Cobas

[Roma]: Verso il corteo del 24 febbraio, la necessità di una risposta anticapitalista alla barbarie che avanza

Negli scioperi della logistica, accade spesso che una parte dei lavoratori, quando sono alla prima esperienza di lotta, quando si imbattono per la prima volta con le forze dell’ordine giunte sul posto per fermare le proteste, siano spinti quasi ad accoglierli a braccia aperte.

Il ragionamento primordiale del facchino, soprattutto quello immigrato, è semplice: “noi siamo venuti in Italia, culla dell’occidente democratico, scappando da guerre, povertà e distruzione e alla ricerca di un futuro migliore per noi e i nostri figli; ci spacchiamo la schiena tutti i giorni in un magazzino per poi scoprire che ci pagano con salari da fame:

Ora stiamo lottando per i nostri diritti, quelli sanciti nella Costituzione e nei Contratti Collettivi nazionali di lavoro, contro di noi ci sono mafiosi, schiavisti senza scrupoli e maxi evasori fiscali.

Stiamo lottando per applicare la legalità, quindi voi poliziotti che siete i tutori della legalità, dovete per forza stare dalla nostra parte”.

Si tratta di un’illusione che dura pochi minuti: ben presto il facchino si accorge che la Polizia è stata mandata li non per arrestare i mafiosi e i megaevasori, ma per sgomberare i presidi operai, denunciare, manganellare e arrestare i lavoratori se solo osano resistere.

In pochi minuti l’operaio sperimenta sulla propria pelle come la funzione essenziale dello Stato sia quella di servitore e cane da guardia del sistema capitalista.
In pochi minuti comprende che la legge non è uguale per tutti, e che per chi campa del proprio lavoro la parola “legalità” significa solo obbedire e sottomettersi passivamente alla legge del più forte, che in quel momento è il padrone.

L’operaio comprende nella pratica che lo Stato non è interessato ne alla legalità ne tantomeno alla giustizia, ma solo a difendere e preservare,
con ogni mezzo necessario, l’ordine sociale basato sul profitto, sull’oppressione e sul più becero sfruttamento dell’uomo sull’uomo.

Il celerino esegue gli ordini della Questura, che prende ordini dal governo, che prende ordine dalla classe dominante.

Lo schema è questo, ovunque, da almeno duecento anni.

Il primo nemico dei proletari, dunque non è il celerino: quest’ultimo è solo l’ultima ruota del carro, una manovalanza pagata per reprimere e schiacciare ogni forma di ribellione allo stato di cose esistenti. Il vero nemico dei proletari sono i padroni, i loro governi e i loro parlamenti, coloro che armano la mano delle forze dell’ordine, e che, come abbiamo visto più volte nella storia della “repubblica democratica nata dalla resistenza”, quando le forze dell’ordine non sono più sufficienti a fermare e fiaccare le lotte, passano ad armare la mano dei fascisti, servendosene per atti terroristici o per creare ad arte divisioni nella classe e guerre tra poveri.

La piccola scaramuccia di Piacenza, episodio finanche risibile se confrontato alla miriade di pestaggi in stile cileno operati sistematicamente dai reparti della celere contro operai, disoccupati e studenti, preoccupa lorsignori non per il fatto in se ma per le sue ben più profonde implicazioni politiche.


Per anni abbiamo assistito fuori ai magazzini (e non solo) a vere e proprie mattanze di lavoratori ad opera di uno Stato che reprime senza pietà chiunque alza la testa per rivendicare i propri diritti, ma in questi casi nessun media si è indignato e nessun partito politico ha proferito parola, salvo schiumare rabbia, sempre e comunque, contro i facinorosi del SI Cobas…

I padroni e lo Stato si sono oramai per anni abituati alle autorappresentazioni estetiche di una certa sinistra e di alcune vecchie cariatidi del sindacalismo di base, avvezze a trastullarsi in pagliacciate ad uso e consumo mediatico il cui copione si fonda sullo schema secondo cui “più mazzate prendiamo meglio è, così ci presentiamo come vittime, facciamo notizia sui giornali, abbiamo visibilità e la gente ci seguirà”.

Dunque niente servizio d’ordine e si va allo sbaraglio con azioni il più delle volte autolesioniste per l’incolumità dei manifestanti e suicide sul piano politico.

Salvo poi scoprire che le mazzate, le teste spaccate, i lacrimogeni e gli arresti, più che creare consenso generano paura e diffidenza nei settori di massa dei lavoratori, sono il viatico non della radicalizzazione delle lotte, bensì del riflusso.
Questo schema da dilettanti allo sbaraglio, nefasto per la tenuta e il rilancio di una reale opposizione di classe, si è al contrario rivelato il più delle volte utile trampolino di lancio per qualche neopoliticante a caccia di visibilità per poter accedere alle stanze dei bottoni parlamentari, regionali, comunali e così via.

