Pubblichiamo qui sotto la prima parte del contributo “Da Aviano a Sigonella, l’Italia è sempre più base d’attacco della NATO” ricevuto dalla redazione de Il Pungolo Rosso e già disponibile sul loro sito.
Questa crisi sanitaria e sociale, che sta provocando i primi scioperi spontanei nelle fabbriche dopo decenni, e diviene ora anche crisi economica e finanziaria, mette alla prova i sistemi capitalistici, in Italia e nel mondo intero, e scuote le coscienze in settori della nostra classe cui si chiede di lavorare comunque, anche in assenza delle condizioni di sicurezza che vengono invece imposte al resto della popolazione.
Per la prima volta da decenni assistiamo a scioperi spontanei nelle fabbriche.
Anche nella lotta per ambienti di lavoro sicuri e adeguati dispositivi di protezione individuale, e nelle difficoltà di coloro che sono lasciati a casa con un futuro incerto, deve crescere la coscienza della necessità di lottare per superare questa società divisa in classi.
Contro le ideologie da “unità nazionale” tra sfruttati e sfruttatori.
Il virus globalizzato mette inoltre in chiaro l’inconsistenza delle prospettive di autonomie locali/localistiche, e delle scorciatoie “sovraniste”.
L’unica strada è quella internazionalista, dell’unione tra i proletari di tutto il mondo.
S.I. Cobas
Come c’era da aspettarsi, lo scoppio di una crisi economica di portata devastante sta fornendo propellente a volontà ad una nuova corsa universale alle armi, e ad un’intensa attività delle grandi potenze sul piano diplomatico e su quello militare. Ovviamente è della partita, e in modo attivo, anche l’Italia. L’Italia del governo Pd-Cinquestelle-Italia viva-Liberi uguali-Sinistra italiana (non dimenticate questa appendice del governo, a cui sono legati gli ex-disobbedienti e l’Adl-Cobas).
Due fatti di questa settimana lo segnalano. Li richiamiamo qui perché rischiano di passare, indebitamente, in sordina.
Il primo fatto è stato annunciato così da quello che, con la direzione dell’ultra-sionista e ultra-atlantista Molinari, è ormai diventato il primo organo di stampa del bellicismo anti-russo, anti-cinese e anti-arabo (al secolo il giornale di centro-sinistra la Repubblica) : La soglia di Aviano per arginare i russi nel Mar Nero. Si tratta di questo: per effetto della crescente pressione del Pentagono e di Trump contro la Germania, lasceranno a breve il suolo tedesco 11.900 militari e due comandi statunitensi: l’Us Africa Command (che ha il suo raggio d’azione in 30 paesi) e l’Us European Command (che controlla le operazioni militari in 51 paesi). Quest’ultimo andrà di sicuro in Belgio, il primo forse a Napoli, forse in Spagna (c’è contesa tra i due stati).
Verrà invece di sicuro dislocato in Italia, oltre ad un migliaio (almeno) di soldati, uno “squadrone di caccia F16”, tra i 12 e i 24 aerei da combattimento che da Ramstein e Spangdahlem traslocheranno felicemente ad Aviano, facendo di questo luogo “il caposaldo del nuovo fronte orientale” per il futuro “confronto con la Russia sul mar Nero”, con lo sguardo (i carichi di bombe) rivolto, cioè puntato, all’intero Medio Oriente. Aviano è già salita agli onori della cronaca nel 1999 quando fu la base di partenza avanzata della criminale guerra coloniale a quel che restava dell’ex-Jugoslavia. Una guerra che ha sprofondato in un buio tunnel di povertà e disfacimento sociale la Serbia e il Kosovo (il luogo dei Balcani con la più colossale emigrazione!, oggi ridotto ad un vero e proprio narco-stato, tale perfino più dell’Italia). Una guerra di cui è stato complice – non dimentichiamo neppure questo, e le sue ragioni profonde, ideologiche e storiche – un tal Marco Rizzo, che pretende usurpare il titolo di comunista…
Ora Aviano, si dice Aviano per dire Italia, sta per meritarsi un altro riconoscimento grondante di sangue. Sentite quale, dalle parole di Esper, il ministro della guerra a stelle e strisce: “Vogliamo avvicinare questo squadrone alla regione del Mar Nero, in modo che possa essere più pronto per condurre missioni dinamiche [n.b.] e partecipare alle rotazioni lungo il fianco sudorientale della NATO”. A questo solenne annuncio i bellicisti della banda Elkann-Molinari sono stati afferrati da un’euforia irrefrenabile: è “un cambiamento strategico che rende l’Italia fondamentale per il futuro della NATO perché è l’unico alleato ritenuto veramente affidabile nella regione”. In alto i calici!
