Cobas

[NAZIONALE] Il nostro 21 ottobre!

Mancano oramai poche ore alla giornata di sciopero generale del 21 ottobre, ma gli eventi di queste settimane e il lavoro preparatorio che ci ha visto impegnati in queste settimane dentro e fuori i luoghi di lavoro ci consegna già alcuni importanti elementi di riflessione e numerose indicazioni per far si che questa mobilitazione non si risolva in un evento rituale ed isolato come da troppi anni a questa parte si caratterizzano gli scioperi, sempre meno “generali”, indetti dal sindacalismo di base.

Come SI Cobas siamo da sempre poco avvezzi ai tatticismi, alle alchimie e a quell’eterna concorrenzialità tra sigle che a nostro avviso ha portato nel tempo ad un inesorabile svilimento della progettualità e delle ragioni fondanti alla base del concetto di autorganizzazione e della concezione di sindacato di lotta alternativa al carrozzone corrotto di CGIL-CISL-UIL-UGL: è sotto gli occhi di tutti come questa concorrenzialità “per principio”, avulsa dai temi e dalle esigenze materiali ed immediate della classe lavoratrice, e che spesso raggiunge il suo picco di litigiosità proprio in occasione dell’indizione degli scioperi autunnali, ha prodotto una caduta verticale di credibilità del frastagliato panorama del sindacalismo di base, sia in termini di peso reale nella classe (e dunque nei confronti della controparte padronale e governativa), sia nello stesso panorama dei movimenti sociali e dei settori di classe non sindacalizzati in senso tradizionale, che nella maggior parte dei casi, e non a torto, percepiscono il “dibattito” (se tale si può definire) interno al sindacalismo extraconfederale o come qualcosa di incomprensibile o come un esercizio autoreferenziale e residuale rispetto ai processi in atto e alla dinamica reale delle lotte.

La scelta di convergere come SI Cobas con una nostra piattaforma sul 21 ottobre, data in cui già era stato indetto uno sciopero da Usb ed altre sigle minori, è il frutto di questo ragionamento e della nostra volontà di sottrarci a questa spirale che volge a nostro avviso verso il nulla.

Contrariamente a ciò che da qualche parte (del tutto minoritaria) della galassia “di base” si è cercato di far apparire con mezze frasi e allusioni maliziose, il 21 ottobre il SI COBAS sciopererà in perfetta continuità di contenuti con lo sciopero dello scorso 18 marzo.

Nessuna “convergenza parallela”, dunque, quanto la necessità di cogliere la delicatezza e la complessità della fase che ci troviamo di fronte e provare a dare una risposta di lotta ampia e unitaria, dunque efficace, a un governo e a un padronato che stanno avanzando come uno schiacciasassi su ciò che resta dei diritti e delle tutele sociali e salariali.

I fatti di queste settimane stanno confermando la validità della nostra scelta:

– nei magazzini della logistica, nonostante proprio in queste settimane abbiamo strappato dopo una lunga trattativa un importante accordo nazionale con 4 dei 5 maggiori corrieri nazionali (TNT, GLS, BRT e SDA) che mette finalmente in cassaforte molte delle conquiste strappate con dure lotte nei singoli magazzini, le generalizza e ne ottiene di nuove (su tutte una congrua copertura assicurativa per le patologie invalidanti e un aumento delle ore di permesso retribuito in controtendenza con una fase caratterizzata in tutti i settori dall’aumento della giornata lavorativa), il morale dei facchini verso questo sciopero nazionale è altissimo, e in molti hub abbiamo registrato una partecipazione alle assemblee sindacali senza precedenti. Su questo elemento pesa tra i lavoratori la consapevolezza della necessità di dare un segnale di lotta nazionale riguardo il rinnovo del CCNL di categoria, e di impedire che un passaggio di tale portata resti esclusivo appannaggio dei finti tavoli di trattativa con un sindacato confederale oramai sempre più screditato tra i lavoratori.

– la quasi totalità dei movimenti, da quelli per il diritto all’abitare alle lotte contro la devastazione ambientale, dai disoccupati napoletani agli studenti fino ad arrivare ai braccianti di Foggia in lotta per i permessi di soggiorno e contro lo schiavismo del caporalato, saranno in piazza il 21, ciascuno con la propria autonomia e le proprie parole d’ordine ma col comune intento di dar vita a un percorso di lotta ampio capace di attraversare l’intero autunno: in quest’ottica, l’assemblea dei braccianti indetta a Roma il prossimo 23 ottobre con la possibilità concreta di una manifestazione nazionale nella seconda settimana di novembre, e il corteo nazionale del prossimo 27 novembre a Roma alla vigilia del referendum costituzionale, rappresentano già l’indicazione concreta di un percorso che punta a una reale ricomposizione di classe.