È una coincidenza nient’affatto casuale che proprio non appena i più furbi entrano nelle istituzioni borghesi col pretesto di voler “rappresentare la rappresentazione” di lotte oramai rifluite, le forze sane e genuine di quei movimenti si sciolgono quasi ovunque come neve al sole…

I fatti di Piacenza, così come le lotte di questi anni a Basiano, all’Ikea di piacenza, alla Granarolo, all’Alcar Uno di Modena e in ultimo alla SDA di Carpiano, hanno poco o nulla a che fare con queste pratiche, opportuniste e perdenti allo stesso tempo, e rimandano a ben altri scenari ed altri nodi da sciogliere.
Mentre quel che resta della “sinistra radicale” si affida per l’ennesima volta alla scorciatoia elettorale nel tentativo di portare in parlamento la testimonianza dei bei tempi andati, ben altre sono le esigenze di chi in questi anni sui luoghi di lavoro, nei magazzini e sui territori ha provato con la lotta non solo a resistere, ma anche a contrattaccare.

Per chi ogni giorno combatte per difendere ed affermare il diritto a un salario, a un tetto, a servizi sociali e alla salute, le forme di lotta da adottare vengono scelte esclusivamente in base alla loro efficacia, alla loro credibilità, alla loro capacità di allargare il perimetro del conflitto e della partecipazione operaia e proletaria, di trasmettere entusiasmo e fiducia nei propri mezzi, di allontanare la paura: in sintesi, di essere vincenti!

In questi anni, e ancor più negli ultimi mesi, il SI Cobas è cresciuto e si è sviluppato non solo in termini numerici, ma anche e soprattutto nella maturazione e nella presa di coscienza da parte di un corpo largo di lavoratori che le battaglie condotte ogni giorno per migliori condizioni salariali assumono sempre più una valenza politica, e che le conquiste ottenute col sudore e con la determinazione di migliaia di operai devono sempre più far conto non solo con i padroni e col sistema delle finte cooperative, bensì con l’intero fronte padronale, il suo Stato, il suo parlamento, i suoi organi repressivi.

La furia cieca del PD e della Cgil contro la lotta vincente dei facchini SDA di Carpiano, la sfrontatezza con la quale autorevoli esponenti della maggioranza e del governo Gentiloni invitavano la polizia a “picchiare più forte” per sgomberare i picchetti, la chiara regia politica che si è manifestata dietro il raid squadristico-mafioso avvenuto fuori ai cancelli la sera del 23 settembre 2017, la rabbia e la frustrazione per aver dovuto digerire che in uno dei templi del Capitalismo di Stato nostrano gli operai ottengono la disapplicazione del Jobs Act di Renzi, sono tutti elementi che confermano in maniera inequivocabile ciò che iniziava a trasparire già all’epoca dei 16 mesi di lotta alla Granarolo, quando Lega Coop cercava di cancellare il diritto allo sciopero sostenendo che le mozzarelle erano un bene di prima necessità e quando il signor Poletti, appena dopo aver concluso quella dura vertenza, passava nel giro di poche ore dalla poltrona di presidente di Lega Coop a quella di ministro del Lavoro nel governo Renzi.

Quest’innalzamento del livello di scontro su un piano politico è apparso ancor più evidente con la torbida vicenda che ha portato all’arresto di Aldo Milani a margine dell’altrettanto dura vertenza all’Alcar Uno di Modena, nella quale i padroni e il governo hanno tentato la carta dello scandalo e del fango giudiziario pur di sopprimere un movimento autorganizzato di lavoratori che non riuscivano a fermare con i manganelli e le denunce.

Oggi proprio quegli stessi signori, responsabili e complici di un sistema di sfruttamento e di oppressione che ha iniziato ogni giorno di più a vacillare sotto i colpi delle lotte operaie, fingono di indignarsi di fronte all’escalation razzista e xenofoba scatenata in queste settimane dalla Lega Nord e dai gruppi neofascisti, sfociata nell’agguato terroristico di Macerata e in una miriade di episodi di violenza che vedono vittime soprattutto immigrati.

