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[CONTRIBUTO] Palestina: un piccolo episodio, molto rivelatore. E un nuovo omicidio ancor più rivelatore…

Pubblichiamo qui sotto il contributo “Palestina: un piccolo episodio molto rivelatore. E un nuovo omicidio ancor più rivelatore” ricevuto dalla redazione de Il Pungolo Rosso e già disponibile sul loro sito.


Dal circuito di sostegno del popolo palestinese di Mestre-Venezia, che, tra le altre cose, cura da anni la bella rassegna “Cinema senza diritti”, abbiamo ricevuto una segnalazione che raccogliamo e rilanciamo con piacere.

Il 21 maggio scorso, in una trasmissione Rai a quiz (“L’eredità”), chiedono ad una concorrente: qual è la capitale di Israele? La risposta “Tel Aviv” viene considerata errata. Per i conduttori la capitale dello stato di Israele è Gerusalemme.

Segue una lettera di protesta, in stile diplomatico, dell’ambasciatrice di Palestina in Italia Abeer Odeh, la quale fa riferimento alle risoluzioni ONU che dichiaravano “nullo e inefficace” (già nel 1980) il trasferimento della capitale di Israele da Tel Aviv a Gerusalemme. E ricorda che la stessa Italia ha tuttora la sua ambasciata a Tel Aviv, sebbene l’amministrazione Trump abbia deciso diversamente pressando gli alleati europei a seguirlo.

La risposta della Rai è il solito, prevedibile impasto di ipocrisia, ma senza ammettere alcun errore, tiene il punto, motivandolo così: “il nostro format è un gioco a quiz e le domande si basano su una consultazione di fonti autorevoli e accreditate in campo enciclopedico”. Quindi, dispiace che “ciò abbia potuto ingenerare reazioni che interpretano sensibilità diverse” (!), ma non possiamo entrare in questioni “complesse”. Il massimo che potremo fare è segnalare in una successiva puntata “le vostre osservazioni”, in segno di pluralismo. Per intanto, per noi-Rai “pluralista”, la risposta giusta era ed è una sola: Gerusalemme. Così è scritto nell’enciclopedia del colonialismo sionista, la nostra fonte “autorevole ed accreditata” di riferimento.

Un “piccolo” episodio, si dirà. Dopotutto, era solo un programma di intrattenimento. Il fatto, invece, è rivelatore. Si tratta di un ennesimo caso di schieramento anti-palestinese che nei fatti sta passando in Italia sia nel sistema dei mass media che nella scuola.

Infatti in alcuni libri di testo per le scuole la versione che viene veicolata sulla capitale dello stato di Israele è esattamente quella espressa nella trasmissione Rai: effetto di un altro sopruso di stampo sionista sostenuto attivamente da Washington e avallato, con un silenzio complice, dall’Unione europea e dall’Italia.

Del resto, uno dei primi governi a congratularsi con il duo Netanyahu-Ganz, che ha in programma di portare a termine una nuova espropriazione in grande della terra palestinese, è stato proprio il governo Conte. E lo ha fatto con parole del premier decisamente impegnative che non lasciano il minimo dubbio sulla rotta che viene e verrà seguita dallo stato italiano: “continuare a rafforzare il partenariato e la vera amicizia che unisce Italia e Israele”.

Alla Rai e nelle case editrici di libri per la scuola, evidentemente, hanno compreso l’antifona al volo, perfino prima che venga formalizzata.

Ma non per questo bisogna desistere.

È vero, è in campo il “piano del secolo” di Trump-Kushner, ovvero la pugnalata del secolo per la causa e la popolazione palestinese di Gaza, della Cisgiordania e della diaspora. Ed è altrettanto vero che i famosi “fratelli arabi” (famosi per la loro viltà), cioè gli stati arabi, si sono progressivamente tutti, senza alcuna eccezione, de-solidarizzati dalla causa palestinese. Ma l’esito delle lotte di liberazione dipende dalla masse degli oppressi e degli sfruttati, non dai maneggi delle grandi potenze o dei loro stati-clienti.

Prima nel 2011-2012, poi nel 2018-2019, milioni e milioni di oppressi e di sfruttati del mondo arabo in Tunisia, Egitto, Barhein, Siria, Yemen, Algeria, Sudan, Libano, Iraq, Marocco, Giordania si sono sollevati per liberarsi dai propri regimi, tutti seppur in vario grado e con varie modalità infeudati alle grandi potenze del capitale globale. Nel corso di questo stesso decennio più e più volte il popolo palestinese di Gaza e di Cisgiordania, le sue donne, i suoi giovani, hanno dato prova della loro forza indomita. Queste sollevazioni e questa eroica resistenza, per poter vincere, hanno bisogno che si scuota dalle fondamenta il mondo dei paesi imperialisti, che rappresenta il presidio esterno della dominazione israeliana e dei governi arabi oppressori delle proprie genti.