– riguardo alla scadenza referendaria, abbiamo già in altre sedi ribadito come i lavoratori non possano che utilizzare tatticamente questa scadenza col fine di dar voce e forza alle proprie lotte ed istanze, puntando a capitalizzare a proprio favore le difficoltà del governo e rifuggendo da ogni tentazione di “grande ammucchiata” col vasto e variopinto fronte del NO borghese di mera difesa costituzionale. In quest’ottica, il NO “sociale” per noi va tradotto in primo luogo nei termini di NO operaio e proletario, ovvero come possibile elemento di sintesi su un terreno comune di tutti i NO che in questi anni si sono contrapposti con la lotta alle politiche di macelleria sociale e di attacco al salario diretto, indiretto e differito. In questi giorni abbiamo avuto la riprova di come questa strada sia praticabile con la nascita a Pomigliano dei comitati per il NO operaio in FCA, il cui spirito va ben oltre la contingenza referendaria bensì punta ad utilizzare il passaggio referendario per ricomporre le avanguardie di lotta in FCA a prescindere dalla sigla sindacale d’appartenenza e sulla scia della vittoria in tribunale dei 5 licenziati dello scorso 27 settembre.

– in ultimo, non si può non vedere come in queste settimane, parallelamente ma non indipendentemente dalla chiamata del 21, si stia riprendendo il dibattito ed iniziano ad emergere ipotesi reali di lotta in svariate categorie: dai lavoratori dell’igiene ambientale che in molte città, in primo luogo a Genova, hanno sonoramente respinto l’ipotesi di accordo-bidone propinata loro da Cgil-Cisl-Uil, a quelli della sanità e del pubblico impiego alle prese con una tornata di rinnovi contrattuali che in mancanza di mobilitazioni rischia di prendere pieghe umilianti,ai dipendenti dei trasporti (in primo luogo su ferro) che in questi mesi ha dimostrato una combattività di dimensioni quasi analoghe ai loro “cugini” della logistica, fino ad arrivare al mondo della scuola in cui è tutt’altro che sopita la resistenza alla “buona scuola” di Renzi. Anche in questi casi l’interesse verso l’appuntamento del 21 e verso quelli successivi ha spesso travalicato gli steccati di appartenenza di sigla, come testimoniano, su tutte, da un lato l’importante e coraggiosa adesione allo sciopero di gran parte della CUB-trasporti, dall’altro l’interesse e la curiosità di alcuni settori della stessa Cgil (in primo luogo di operai Fiom)

Lungi da ogni trionfalismo (che sarebbe infondato e prematuro sotto ogni punto di vista) questi segnali provenienti dai luoghi di lavoro dovrebbero aprire un dibattito vero al fine di sviluppare e rafforzare tra i lavoratori una tendenza di lotta e di opposizione al governo e più in generale alle ristrutturazioni e al supersfruttamento imposto dai padroni ed inasprito dalla crisi capitalistica.

Nel momento in cui i nodi vengono al pettine, i disoccupati si contano a milioni e la stessa stampa asservita è costretta a certificare dati alla mano che il Jobs act, una volta terminata la sbornia degli sgravi ai padroni, ha prodotto solo centinaia di migliaia di licenziati e un’esercito di nuovi schiavi formato-voucher (magistralmente rappresentati dalle lotte di questi giorni che vedono protagonisti i facchini-ciclisti di Foodora), un sindacalismo che voglia anche solo provare ad essere all’altezza del nemico di classe non può rimanere a guardarsi l’ombelico, pena la sua totale irrilevanza ed inservibilità per gli stessi lavoratori che intende rappresentare.

Pur nelle nostre ridotte dimensioni, come SI Cobas intendiamo lavorare a un serio percorso di ricomposizione di classe.

Non si tratta, sia chiaro di una sterile ricerca dell'”unità per l’unità”, tuttaltro. L’unità o avviene su basi solide e contenuti chiari oppure diventa una presa in giro per i lavoratori.

