Pubblichiamo qui sotto il contributo “L’attuale crisi sanitaria, economica e sociale scatenata dalla pandemia Covid-19, sta accelerando tentativi di riassetto dei rapporti tra blocchi e potenze imperialiste”.
Questa crisi sanitaria e sociale, che sta provocando i primi scioperi spontanei nelle fabbriche dopo decenni, e diviene ora anche crisi economica e finanziaria, mette alla prova i sistemi capitalistici, in Italia e nel mondo intero, e scuote le coscienze in settori della nostra classe cui si chiede di lavorare comunque, anche in assenza delle condizioni di sicurezza che vengono invece imposte al resto della popolazione.
Per la prima volta da decenni assistiamo a scioperi spontanei nelle fabbriche.
Anche nella lotta per ambienti di lavoro sicuri e adeguati dispositivi di protezione individuale, e nelle difficoltà di coloro che sono lasciati a casa con un futuro incerto, deve crescere la coscienza della necessità di lottare per superare questa società divisa in classi.
Contro le ideologie da “unità nazionale” tra sfruttati e sfruttatori.
Il virus globalizzato mette inoltre in chiaro l’inconsistenza delle prospettive di autonomie locali/localistiche, e delle scorciatoie “sovraniste”.
L’unica strada è quella internazionalista, dell’unione tra i proletari di tutto il mondo.
S.I. Cobas
[Nella foto: lavoratori in sciopero in India]
L’attuale crisi sanitaria, economica e sociale scatenata dalla pandemia Covid-19, sta accelerando tentativi di riassetto dei rapporti tra blocchi e potenze imperialiste
La crisi della Covid-19 ha portato al pettine per l’India alcuni nodi strategici, sollecitandone una risposta.
Il primo ministro indiano Narendra Modi ha annunciato una serie di riforme economiche nel quadro di un riassetto dei rapporti di potenza dell’India.
Un riassetto accelerato a seguito del recente intervento militare cinese e del rifiuto di Pechino di ritirarsi dai territori occupati nel Ladakh orientale.
Delhi ha risposto sul piano economico più che su quello militare, con crescenti
pressioni interne per un distacco economico dalla Cina, e mentre si rafforza la prospettiva di una più stretta alleanza strategica con Washington.
I problemi legati all’espansione delle relazioni commerciali dell’India con la Cina sono emersi negli anni 2010, quando il deficit commerciale bilaterale è costantemente, raggiungendo quasi 55 miliardi di $ l’anno scorso.
Ha contribuito in modo significativo a restringere la base industriale dell’India l’importazione a basso costo di manufatti dalla Cina.
Il PIL indiano, dopo tassi di crescita inediti pari a quasi il 9% negli anni 2000, ha subito un rallentamento nel decennio seguito al 2010.
Lo slancio economico atteso dal governo Modi, eletto con forte consenso per la prima volta nel 2014, è stato rapidamente smentito.
Anzi, la demonetizzazione e l’introduzione di una tassa sui beni e i servizi da lui
decise, sembrano aver peggiorato le difficoltà economiche.
Tra le riforme sollecitate dalla crisi in atto, prodotta dallo scoppio della pandemia, ci sono la riduzione delle tasse, la fine del monopolio statale sul commercio agricolo, la privatizzazione di gruppi statali, l’innalzamento di limiti agli investimenti esteri diretti e l’apertura di nuovi settori alle imprese private.
Il governo Modi ha anche sostenuto il manifatturiero con incentivi legati alla produzione.
Queste riforme sono state lanciate con una campagna politico-ideologica a favore di una “India autosufficiente” (Atmanirbhar Bharat), tesa alla ripresa delle capacità produttive dell’India, la cui perdita viene imputata alla scelta liberista dell’India dagli anni Novanta.
Alla fine del 2019 Modi ha ritirato l’India dalla Regional Comprehensive Economic Partnership [1], valutando che le prospettive dell’India saranno minate se sarà la Cina a stabilire le regole in Asia.
L’aggressione cinese nel Ladakh ha spinto l’India a passare dal ritiro commerciale passivo a un disaccoppiamento economico attivo.
L’India ha deciso di limitare le importazioni dalla Cina, gli investimenti, l’esposizione digitale e di impedire a Huawei e ZTE di entrare nella sua tecnologia Wi-fi 5G.