Ebbene, in queste ore 40 città degli Stati Uniti sono in fiamme, e la rivolta sta avendo una tale forza, anche a Washington, da costringere il socio di Netanyahu e Ganz, Trump, a rifugiarsi nel bunker della Casa Bianca… Un primo, forte segno che il vento sta cambiando direzione, e questa nuova direzione del vento porterà sollievo e aiuto alla causa palestinese.

Intanto il governo Netanyahu-Ganz continua ad assassinare a sangue freddo, e a fare scuola in questa nobile scienza – l’agente che ha ucciso George Floyd, guarda caso, ha usato una delle tecniche caldeggiate dal Krav Maga, l’arte marziale “ibrida” creata dall’esercito israeliano, e praticata anche qui in Italia da non pochi membri di polizia, carabinieri ed esercito.

È di ieri l’ultimo delitto israeliano, avvenuto proprio a Gerusalemme, la cui descrizione riprendiamo da Nena News di oggi:

Roma, 1 giugno 2020 – Aveva 32 anni Iyad Hallaq. Viveva a Gerusalemme. Ogni giorno, da sei anni, frequentava la scuola Al Bakriyyah, a poca distanza dalla Porta dei Leoni, una delle entrate alla città vecchia. Era autistico e lì riceveva assistenza. Più di tutto Iyad era palestinese. Tanto basta a farne un sospetto. Per questa ragione è stato ucciso: i poliziotti israeliani che lo hanno incrociato sabato hanno detto di aver pensato che fosse armato o volesse compiere un attacco.

Lo hanno inseguito e lo hanno ucciso con sette colpi di arma da fuoco. Nessun tentativo di arresto o di verifica dell’effettivo pericolo. Iyad è morto come sono morti tanti altri palestinesi prima di lui, sospettati di avere in mano un coltello, di voler attentare alla vita di un soldato o un poliziotto israeliano. Organizzazioni internazionali l’hanno definita la pratica dello “shoot to kill”, sparare per uccidere, la reazione tipo delle forze israeliane: se anche il sospetto, palestinese, non rappresenta un pericolo, la prima e immediata forma di difesa da un pericolo solo presunto è sparare. Anche se è lontano, anche se potrebbe essere fermato in altro modo.

Iyad in mano non aveva nulla. Ieri il ministro della Difesa israeliano, Benny Gantz, ex capo di stato maggiore – noto ai più fino a un anno fa per aver auspicato il ritorno di Gaza all’età della pietra, poi per aver sfidato il premier Netanyahu prima di crearci insieme una coalizione di governo – ha chiesto scusa per l’uccisione di Iyad Hallaq.

Gantz ha chiesto scusa ieri, durante l’incontro settimanale del governo, seduto accanto al primo ministro che ha taciuto: “Siamo dispiaciuti per l’incidente e condividiamo il dolore della famiglia. Sono certo che la cosa sarà indagata rapidamente e saranno raggiunte delle conclusioni”. [Possiamo già immaginare quali, visti i settanta anni precedenti – n. n.]

Ha parlato anche la madre di Iyad, dalla sua casa a Wadi al-Jouz, quartiere di Gerusalemme noto per essere tra i più colpiti dalla repressione israeliana, quello da cui provengono – scrivono i media israeliani e non solo – coloro che compiono attacchi, dimenticando di citarne le condizioni di vita, quelle economiche e sociali. La madre alla stampa ha detto che Iyad era autistico, che si è spaventato – come avveniva spesso – per le grida dei poliziotti e per questo è scappato. Era un bambino nel corpo di un uomo, dice. E si chiede, come riporta Imemc News, perché gli agenti “non lo hanno perquisito, perché lo hanno ucciso senza nemmeno essere certi che avesse davvero un’arma con sé”.

Perché sono abituati all’impunità interna ed internazionale, che credono “eterna”. Ma, come il “caso” Floyd prova, non sarà affatto eterna. L’importante è ricordare tutto. E non accordare “perdoni” di sorta. 

Una volta incominciata l’opera, bisognerà andare avanti fino alla totale rimozione delle radici dell’oppressione nazionale e di classe.