SULLA RAPPRESENTANZA E LA DEMOCRAZIA SINDACALE

In gran parte delle categorie del privato diviene ogni giorno più evidente il carattere reazionario e antisindacale del protocollo sulla rappresentanza siglato il 10 gennaio 2014 da governo, padroni e sindacati di Stato. Sui luoghi di lavoro le avanguardie di lotta stanno sperimentando quasi quotidianamente come questo dispositivo costringa il sindacalismo di base e combattivo a dover scegliere se continuare ad essere tale e mantenere la libertà di indire scioperi pagando il prezzo della rinuncia alla rappresentanza, oppure se scegliere di firmare il testo unico e mantenere i rappresentanti ma rinunciando alle lotte e agli scioperi, dunque, di fatto, al proprio potere contrattuale in fabbrica o in azienda.

La nostra scelta, come quella di altre organizzazioni sindacali di non firmare il testo unico ci consente il vantaggio di poter indire scioperi e mantenere anche la rappresentanza nei settori più combattivi e capaci di far valere i rapporti di forza col padrone, ma viene pagata a caro prezzo laddove i lavoratori sono meno radicali o incapaci di liberarsi del feticcio della delega: lo abbiamo visto di recente alla Titan di Finale Emilia, dove i nostri delegati, pur rappresentando un settore consistente della fabbrica e indicessero scioperi col sostegno del 95% dei lavoratori, sono stati esclusi dalle Rsu con un colpo di mano reso possibile proprio dal protocollo del 10 gennaio: inutile dire che nessuna delle liste ammesse (tutte firmatarie) si sia schierata in difesa della democrazia sindacale e del diritto alla rappresentanza.

Riteniamo che anche questo tema, come e più di altri, vada affrontato con la dovuta chiarezza e il dovuto approfondimento: il tema della rappresentanza non può restare ostaggio dello di una guerra di posizione tra i vertici delle varie sigle di base, ma a partire dal coinvolgimento in prima persona dei lavoratori, unici diretti interessati e materialmente colpiti dagli effetti nefasti del Testo Unico, è necessario mettere in campo un piano d’azione che parta dal no senza riserve al protocollo ma sia anche capace di individuare delle strade di lotta praticabili ed efficaci per la sua messa in discussione, ciò tanto più in un contesto che vede governo, padroni e Cgil-Cisl-Uil marciare spediti verso il varo di una legge sulla rappresentanza che nella migliore delle ipotesi ricalcherà per grandi linee i contenuti del TU, nella peggiore ne inasprirà il profilo reazionario.

VENTI DI GUERRA E RILANCIO DELL’INTERNAZIONALISMO PROLETARIO

I molteplici segnali di precipitazione delle tensioni interimperialiste, materializzatesi nel caos siriano, nei piani di spartizione predatoria della Libia e nei mille conflitti per procura in medioriente e non solo, sullo sfondo delle nuove tensioni Usa-Russia e del riaffiorare dei nazionalismi in Europa come risposta in chiave reazionaria alle devastazioni sociali prodotte dalla Troika e dall’UE, sono legati a doppio filo con l’esplosione dei flussi migratori, espressione della necessità di salvezza e della volontà di riscatto di milioni di proletari in fuga dalle guerre e dalla miseria generata dall’imperialismo.

Questo processo ha già portato a un mutamento epocale nei caratteri e nella composizione proletaria, sia nel nostro paese che in gran parte delle metropoli europee ed occidentali: un nuovo proletariato, giovane e combattivo, si affianca ai lavoratori autoctoni, il più delle volte è alla testa delle lotte, spesso le dirige. La sinistra, e con essa la gran parte del sindacalismo di base, a nostro avviso è ancora in estremo ritardi nella lettura di questi processi, non comprendendo che il proletario immigrato il più delle volte non è più un “disperato” da assistere, bensì un soggetto cosciente della propria condizione e del proprio ruolo nella filiera dello sfruttamento salariato capace non solo di organizzarsi e di lottare, ma anche di fungere davanguardia e punto di riferimento per gli stessi lavoratori italiani: le lotte nella logistica cosi come nelle campagne stanno a dimostrarlo in maniera incontrovertibile!

