni di questa lotta costellata di aggressioni ai picchetti, feriti, agguati ai militanti più attivi, minacce mafiose dei caporali e licenziamenti, in quest’ultimo anno si sono aggiunti i democratici “fogli di via” di memoria fascista. Da ultimo la magistratura in una delle sue interpretazioni creative è riuscita a cavillare sul confine tra sciopero e manifestazione, condannando in tal modo a cinque giorni d’arresto il compagno che aveva indetto lo sciopero perché, pur essendo lo sciopero un modo di manifestare la proprie ragioni, non osservava i crismi formali propri di una manifestazione. In piazza è stato portato tutto questo, e sarà l’interclassismo corporativo a doversi difendere dalla forza dell’esempio; chi è saldamente ancorato su una linea di classe non teme di manifestare dove lo si ritiene opportuno. La novità è che anche lavoratori di una grande industria hanno dovuto misurasi con la repressione poliziesca.
Ma questo è solo un iceberg che anticipa scenari futuri che non garantiranno tutele a nessun lavoratore dipendente.

 

E se tutele ci sono state ed ancora ci sono in alcuni settori della grande industria e del pubblico impiego, riguardano essenzialmente la pletora burocratica di sindacalisti e faccendieri.
Le organizzazioni cosi costruite non hanno tratto forza e prestigio dalle lotte e dalle spinte che in certi frangenti nella classe si sono manifestate, ma dal ruolo pseudo sindacale e pseudo politico che il sistema di relazioni industriali, soprattutto confindustriale, aveva creato.

 

Nel Pubblico Impiego non vi è mai stata una vera contrattazione sindacale. Nessuna piattaforma è mai stata costruita tenendo conto dei bisogni da soddisfare ma piuttosto dalla subordinazione alle risorse che lo stato poteva mettere a disposizione per i rinnovi contrattuali.

 

Il vanto di eventuali aumenti si traduceva in una consumata manfrina dei guitti sindacali che si combinava bene con l’illusione che la passività, la delega, la disorganizzazione potessero far dire ai lavoratori “abbiamo qualche cosa in più in busta”. Aumenti significativi non sono mai stati l’esito di lotte impegnative: circa vent’anni fa vi è stato un aumento significativo di circa 200.000 mila lire tra gli infermieri senza che vi fosse stata una sola giornata di sciopero. Questa prassi sociale non solo ha modellato un personale sindacale scadente e corrotto, ha nel contempo impedito la formazione di una coscienza di classe. Il disimpegno ha regnato sovrano, dando spazio al pantano di sindacalisti, onorevoli, capi e capetti all’insegna del poco ti chiedo e poco ti do.

 

Questo modello ha retto per lunghi decenni, con il risultato politico del totale disarmo organizzativo. In questo ambiente, soprattutto nella sanità, è maturato il sindacalismo delle professioni che vorrebbero rivendicare riconoscimenti economici e sociali facendo pesare lauree e master. Concezioni fuori dalla logica di mercato e di conseguenza fuori da questo mondo che fa del lavoro, anche di quello altamente professionale, una merce che si vende e si acquista. Ora sotto l’incedere della crisi economica questo assetto e questi equilibri sono messi a dura prova.

Non avere tradizioni di lotta e riferimenti organizzativi impongono il recupero dell’idea stessa di coalizione operaia.

 

La ripresa passa dal recupero dagli esempi più virtuosi che la storia della nostra classe può fornire perché noi lavoratori abbiamo una storia di cui avvalerci per l’oggi. La giovane classe operaia della logistica ci sta consegnando degli esempi mirabili. La dimensione e la profondità dispiegate da queste lotte vanno oltre la spontaneità episodica.

 

La dimostrazione di forza palesatasi con la manifestazione del 14 novembre ha il carattere di rottura rispetto alle altre organizzazioni del sindacalismo di base, e consiste nel non aver rivendicato nessuna rappresentatività istituzionale che invece sembra far gola a molti di loro magari un filino più diretta e meno burocratizzata di quella attuale monopolizzata da CGIL CISL UIL, naturalmente nel rispetto della democrazia che dovrebbe essere garantito per legge e dal governo, che è sarà, comunque, il comitato d’affari della borghesia.
La vera rappresentatività si conquista con la lotta. Mentre Lega, Grillo e Casa Pound scatenano l’odio razzista, mentre Borghezio (padano DOC) va a Tor Sapienza (non via da Roma, ma proprio a Roma ladrona) a Milano lavoratori d’ogni colore hanno manifestato assieme.

 

Morale: non è la forma a determinare la sostanza, ma è la sostanza a determinare la forma. Non è la forma della manifestazione autonoma che determina la sostanza di un’autonomia politica di un organismo (i sindacati cosiddetti di base) che nei modi e nei metodi non fa che rincorrere chi vorrebbe “combattere”: la CGIL, la cui funzione storica è stata ed è quella di assopire i lavoratori nei fumi del conciliatorismo corporativo parlamentare, cosa peraltro istituzionalizzata con la costituzione dei cosiddetti “organi di raffreddamento”.

 

Quando la sostanza è rilevante, quando i modi ed i metodi sono quelli di un sindacato di classe, quando i settori apparentemente più arretrati, adeguatamente organizzati sono l’avanguardia delle odierne lotte operaie in Italia, allora la forma la puoi scegliere senza nessun pericolo che essa possa mettere in pericolo la propria autonomia, questa volta vera, perché essa è già una realtà vitale, per quanto estremamente giovane. Si chiama Si-Cobas, alla manifestazione di Milano.

 

Genova 17 novembre 2014