Egitto, movimento femminista
Il movimento delle donne in Egitto sta riprendendo, ma è ancora più debole di quello del secolo scorso, partito come movimento di indipendenza nazionalista. Quando il governo britannico di David Lloyd George negò al Wafd, il partito dell’attivista Saad Zaghloul, la possibilità di negoziare per l’indipendenza dell’Egitto, per protesta iniziò una generale mobilitazione degli egiziani, in cui ebbero un ruolo anche le donne, che tuttavia per la maggior parte apparteneva all’élite egiziana. Circa 300 parteciparono alle proteste, dopo il rifiuto delle autorità britanniche del diritto a manifestare. Questo fu l’inizio del Nahda nissaeya (Rinascimento femminile).
La seconda rivoluzione egiziana del 25 gennaio 2011 ha fatto riemergere la questione della mancanza di diritti delle donne, e quella delle molestie sessuali e della violenza in generale. Anche oggi, come negli anni Venti, la classe sociale determina il livello di libertà della donna.
In Egitto, le donne che appartengono alla classe sociale superiore sono libere di vestirsi e di agire come vogliono senza essere criticate o incriminate, mentre le donne delle classi inferiori sono soggette a restrizioni sociali e al controllo dello Stato, con conseguente azione penale. Nel caso “Tiktok”, molte donne che appartenevano alle classi medie e basse sono state perseguite e imprigionate per aver semplicemente cantato e ballato. Mentre altre donne, a causa della loro appartenenza ad una classe superiore, non hanno subito la stessa repressione…
G. L.
EGITTO: A 100 ANNI DAL PRIMO MOVIMENTO PER L’EMANCIPAZIONE,
LE DONNE STANNO ANCORA LOTTANDO PER IL CAMBIAMENTO
[Fonte: Africa Report, 18.12.2020 – Traduzione a cura di G. L.]
Il movimento delle donne in Egitto sta riprendendo, ma è ancora più debole di quello del secolo scorso.
Il movimento delle donne egiziane ha fatto notizia negli ultimi mesi, grazie alla campagna MeToo sui social media, e a seguito delle testimonianze, postate dall’account Instagram Assault Police, di denuncia a sostegno delle donne vittime di abusi nello scandalo dell’hotel Fairmont Nile e la morte di una ragazza di 24 anni mentre tornava a casa in un ricco sobborgo del Cairo.
Quando il governo britannico di David Lloyd George negò al Wafd, il partito dell’attivista Saad Zaghloul, la possibilità di negoziare per l’indipendenza dell’Egitto, per protesta iniziò una generale mobilitazione degli egiziani, in cui anche le donne ebbero un ruolo.
Il 16 marzo 1919, donne di tutte le classi sociali “Uscirono dai loro harem, vestite di veli, per la prima volta e scesero nelle strade per manifestare”, scrive Huda al-Sha’arawi nella sua autobiografia, “Harem Years: Le memorie di una femminista egiziana”.
Huda al-Sha’arawi (1) era e rimane un’icona del femminismo egiziano:
- nel 1923 fu una delle fondatrici dell’Unione Femminista Egiziana (EFU)
- presiedette il comitato Wafd per le donne, un simbolo di anticolonialismo e femminismo;
- combatté contro l’analfabetismo, la povertà e le malattie che colpiscono
le donne.
- creò due giornali in francese: l’Egyptienne nel 1925 e al Massriya nel
1937
Quella mattina del 16 marzo, Huda al-Sha’arawi mandò dei manifesti al noto nazionalista Ahmad Bey Abu Usbaa, e aiutò a organizzare la manifestazione, con slogan come “Abbasso l’occupazione” e “Viva i sostenitori della giustizia e della libertà”.
Circa 300 donne parteciparono alle proteste, dopo il rifiuto delle autorità britanniche del diritto a manifestare.
Questo fu l’inizio del Nahda nissaeya (Rinascimento femminile).
Quando il gruppo di manifestanti giunse davanti a Beit Al Umma (Casa del Popolo), un cordone di ufficiali britannici armati ha circondò le donne.
“Ero determinata – scrive al-Sha’arawi – a che la manifestazione riprendesse”.
Dopo una resistenza di ore dei manifestanti, in sfida alle truppe britanniche affiancate dalla polizia egiziana, il comandante britannico della polizia del Cairo, Russell Pacha, intimò loro di tornare a casa.
Questo fu l’inizio del Nahda nissaeya (Rinascimento femminile), protesta organizzata dalle donne dell’harem che ha segnato una svolta nella società egiziana.
Il culmine e la maggiore visibilità di questo movimento fu nel 1919, anche se occorre
sottolineare che la maggior parte delle femministe apparteneva all’élite.
