Il 23 luglio hanno firmato l’accordo per il premio di risultato (PDR) del 2020.
Nel corso della breve trattativa, sono stati annunciate barricate e sfracelli; sapevamo tutti che erano chiacchiere e così è stato.
Poste si porta a casa quello che voleva, primo: vincolare a doppio filo i lavoratori ai destini dell’azienda; secondo: veicolare in modo sistematico il welfare aziendale.
I sindacati ottengono quello a cui puntavano: il riconoscimento da parte dell’azienda e il mantenimento del loro apparato di controllo dei lavoratori.
Il documento sottoscritto è un documento politico strettamente ideologico; ovvio – si potrebbe dire – tutti gli atti sindacali lo sono, ma nel caso in cui, come in questo, l’accordo si fonda su due capisaldi come il profitto e il welfare aziendale, enunciati come valori assoluti, da assimilare, da rendere propri, da condividere, si va ben oltre la “normale” dialettica datore/dipendente, che li dovrebbe vedere (secondo una visione da benpensanti) in qualche modo “avversari”, ma tuttavia accomunati da un presunto, generico “interesse comune”, per approdare ad una condizione nella quale il padrone agisce nei confronti del dipendente per modellarne la propria vita lavorativa certo, ma anche il suo impianto etico, i suoi principi morali, sul paradigma che gli è proprio.
Questo e non altro può significare quanto è scritto nelle premesse dell’accordo là dove si dice che alla luce del valore fondamentale che i postali hanno assunto in relazione alle necessità della popolazione, si deve monetizzare questa relazione (vera o presunta che sia, diciamo noi) in funzione della redditività aziendale?
Quindi, tradotto, forse significa che, ad esempio agli sportelli, si deve, sempre e comunque, puntare a vendere prodotti, imbonendo l’utenza, indipendentemente dalla loro specifica condizione e dalle loro effettive necessità?
Sì, pensiamo possa voler dire proprio questo, perché, come sappiamo, questo è il mantra che martella le orecchie degli impiegati allo sportello da lungo tempo.
Detto questo, paradossalmente, la campagna per il welfare aziendale, che passerà anche attraverso il ricorso a “specifiche modalità di comunicazione verso il personale” per arrivare almeno all’adesione “in misura almeno pari al 20% del valore complessivo del premio”, diventa quasi tollerabile, rientrando semplicemente nella normale pratica di produzione e accumulazione di profitti.
Sì perché, per i pochi postali che non l’avessero capito, il welfare aziendale, contrariamente a quanto spacciano poste e sindacati, è solo ed esclusivamente un nuovo strumento per la produzione di profitti, diretti o indiretti.
Banalmente, i lavoratori pagano tasse, contributi previdenziali e assistenziali, per – così dovrebbe essere – vedersi garantiti alcuni semplici diritti: una pensione decente, un’assistenza sanitaria efficiente ed efficace, dei servizi pubblici in genere adeguati, ma il covid ci ha insegnato che le cose non stanno esattamente così, il tracollo della sanità lombarda ne è la rappresentazione plastica.
L’eccellenza per antonomasia ha fatto splash, spappolata dalla gestione mista privato/pubblico che ha prodotto, per il primo profitti decennali, mentre per il secondo la gestione dei moribondi da covid, alla quale non ha saputo far fronte.
Sempre banalizzando, ma giusto per capirci, qualcuno può forse pensare che l’escalation dell’assistenza sanitaria privata, del tipo proposto dalle poste nel suo impianto di welfare aziendale, potrà mai far fronte a situazioni come quelle che abbiamo vissuto negli scorsi mesi?
La risposta ci sembra scontata naturalmente, quindi perché dare altri soldi a strutture, imprenditori sanitari, società, che – ipotesi non peregrina dati i tempi – potrebbero essere partecipate a vario titolo da qualche soggetto che ruota intorno a poste e sindacati?
Vi siete mai chiesti il perché di tanta attenzione, tanta pressione, tanto accanimento per convincere i postali (ma non solo loro, chè la questione è generalizzata) ad aderire a questo welfare aziendale?
Perchè sono strenui sostenitori del pensiero neoliberista?
Forse sì….
Per entrare nel merito dell’accordo da punto di vista “tecnico”.
Premettiamo che troviamo fantastico l’uso delle formule da “alta finanza”, che hanno come obiettivo una cosa molto semplice: mettere due dita negli occhi dei postali, considerati evidentemente come degli idioti.
TFA, k€, FTE, EBIT, “interpolazione lineare fino al 100%, al raggiungimento del valore soglia e fino al valore target dell’EBIT del …, secondo quanto comunicato alle OO.SS. .. al raggiungimento del valore di EBIT overperfomance, …”, attraverso acronimi, termini astrusi, formulette di vario tipo, pensano di prendere per i fondelli i postali.
Postali che, pur masticano finanza più del pensabile, sono molto pigri e spesso, quando ci sono di mezzo i loro sindacati, si lasciano abbindolare senza motivo.