Il post-pandemia favorisce un suo più intenso impegno commerciale con gli Stati Uniti, che vedono l’India come parte della loro strategia anti-Cina, con nuove reti di rifornimento, una coalizione di paesi, il rafforzamento di alleanze per la sicurezza nell’Indopacifico.
Con Modi, l’India ha abbandonato la storica titubanza ad avvicinarsi agli USA, soprattutto sul terreno della sicurezza.
Ha per la prima volta invitato un presidente americano (Barack Obama) come ospite
d’onore alla Festa della Repubblica, ha capovolto la posizione dell’India sul cambiamento climatico per collaborare con gli Stati Uniti, ha aderito al rilancio del gruppo “Quad” [2] (che comprende Stati Uniti, Giappone e Australia, ed India); ha firmato i cosiddetti accordi militari fondamentali con Washington, tutti passi ritenuti impensabili nel decennio precedente.
La speranza di Delhi di raggiungere un rapporto di parità con la Cina viene smentita dai fatti: il divario economico complessivo si allarga a favore di Pechino (il PIL cinese di 14 mila MD di $ è quasi cinque volte quello indiano di 3 mila MD$.
Delhi deve prendere atto che Pechino sta espandendo rapidamente, a sue spese, la propria influenza strategica nell’ampia area dei paesi vicini all’India.
Inoltre la Cina ha cercato di bloccare le aspirazioni internazionali dell’India – dal seggio permanente presso il Consiglio di sicurezza Onu, all’ingresso nel Gruppo dei Fornitori Nucleari (Nuclear Suppliers Group) [3].
Delhi sa che per risolvere i suoi problemi con Pechino non può contare su Washington, la cui politica nei confronti della Cina è imprevedibile.
Ma con o senza il sostegno americano, si sta preparando ad affrontare la sfida cinese.
Il 6 ottobre si riunisce Tokyo ospita il Gruppo Quad (Stati Uniti, Giappone, Australia e India), per discutere sulla pandemia Coronavirus e sulla situazione regionale, un meeting che giunge mentre Cina e India cercano di allentare la tensione derivante dallo scontro sul confine himalaiano disputato.
La politica verso la Cina è uno dei maggiori temi della campagna elettorale di Trump.
Il nuovo primo ministro giapponese, Suga, si pone l’obiettivo di perseguire un equilibrio tra il maggior partner commerciale del Giappone, la Cina, e l’unico suo alleato militare, gli Usa, tra loro in forte conflitto.
Il Giappone ha una disputa aperta con la Cina sulle isole Sensaku controllate da Tokyo (chiamate Diaoyu in Cina), nel Mar di Cina Orientale.
Le relazioni della Cina sono tese anche con l’India (vedi disputa di confine in Tibet, regine Ladakh) e con l’Australia, su dazi, diritti umani e sulla questione dell’origine della nuova pandemia.
Il Quad tiene vertici semiregolari ed esercitazioni militari congiunte, e discute sull’assistenza economica regionale e allo sviluppo.
Esso ha tenuto la sua prima riunione formale ministeriale l’anno scorso a NY
(in precedenza erano semplici colloqui ufficiali), come risposta alla politica estera più assertiva di Pechino.
Il quadro più formale dell’incontro (chiesto da Washington per “formalizzare” i legami strategici crescenti dei paesi Quad) è mirato, implicitamente a contrastare la Cina, presentando un fronte unito sulle questioni di sicurezza regionale e migliorando la raccolta di informazioni di intelligence.
Il vicesegretario Usa, Stephen Biegun ha rilevato che la regione dell’Indo-Pacifico non ha forti strutture multilaterali, tipo Nato o UE, aggiungendo che il Gruppo è aperto all’adesione di altri paesi, ad es. Sud Corea, Vietnam e Nuova Zelanda, che già stanno confrontandosi con il Gruppo sul contenimento della pandemia Covid-19.
L’obiettivo, secondo Biegun, è di «creare una massa critica che condivida valori e interessi», e sia poi in grado di attirare altri paesi dell’Indo-Pacifico.