Nella società tradizionale egiziana, le donne venivano confinate in casa, mentre gli spazi pubblici erano dominati dagli uomini.
Solo la povertà poteva giustificare che le donne accedessero agli spazi pubblici per mantenersi.
Questi spazi confinati erano chiamati harem, che oggi è anche un termine dispregiativo usato in arabo per descrivere le donne (حريم).
Poco prima di quell’evento, l’Egitto aveva vissuto un periodo di profondo cambiamento sotto la guida di Mohammed Ali, che verso la fine del XIX secolo, aveva introdotto scuole laiche, iniziato a inviare missionari in Europa e sviluppato la stampa che contribuì a dare il via a riforme politiche, sociali ed economiche.
Ma, sussistendo le disuguaglianze socio-culturali, la maggiore libertà era solo per una parte delle donne delle classi più alte.
Inoltre, le donne in città godevano di una maggiore libertà rispetto a quelle delle zone rurali, ancora costrette nei loro ruoli tradizionali.
Era un periodo politicamente tumultuoso, in cui la gente veniva costantemente arrestata o deportata. Il movimento nazionalista, dice l’autrice al-Sha’arawi, “avvicinò mariti e mogli, che normalmente conducevano esistenze separate nel mondo dell’harem”; gli uomini cominciarono a rivolgersi alle donne per un aiuto.
L’impegno delle donne servì a mostrare la possibilità di altri ruoli al di fuori dell’harem, e ben visibili, pubblici.
Questo aprì le porte alle generazioni seguenti, che non furono più costrette a passare la vita confinate tra le mura dell’harem.
Nonostante questo risveglio, le donne rimanevano escluse dai diritti politici formali.
Per aggirare il problema, molte ricorsero a “reti informali di attivismo”, come la Sha’rawi, con la fondazione dell’Unione femminista egiziana nel 1923, seguita dalla Società delle donne musulmane nel 1936 creata da Zaynab al-Ghazali, e dalle Figlie dell’Unione del Nilo nel 1948 di Doria Shafiq (2).
Quando il presidente Abdel Gamal Nasser prese il potere nel 1954, venne approvata una legislazione per istituzionalizzare tutte le organizzazioni della società civile sotto il controllo dello Stato.
Sotto Nasser, periodo definito “età dell’oro” per i diritti delle donne, nel 1956 venne
varata la Costituzione, e la nuova legge elettorale riconobbe alle donne la possibilità di votare e di candidarsi alle cariche pubbliche.
Questo portò le donne egiziane al un livello politico superiore a quello delle vicine regionali e anche di una parte di quelle europee (il Portogallo concesse il diritto di voto alle donne solo nel 1968).
Questo “femminismo di Stato” proseguì sotto il presidente Anwar Sadat, che aprì l’economia del Paese, e di conseguenza fu costretto a riconoscere parte dei diritti economici delle donne.
Nonostante queste conquiste, il patriarcato annullava qualsiasi rilevante progresso sociale.
Il ruolo delle donne poteva essersi evoluto nella sfera pubblica, ma non in quella privata.
Con Hosni Mubarak, cominciarono ad emergere nuove organizzazioni per i diritti delle donne, ma con maggiore attenzione allo sviluppo economico.
E come nota la ricercatrice Magdy, molte di queste organizzazioni rimasero strettamente legate ai funzionari statali.
La seconda rivoluzione egiziana del 25 gennaio 2011 ha fatto riemergere la questione della mancanza di diritti delle donne e quella delle molestie sessuali e della violenza in generale.
Anche oggi, come negli anni Venti, la classe sociale determina il livello di libertà della donna.
In Egitto, le donne che appartengono alla classe sociale superiore sono libere di vestirsi e di agire come vogliono senza essere criticate o incriminate, mentre le donne delle classi inferiori sono soggette a restrizioni sociali e al controllo dello Stato, con conseguente azione penale.
Nel caso Tiktok (3), molte donne che appartenevano alle classi medie e basse sono state perseguite e imprigionate per aver semplicemente cantato e ballato. Mentre altre donne, a causa della loro appartenenza ad una classe superiore, non hanno subito la stessa repressione.
L’art. 11 della costituzione egiziana afferma che lo Stato si impegna a raggiungere
l’uguaglianza tra donne e uomini in tutti i “diritti civili, politici, economici, sociali e culturali”; riconosce alle donne il diritto di ricoprire incarichi pubblici e di alta direzione nello Stato e di essere nominate in organismi ed entità giudiziarie senza discriminazioni; promette inoltre di proteggere le donne da ogni forma di violenza.
Nella pratica però le cose sono diverse.