Basta leggere quello che c’è scritto nell’accordo, ma anche tra le righe, in trasparenza, per capire le reali intenzioni dei firmatari.
Partiamo dall’inizio: la formula TFA/ per addetto – k€/FTE: + 1% del 2029, altro non significa che non verrà pagato alcun premio se alla fine dei conti, detratto il costo del lavoro, l’attività di ogni singolo dipendente a tempo pieno non avrà prodotto un “volume di affari” superiore dell’1% rispetto al 2019.
Veniamo al famigerato EBIT, naturalmente scrivono Earnings Before Interests and Taxes perché è cool, mentre scrivere Guadagni Prima di Interessi e Tasse sarebbe da poveracci.
Sulla interpolazione lineare tra un valore soglia dell’EBIT e il valore target ai quali corrisponderebbero 80% del premio fino al 100% c’è poco da dire se non che, fino al minimo EBIT previsto si paga l’80%, per arrivare progressivamente al 100% in caso di EBIT come da obiettivo dichiarato.
La vera chicca è l’EBIT overperformance che porterebbe al pagamento addirittura del 105% del premio, e sarebbe una goduria, chissà a quanti infortuni più o meno
mortali corrisponderanno queste eventuali overperformance?
Tutto questo parlare di EBIT per arrivare a dire che, cari signori postali, quali sono gli obiettivi che Poste si è data, gli EBIT in sostanza, non ve lo diciamo, lo sappiamo solo noi sindacalisti e coordinatori RSU; non possiamo dirvelo, ce lo vieta il CCNL, è un segreto dal cui mantenimento derivano le sorti della più grande azienda di servizi del paese.
Evidentemente il senso del ridicolo non abita da quelle parti, perché ad ogni trimestrale e/o semestrale di bilancio, Poste Italiane spa dirama pubblicamente i risultati del periodo e le previsioni per l’anno in corso in base all’andamento dell’attività.
Sono dati pubblici, servono agli investitori per decidere se investire o meno, è un segreto fasullo, tanto quanto burattini sono questi sindacalisti, che neppure ricordano di aver diffuso una nota nella quale indicavano l’EBIT fornitogli da Poste in trattativa nella misura di 2270 milioni € per il target del 100% e 1270 per il 75% del premio, una informazione very, very “Price Sensitive”.
Rimandando al nostro sito web per un’analisi più completa del tema PDR, anche oltre l’ambito postale, chiudiamo prendendo lo spunto dal fatto che hanno limitato l’accordo al 2020 per non intralciare il rinnovo del CCNL (?!), per dire cose molto semplici, cioè per parlare di salario, diritti, dignità.
La dignità non dovrebbe essere in vendita neppure tra i dipendenti postali, e invece sembra proprio che i vostri sindacalisti e le poste pensino il contrario; fanno ciondolare la carota (avvelenata) del PDR per raggiungere i loro scopi che, abbiamo visto, non brillano certo per eticità.
I diritti, in generale, ma in specie in ambito lavorativo, non sono una gentile concessione né dei padroni, né dei sindacati, né dei governi, sono il frutto di lotte decennali, ahinoi, lontane nel tempo; basta veramente poco per farne strage, tutti dovrebbero averlo capito.
Il salario, ai tempi delle lotte era una “variabile indipendente”, poi grazie agli antenati dei vostri sindacalisti, è quasi diventato un optional, in poste sempre ridotto ai minimi termini per definizione, a favore di forme aleatorie di compensazione retributiva: abbinamenti, intensificazione, straordinari e, ultimo, il PDR, che rappresenta l’oggi, ma anche il futuro.
Due sono le strade che avete davanti: raccogliere l’invito di poste e sindacati, condividerne la prospettiva, la meraviglia di un mondo in cui tutto si paga (più volte) per avere la sensazione, in quanto privilegiati, di essere fuori dalla mischia dei precari, cassaintegrati, disoccupati, condannati alle miserie del welfare pubblico (quello che pagate anche voi); oppure rompere questa gabbia nella quale vi siete/vi hanno rinchiuso, fatta di meschini interessi, di miseria morale, di indifferenza nei confronti di coloro – lavoratori e non solo – in difficoltà a causa della brutalità di questo sistema economico e sociale, per battersi contro chi detiene il potere, chi decide della vita miliardi di persone, chi sfrutta i lavoratori, chi licenzia, precarizza, attacca e annulla diritti, per un futuro nel quale vi sia una condizione sociale equa, solidale, volta a valori reali, che non siano il prodotto di un processo disterilizzazione delle coscienze, ma il frutto di un t'”consapevole scelta di campo.
Lottare per un salario equo, contro premi, carote, e sirene ingannatrici, potrebbe essere il punto di avvio per compiere queste scelte, se così fosse saremmo con voi, altrimenti, buona fortuna.
S.I. Cobas Poste
Per il sito dei lavoratori S.I. Coba Poste, clicca qui.