Tuttavia Australia e India in particolare hanno in passato avuto qualche remora riguardo ad eccessive ambizioni del Gruppo, soprattutto sul terreno della sicurezza, per timore di ritorsioni da parte della Cina.
L’incontro Quad di Tokyo giunge mentre i ministri del Commercio di Giappone, India e Australia hanno deciso questo mese di cooperare per la resilienza della catena di approvvigionamento nella regione indo-pacifica, per contrastare il predominio commerciale della Cina.
Ad inizio settembre Giappone e India hanno siglato un accordo militare, che mira a rafforzare la cooperazione per la sicurezza contro l’assertività della Cina.
L’accordo fornisce un quadro di riferimento per le forze di autodifesa [le forze armate – n.d.t] giapponesi e le forze armate indiane per il reciproco approvvigionamento di forniture e servizi, (cibo, carburante e pezzi di ricambio), e per il trasporto e uso delle reciproche strutture durante le esercitazioni congiunte e le operazioni di mantenimento della pace delle Nazioni Unite.
Il Giappone ha già sottoscritto accordi simili con Usa, UK, Francia, Canada e Australia.
I due paesi hanno anche concordato di cooperare sui progetti per importare treni ad alta velocità giapponesi in India nel 2023.
L’11 settembre Usa e India hanno concordato di rafforzare il dialogo con Giappone e Australia, in preparazione per fine anno un incontro “due+due”, tra i rispettivi ministri degli Esteri e della Difesa.
I due paesi hanno anche concordato di cooperare sui progetti per importare treni ad alta velocità giapponesi in India nel 2023.L’11 settembre Usa e India hanno concordato di rafforzare il dialogo con Giappone e Australia, in
preparazione per fine anno un incontro “due+due”, tra i rispettivi ministri degli Esteri e della Difesa. I rappresentanti Usa hanno sottolineato che l’India è “un importante alleato per la Difesa”.
Il Primo ministro australiano, Scott Morrison, sarà in Giappone a novembre.
Scopo rafforzare la cooperazione strategica contro la crescente assertività della Cina nell’Indo-Pacifico.
I due dovrebbero continuare il confronto per giungere ad un accordo che fornisca status legale alle forze di autodifesa giapponesi [esercito] e all’esercito australiano durante le esercitazioni congiunte nei loro rispettivi paesi.
[Tratto da: South China Morning Post – (SCMP), 30.09.2020; Japan Times, 1.10.12, 22, 29 sett. Traduzione a cura di: G. L.]
Note:
[1] La Regional Comprehensive Economic Partnership (RCEP) è una proposta di accordo di libero scambio nella regione Asia-Pacifico tra i dieci Stati membri dell’ASEAN: dire Brunei, Cambogia, Indonesia, Laos, Malaysia, Myanmar, Filippine, Singapore, Thailandia e Vietnam, e cinque dei loro partner FTA – Australia, Cina, Giappone, Nuova Zelanda e Corea del Sud. I 15 Paesi coinvolti nei negoziati rappresentano il 30% della popolazione mondiale e poco meno del 30% del PIL mondiale.
[2] Il Quadrilateral Security Dialogue (QSD, noto anche come Quadrilateral Security Dialogue) è un forum strategico informale tra Stati Uniti, Giappone, Australia e India. Il forum è stato avviato come dialogo nel 2007 dal Primo Ministro giapponese Shinzo Abe, con il supporto del Vice Presidente degli Stati Uniti Dick Cheney, del Primo Ministro australiano John Howard e del Primo Ministro indiano Manmohan Singh. Al dialogo si sono aggiunte esercitazioni militari congiunte di portata senza precedenti, chiamate Exercise Malabar. L’accordo diplomatico e militare è considerato una risposta all’ascesa economica e militare ella Cina, che ha protestato formalmente contro il Quad. Nel febbraio 2008 il Quad si è interrotto per i ripensamenti di tre suoi membri. L’Australia si è ritirata dopo le proteste cinesi contro le esercitazioni militari congiunte tra Quad e Singapore; in Giappone a fine 2007 il primo ministro Abe è stato sostituito da Fukuda, più favorevole a Pechino; nel gennaio 2008 il primo ministro indiano Manmohan Singh in visita in Cina ha dichiarato che le relazioni India-Cina erano una priorità.