Questioni come divorzio, eredità e nomina delle donne alla magistratura sono regolate in modo molto discriminatorio contro le donne.
Quando ad es. vogliono divorziare, nelle procedure è prevista la presenza di giudici, avvocati e mediatori, e spesso anche i pubblici ministeri, che forniscono al giudice il loro parere consultivo sull’opportunità di concedere il divorzio.
Per il diritto islamico agli uomini che vogliono divorziare, invece, basta “ripudiare la moglie dicendo tre volte “sei divorziata”, e questo rende il divorzio irrevocabile.
«Le donne sono considerate deficienti anche dal punto di vista intellettuale e religioso. Agli occhi della giustizia, le donne non sono sufficientemente informate e “adulte” per operare una scelta. È il legislatore che prende le decisioni per le donne, con il pretesto di proteggerle» (4).
A oltre un secolo dal movimento femminista del 1919, la vita degli uomini è considerata ancora più importante di quella delle donne, sia a livello sociale che nella legislatura… perché gli uomini hanno più potere.
Mentre continua la repressione di diritti civili, di donne e uomini, da parte dello stato egiziano, le donne sono tuttavia riuscite ad organizzarsi per attirare l’attenzione sulle loro lotte, costringendo il governo a definire dei piani per combattere le violenze sessuali e a introdurre nella legislazione emendamenti che criminalizzano l’antica tradizione delle mutilazioni genitali femminili.
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1) Huda al-Sharawi, (nata il 23 giugno 1879, Al-Minyā, Egitto – morta il 12 dicembre 1947 al Cairo). Femminista e nazionalista egiziana che ha fondato numerose organizzazioni dedicate ai diritti delle donne ed è considerata la fondatrice del movimento delle donne in Egitto. Nacque in una famiglia benestante ad Al-Minyā ed crebbe al Cairo. Suo padre, Muhammad Sultan Pasha, proprietario terriero, era attivo nella politica nazionale egiziana, ebbe diversi incarichi di governo e divenne membro della Camera dei delegati nel 1876. Come donna dell’alta borghesia,
Huda Sharawi è cresciuta nel sistema dell’harem, in cui le donne erano confinate in appartamenti separati all’interno della casa. A casa ricevette un’istruzione d’élite, la lingua principale dell’insegnamento era il francese. All’età di 13 anni venne maritata con il cugino maggiore, Ali Sharawi, che aveva già compiuto 40 anni. Nel 1908 Sharawi contribuì a fondare la prima organizzazione filantropica laica gestita da donne egiziane, un dispensario medico per donne e bambini svantaggiati. Lei e suo marito furono forti sostenitori della causa dell’indipendenza egiziana dalla Gran Bretagna. Ali Sharawi fu uno dei fondatori del partito nazionalista Wafd. Nel 1920 ella fondò e divenne presidente del Comitato centrale delle donne wafdiste. La partecipazione aperta delle donne egiziane al movimento nazionalista segnò una svolta nella società egiziana; mai prima d’allora così tante donne si erano impegnate pubblicamente nell’attivismo politico. Dopo la morte del marito, Sharawi trasferì i suoi sforzi dal movimento nazionalista a quello per l’eguaglianza delle donne. Nel 1923 fondò l’Unione Femminista Egiziana, che chiedeva il suffragio femminile, la riforma delle leggi sullo status personale e l’aumento delle opportunità di istruzione per le ragazze e le donne. Nel marzo dello stesso anno compì l’atto di protesta per il quale è famosa, togliendosi il velo in una stazione ferroviaria del Cairo mentre tornava a casa da una conferenza dell’Alleanza internazionale per il suffragio delle donne a Roma. Sharawi rimase presidente dell’Unione Femminista Egiziana per fino alla morte, nel 1945 divenne presidente fondatore dell’Unione Femminista Araba. Sotto la sua guida, l’Unione Femminista Egiziana lanciò la rivista L’Égyptienne (poi Al-Misriyyah) nel 1925, e l’Unione Femminista Araba lanciò Al-Marʾah al-Arabiyyah (“La donna araba”) nel 1946. Mudhakkirātī (1986; Harem Years: The Memoirs of an Egyptian Feminist).
2) Scrive Rana Magdy, ricercatrice sulla violenza sessuale nelle manifestazioni in Egitto.
3) In Egitto un tribunale ha condannato cinque giovani donne a due anni di prigione per aver pubblicato “video indecenti” sull’applicazione di condivisione video TikTok. Le donne – che non sono state citate per nome – sono state multate per quasi 19.000 dollari. Queste pene detentive sono le prime ad essere pronunciate da un tribunale nell’ambito di una campagna contro gli influenzatori dei social media. [BBC, 27.07.2020]