Del resto il n. 4/2020 di Limes, pur con quella sua prosa stucchevole piena di aforismi, studiati calembour e apparente nobiltà di eloquio, l’aveva detto chiaro e tondo: per non finire in Caoslandia, l’Italia deve confermare, e senza la minima esitazione, la sua appartenenza alla NATO e la sua supina fedeltà agli Stati Uniti anzitutto. Perché? Ma perché restano i più forti. E “noi”-capitalismo italiano/imperialismo non di primissimo rango, possiamo tutelare questa nostra posizione solo collocandoci, senza ambiguità, dietro il più forte. L’abbiamo fatto da sempre, e mal ce n’è incolto le rare volte che abbiamo cercato di giocare un ruolo autonomo, troppo pretenzioso, a fianco dell’alleato sbagliato (quello che non era il più forte – il riferimento implicito è al nazismo hitleriano). Dobbiamo stare al coperto, stop. La massima banda di oscillazione che possiamo consentirci è quella di fare qualche apertura in più alla Russia, ma – sia chiaro in partenza, non sia mai la madonna che si capisca il contrario!– solo e soltanto per cercare di staccarla dalla Cina, e poterci così di nuovo avventare sulla Cina come in quei magnifici giorni di inizio 1900 in cui ci coprimmo d’onore andando a schiacciare la rivolta dei Boxer, a mettere a ferro e fuoco Pechino e finir di rapinare la Cina. Così colti, così vili, così stolti (confondono la Cina in disfacimento dell’anno 1900 con la Cina rampante del 2020), questi guru della geopolitica de noantri che tanto hanno abbagliato certi geopolitici dilettanti di sinistra.
Sul secondo fatto di guerra avvenuto in questi giorni, lasciamo parlare il post appena pubblicato da Antonio Mazzeo, che abbiamo ricevuto da un compagno del movimento No Muos, e ben volentieri pubblichiamo per l’estrema, abituale precisione con cui le cose che avvengono sono documentate. Si tratta dell’arrivo in Sicilia, a Sigonella, di un super-drone proveniente direttamente dalla base Edwards in California, e destinato ad operare in un’area geografica che comprende l’intero continente africano e il Medio Oriente, più l’Europa orientale sino al cuore della Russia…
Ci siamo intesi?
Il Pungolo Rosso
Sono già quattro i droni AGS della NATO a Sigonella
di Antonio Mazzeo (1)
Con un laconico comunicato il Comando generale della NATO ha reso noto l’arrivo a Sigonella del quarto velivolo a pilotaggio remoto RH-4D “Phoenix” del programma Alliance Ground Surveillance – AGS. “Il drone è decollato dalla base aerea di Edwards in California (USA) alle ore 18.33 locali del 25 luglio ed è atterrato a Sigonella alle 16.20 del giorno successivo, dopo più di 22 ore di volo”, riporta la NATO.
“L’arrivo del quarto velivolo costituisce un ulteriore passo per la Forza Alleata di sorveglianza terrestre”, ha dichiarato il generale Houston Cantwell, comandante della NATO AGS Force. “Dopo sole due settimane dall’atterraggio nella base aerea siciliana del terzo drone RQ-4D, la flotta AGS della NATO di cinque velivoli a pilotaggio remoto è adesso vicina al suo completamento. Si rafforzano così le nostre capacità con maggiore ridondanza e flessibilità. La NATO AGS Force prosegue nel suo sforzo per divenire il fornitore chiave in ambito regionale delle informazioni di pronto allarme ai membri dell’Alleanza Atlantica”.
Il 4 giugno 2020, il nuovo drone della NATO aveva avuto il suo battesimo operativo nel Mediterraneo centrale e in nord Africa con un volo di ricognizione e intelligence decollato da Sigonella e conclusosi dopo nove ore circa. “Durante la missione, i sensori del velivolo Phoenix hanno raccolto immagini e informazioni su obiettivi in movimento che sono state trasferite al Centro di Supporto operativo della task force AGS di Sigonella, dove sono state processate ed elaborate e successivamente trasferite agli Alleati”, aveva riferito il Comando Strategico Alleato in Europa (Shape) di Mons, in Belgio.
Dotati della piattaforma radar MP-RTIP con sofisticati sensori termici per il monitoraggio e il tracciamento di oggetti fissi ed in movimento, i droni AGS possono volare ininterrottamente per più di 22 ore, sino a 18.000 metri di altezza e a una velocità di 575 km/h. I dati rilevati e analizzati a Sigonella sono poi trasmessi grazie ad una rete criptata al Comando JISR, Joint Intelligence, Surveillance and Reconnaisance della NATO, con sedi a Bruxelles, Mons e The Hague. Oltre 16.000 km il raggio d’azione dei velivoli senza pilota, così da consentirne l’operatività in un’area geografica che comprende l’intero continente africano e il Medioriente, l’Europa orientale sino al cuore della Russia. Grazie alle informazioni raccolte e decodificate dall’AGS, la NATO è in grado di ampliare lo spettro delle proprie attività nei campi di battaglia e rafforzare la capacità d’individuazione degli obiettivi da colpire con gli strike aerei e missilistici.
Il quinto drone è atteso a Sigonella entro la fine di agosto; l’intero sistema di “sorveglianza terrestre” sarà tuttavia completato nel 2022, con cinque anni di ritardo nella tabella di marcia prevista dal contratto tra il comando NATO e l’industria statunitense costruttrice, Northrop Grumman. Intanto il 4 maggio 2020 è stato pubblicato il bando per individuare la società a cui saranno affidati i servizi di manutenzione e di supporto dei droni AGS schierati nella stazione aeronavale di Sigonella. Alla gara sono state invitate 19 aziende con sede in Italia; l’importo del contratto è di 1.200.000 euro, con la possibilità di ulteriori opzioni sino a 6 milioni, per il periodo compreso tra l’1 gennaio e il 31 dicembre 2021.
Il costo totale del programma AGS è stato stimato intorno a 1,7 miliardi di dollari. A contribuire finanziariamente solo 15 paesi membri della NATO: Italia, Bulgaria, Repubblica Ceca, Danimarca, Estonia, Germania, Lettonia, Lituania, Lussemburgo, Norvegia, Polonia, Romania, Slovacchia, Slovenia e Stati Uniti.