Tuttavia, durante i vertici ASEAN 2017, tutti e quattro gli ex membri hanno rilanciato l’alleanza quadrilaterale, mentre crescevano le tensioni
nel Mar Cinese Meridionale.
[3] ll Nuclear Suppliers Group (NSG) è un regime multilaterale di controllo delle esportazioni e un gruppo di paesi fornitori nucleari istituito nel 1974 con l’obiettivo di impedire la proliferazione di armi nucleari mediante controlli dell’esportazione di materiali, attrezzature e tecnologia che possono essere utilizzati per produrre armi nucleari. L’NSG venne fondato in risposta al test nucleare indiano nel maggio
1974 e si è riunito per la prima volta nel novembre 1975. Nel 2020 i paesi partecipanti sono 48. [Argentina, Australia, Austria, Bielorussia, Belgio, Brasile, Bulgaria, Repubblica Ceca, Canada, Repubblica Popolare Cinese, Cipro, Corea del Sud, Croazia, Danimarca, Estonia, Finlandia, Francia, Germania, Giappone, Grecia, Islanda, Irlanda, Italia, Kazakistan, Lettonia, Lituania, Lussemburgo, Malta,
Messico, Nuova Zelanda, Norvegia, Paesi Bassi, Polonia, Portogallo, Romania, Russia, Serbia, Slovacchia, Slovenia, Sud Africa, Spagna, Stati Uniti, Svezia, Svizzera, Turchia, Ucraina, Ungheria, Regno Unito]. Inizialmente vi aderirono sette paesi: Canada, Germania Ovest, Francia, Giappone, Unione Sovietica, Regno Unito e Stati Uniti. Nel 1976-77 la partecipazione fu estesa a quindici con l’ingresso di Belgio, Cecoslovacchia, Germania dell’Est, Italia, Paesi Bassi, Polonia, Svezia e
Svizzera. Vi hanno poi aderito altri dodici paesi fino al 1990. Dopo il crollo dell’URSS, ad alcune ex sue repubbliche è stato concesso lo status di osservatore. La Cina vi è entrata nel 2004. Vi partecipano anche come osservatori la Commissione europea e presidente del
Comitato Zangger.
* L’attuale crisi sanitaria, economica e sociale scatenata dalla pandemia Covid-19, sta accelerando tentativi di riassetto dei rapporti tra blocchi e potenze imperialiste.
Uno dei maggiori teatri di questo sconvolgimento è l’area chiamata Indo-Pacifico, e vede come protagonisti da una parte dell’Oceano gli Stati Uniti e dall’altra i paesi asiatici, in primis India e Giappone (+Australia) in contrapposizione alla assertività della Cina, economico-finanziaria certamente, ma ormai palesemente anche militare. L’India sta cercando di sganciare la propria economia da quella della Cina, per non dipenderne a livello economico, con i gravi effetti già sperimentati nel forte disavanzo commerciale e nella riduzione del suo apparato industriale prodotto dall’importazione di merci cinesi a basso costo. Questo sganciamento e reindirizzamento economico non può avvenire senza la sponda politica e militare di una più stretta alleanza con le altre potenze anch’esse costrette a contenere la Cina: Usa e Giappone, e Australia per ora, riunite principalmente a questo scopo nel gruppo Quad. La via intrapresa in questa direzione dall’India esige però una forte dose di equilibrismo, per non subire pesanti ritorsioni da parte di Pechino e soddisfare al contempo alle richieste di Washington.
Le manovre di riassetto in corso comprendono accordi militari, a dire che gli attori coinvolti prevedono che l’uso della violenza, conflitti armati, non possono essere esclusi.
In questo quadro dei rapporti di potenza per noi comunisti e internazionalisti il fattore fondamentale per stravolgere la prospettiva di disastri sociali futuri è la classe internazionale dei lavoratori. Una classe che non ha interessi da condividere con l’uno o l’altro schieramento in campo. Occorre accelerarne l’organizzazione in un fronte unitario, riunendo ogni singola protesta e lotta sotto la parola d’ordine generale della lotta al capitalismo globale. Un sistema sociale che oggi cerca di trasformare una mortifera pandemia come il Covid-19 in occasione di rafforzamento di un fronte contro l’altro, a spese della stragrande maggioranza dell’umanità.
G.L.