Sono evidenti le implicazioni di tutto ciò riguardo alla guerra e a come i lavoratori possono e devono opporsi ai nuovi piani del militarismo: oggi come non mai l’assunto che i proletari non hanno nazione fotografa in maniera nitida la realtà materiale ed è tutt’altro che una vuota enunciazione, dunque il no alla guerra non può in alcun modo essere disgiunto dall’assunzione dell’internazionalismo quale linea di condotta e discriminante essenziale anche sul terreno strettamente sindacale in nome dell’unità degli sfruttati e dei loro interessi materiali. Non si tratta più di semplici enunciazioni propagandistiche, ma di un processo oggettivamente già in atto che necessita di uno sforzo soggettivo sul terreno organizzativo e programmatico.

Lungi dal voler alimentare sterili polemiche, ma esclusivamente in ossequio alla chiarezza del confronto che abbiamo appena sollecitato, è per questi motivi che come SI Cobas non parteciperemo alla manifestazione del 22 ottobre a Roma: troppe ancora le nostalgie “sovraniste”, le illusioni di poter uscire dalla crisi capitalistica con qualche stratagemma di natura unicamente monetaria e le pulsioni “campiste” che emergono dall’appello e/o dalla prassi di gran parte dei suoi promotori, troppo poca attenzione riservata alle lotte e ai movimenti reali che dalla logistica alle lotte per la casa e i documenti vedono in campo una nuova generazione di sfruttati, troppa enfasi su una difesa di una Costituzione formale che a quasi 70 anni dal 1948 è stata già ampiamente svuotata nella sostanza di quasi ogni suo carattere “progressivo” (in ultimo con l’introduzione al suo interno dell’obbligo del pareggio di bilancio imposto da Troika e UE)… In sintesi un impostazione di difesa rivolta al passato e restia a dialettizzarsi con le lotte del presente.

Noi crediamo invece che nell’epoca odierna, caratterizzata dal precipitare della crisi capitalistica su scala globale, dalla barbarie prodotta dall’imperialismo inizi già a riaffiorare, in forme per certi aspetti inedite, la vecchia talpa dello scontro di classe. Come dare strumenti e gambe organizzative, in Italia come altrove, a questo magma che ribolle nel sottosuolo del dominio borghese, dei suoi teatrini e di tutte le sue emanazioni politico-parlamentari, è un tema che va ben oltre uno sciopero generale o una manifestazione, ma che dovrebbe iniziare ad interrogare, anche in occasione degli scioperi, il sindacalismo di base e tutti coloro che non intendono essere relegati al ruolo di testimoni “dei bei tempi andati”.

  • CONTRO LE POLITICHE DEL GOVERNO RENZI E LA MODERNA SCHIAVITÙ SALARIATA IMPOSTA DAL JOBS ACT!
  • CONTRO OGNI COINVOLGIMENTO DELL’ITALIA IN MISSIONI DI GUERRA CONTRO I POPOLI DEL MEDIORIENTE E DEL MAGHREB!
  • PER IL NO AL REFERENDUM COSTITUZIONALE IN NOME DEGLI INTERESSI MATERIALI DEI LAVORATORI!
  • PER RILANCIARE CON LE LOTTE LA CONQUISTA DI NUOVI CONTRATTI COLLETTIVI DI LAVORO, DAL PUBBLICO IMPIEGO ALLA LOGISTICA!
  • PER LA RIDUZIONE DELL’ORARIO DI LAVORO A PARITÀ DI SALARIO, LAVORO STABILE E SICURO E SALARIO GARANTITO AI DISOCCUPATI!
  • PER IL DIRITTO ALL’ACCOGLIENZA E AL SOGGIORNO PER CHI SCAPPA DALLE GUERRE O DALLA MISERIA: NO ALLA PROPAGANDA RAZZISTA CHE DIVIDE I LAVORATORI TRA PROFUGHI E CLANDESTINI!
  • CONTRO LE INUTILI “GRANDI OPERE” CHE DEVASTANO IL TERRITORIO!
  • PER IMPEDIRE CHE SI RIPETANO ALL’INFINITO NUOVE SRAGI AD OGNI SCOSSA DI TERREMOTO!
  • PER IMPORRE POLITICHE URBANISTICHE CHE METTANO AL PRIMO POSTO LA VITA DEI LAVORATORI E NON IL PROFITTO!
  • PER LA PIENA DEMOCRAZIA SUI LUOGHI DI LAVORO: NO AL T.U. SULLA RAPPRESENTANZA!


IL 21 OTTOBRE BLOCCHIAMO TUTTO!

SI COBAS NAZIONALE