Coloro che in questi anni hanno introdotto in Italia prima il Modello- Marchionne e ora il modello-Amazon, che hanno varato il Jobs Act condannando un’intera generazione alla precarietà a vita, che hanno trasformato il Mar Mediterraneo in un enorme cimitero, che militarizzano le nostre coste e trasformano i nostri confini in un lager, che hanno introdotto il “reato di povertà” col pacchetto-sicurezza di Minniti, che sponsorizzano il lavoro a salario zero per gli studenti, che hanno cancellato i più elementari diritti sindacali e di rappresentanza sui luoghi di lavoro, che provano ogni giorno a mettere fuorilegge il diritto di sciopero, oggi, sotto elezioni vorrebbero rifarsi una verginità rievocando il “pericolo fascista”, appellandosi al “voto utile” per fermare le destre razziste e xenofobe, riesumando l’oramai stantia cantilena della “difesa della costituzione” e della (loro) democrazia.

Chi come noi lotta ogni giorno in prima fila al fianco di un movimento di lavoratori composto per il 90% da immigrati è ben consapevole di quanto insidiosa, allarmante e repellente la ripresa di iniziativa della teppaglia fascista, di come questa orda reazionaria sia funzionale a dividere i proletari per razza e colore della pelle ed evitare che essi prendano coscienza che l’unica reale contrapposizione di interessi esistente sia tra classe domininante e classe dominata. Proprio per questo siamo stati in prima fila a Piacenza e in altre città, e abbiamo solidarizzato con la piazza di Macerata che si è mobilitata in risposta all’infame agguato di matrice facioleghista.

D’altra parte, proprio per le ragioni appena elencate e proprio perchè sul terreno dell’antirazzismo non accettiamo lezioni da nessuno (men che meno da CGIL-CISL-UIL, dal PD e dai suoi complici ora in corsa per qualche seggio parlamentare sotto le insegne di Liberi ed Uguali), il 24 febbraio saremo in piazza a Roma per un corteo che è, nei fatti, antagonista non solo ai fascisti e al fronte reazionario, ma anche alla piazza dell’ipocrisia “democratico-costituzionale” indetta per lo stesso giorno a Roma da ANPI, ARCI e Libera, sotto la sapiente regia del PD e di ciò che resta della sinistra parlamentare.

Questi ultimi, complici o artefici di 30 anni di politiche antioperaie e di macelleria sociale, sono a tutti gli effetti sulla parte della barricata contrapposta alla nostra, e sono i primi responsabili dell’offensiva reazionaria in corso.

La “democrazia” borghese sempre più blindata e repressiva con cui ogni giorno dobbiamo fare i conti è di fatto il miglior alleato dei fascisti, perchè con le politiche di precarietà e di fame gli spiana la strada e favorisce quella guerra tra poveri che è il presupposto e la base per lo sviluppo e il radicamento dell’estrema destra, anche e soprattutto tra ampie fasce di proletariato autoctono.

Il nostro antifascimo, operaio e di classe, non ha nulla a che vedere ne con “voti utili” ne tantomeno con la difesa della Costituzione e di un ordine democratico fondato sull’oppressione e sullo sfruttamento dell’uomo sull’uomo.

Ai rigurgiti rezionari e razzisti noi opponiamo lo sviluppo di un nuovo movimento di classe, quanto più largo, unitario e interetnico, ma al contempo radicalmente autonomo e incompatibile coi nostri oppressori e coi loro comitati d’affari, anche quando essi si nascondono dietro la maschera di “democratici”, di “progressisti” o di “antifascisti”, e irriducibile ad ogni appello ipocrita all’unità delle “forze democratiche”.

Di fronte alla barbarie che avanza, è sempre più urgente la necessità di riannodare i fili delle lotte e lavorare alla costruzione di un fronte anticapitalista capace di riportare all’ordine del giorno il tema della trasformazione dell’esistente e della liberazione dalla schiavitù del lavoro salariato.

Le adesioni che in queste settimane sono arrivate da pezzi importanti del mondo del lavoro e del non lavoro, dai metalmeccanici alla scuola, dal pubblico impiego alla sanità, dai lavoratori dei traporti ai disoccupati napoletani, sono la conferma che ci stiamo muovendo nella giusta direzione.

Per questo il 24 febbraio saremo in piazza a Roma, portando al centro dell’attenzione i temi, le rivendicazioni e i bisogni reali di migliaia di lavoratori, precari, disoccupati, senzatetto e studenti; per dire no ai rinnovi contrattuali-bidone; per lavorare meno, meglio, tutti, con più tutele e con più salario; per fermare le leggi antisciopero; per dire basta alle misure poliziesche e alla repressione nei confronti di chi lotta; per abolire il pacchetto sicurezza Orlando-Minniti; per chiedere la liberazione immediata dei nostri compagni Moustafà, Giorgio e Lorenzo; per rispondere con la mobilitazione alle illusioni dell’ennesima farsa elettorale.

Il 24 febbraio a Roma sarà solo l’inizio!
Sparigliamo le carte!
 
SI Cobas nazionale