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[CONTRIBUTO] In Africa oggi c’è la colonizzazione 3.0, e finché non arriviamo quasi allo scontro di civiltà, nulla si risolverà

Riceviamo e pubblichiamo il contributo “In Africa oggi c’è la colonizzazione 3.0, e finché non arriviamo quasi allo scontro di civiltà, non si risolverà nulla – intervista a Papis Ndiaye, del SI Cobas“, già disponibile sul sito della redazione Il Pungolo Rosso (vedi qui).

Questa crisi sanitaria e sociale, che sta provocando i primi scioperi spontanei nelle fabbriche dopo decenni, e diviene ora anche crisi economica e finanziaria, mette alla prova i sistemi capitalistici, in Italia e nel mondo intero, e scuote le coscienze in settori della nostra classe cui si chiede di lavorare comunque, anche in assenza delle condizioni di sicurezza che vengono invece imposte al resto della popolazione.

Per la prima volta da decenni assistiamo a scioperi spontanei nelle fabbriche.

Anche nella lotta per ambienti di lavoro sicuri e adeguati dispositivi di protezione individuale, e nelle difficoltà di coloro che sono lasciati a casa con un futuro incerto, deve crescere la coscienza della necessità di lottare per superare questa società divisa in classi.

Contro le ideologie da “unità nazionale” tra sfruttati e sfruttatori.

Il virus globalizzato mette inoltre in chiaro l’inconsistenza delle prospettive di autonomie locali/localistiche, e delle scorciatoie “sovraniste”.

L’unica strada è quella internazionalista, dell’unione tra i proletari di tutto il mondo.

S.I. Cobas


In questa lunga, vivacissima intervista, Papis Ndiaye, uno dei lavoratori immigrati del SI Cobas protagonisti del ciclo di lotte della logistica, torna a più riprese sul processo di nuova colonizzazione dell’Africa (in particolare di quella occidentale) e sulla necessità, per mettere fine all’attuale stato di cose, di uno “scontro di civiltà”, o di un “quasi scontro di civiltà”, che noi interpretiamo così: di un grande scontro di tutte le masse oppresse e sfruttate dell’Africa con l’insieme degli attuali colonizzatori.

Il Pungolo Rosso

Faccio parte di una generazione che ha perso gli studi

D.: Quando eri nel tuo paese (Senegal) hai mai partecipato attivamente a dei momenti di lotta, di azione collettiva per cambiare la situazione?

R.: Quand’ero all’università, ho lasciato gli studi perché sono arrivato all’università in un momento sbagliato: c’era una fase di riforme del sistema educativo. Quindi ho fatto uno sciopero della fame come studente, perché avevamo un rettore francese che voleva smantellare l’intero sistema universitario che avevamo. Vivevamo nel campus, come i college statunitensi. Avevamo l’alloggio all’università e andavamo a studiare. Lo Stato aveva introdotto uno “stato sociale” in cui lo studente aveva una borsa di studio minima per vivere e per aiutarci. Avevamo solo un’università in tutto il paese e quindi tutti gli studenti si incontravano in questa università. Avevamo le mense, gli alloggi, le facoltà lì. Cosa è successo? Il rettore francese voleva introdurre il sistema occidentale, tenere le facoltà dentro l’università ed estromettere gli studenti, disperdendoli in vari locali diversi, togliere gli alloggi e le borse di studio agli studenti… Quindi dovevamo arrangiarci o essere mantenuti dai genitori; aveva anche aumentato la tassa di iscrizione. Ci sono voluti quasi due anni per riportare la situazione come prima, il sistema educativo è stato fermo per quasi due anni… Come qua usiamo il termine “è tutto nero”, li usiamo il termine “gli anni bianchi”… Abbiamo avuto due anni bianchi in cui nessuno, dalle elementari alle università, è passato alla classe successiva, tranne nel settore privato. Sono morti parecchi studenti, parecchi! Un giorno abbiamo fatto una manifestazione in cui sono morti 16 poliziotti. E quindi la maggior parte della mia generazione, quasi tutta la mia generazione, ha perso gli studi. Ha partecipato alle manifestazioni, ma anche perso gli studi perché stando fermi due anni, non avevamo più una prospettiva migliore da realizzare attraverso gli studi. Quindi, tanti sono andati a cercare un lavoro, tanti hanno cercato di emigrare, tanti hanno cercato di arrangiarsi come potevano. Io faccio parte di questa generazione, di quelli che hanno perso gli studi per questo motivo.

Devi capire questo: [in Senegal] tutte le lotte e le manifestazioni sono represse. Quando ero all’università, c’erano dei giorni in cui ci svegliavamo e non dovevamo uscire dalle nostre stanze perché l’università era piena di militari, occupata dai militari. Chiunque scendeva, veniva ammanettato e mandato in carcere. Finivi in carcere senza avere fatto nulla, semplicemente perché quel giorno eri sceso dalla tua stanza. Per controllare il popolo, bisogna reprimere l’università. Perché è da lì che parte tutto.

La classe politica svende le ricchezze agli occidentali, però la popolazione è tenuta buona dalle figure religiose…

D.: Al di là di questa circostanza particolare (aver perso due anni di studi), ci sono delle motivazioni più generali che ti hanno spinto a emigrare, e che stanno spingendo altri senegalesi, altri africani ad emigrare?

R.: Sì, perché tutti gli emigrati africani non hanno trovato uno sbocco nel loro paese. I salari sono talmente bassi in tutti i paesi africani, in tutti, senza eccezione! L’economia è divisa in tre sezioni: c’è la parte amministrativa, c’è la parte formale e c’è il settore informale, non regolare, che rappresenta quasi il 70% dell’economia del paese. Gli va bene così. Perché? Perché il settore informale genera tanta ricchezza non controllata. Nel settore informale i salari sono talmente bassi che uno non può vivere e costruirsi un futuro lavorando in quel settore, anche se quel settore rappresenta quasi il 70% dell’economia del paese. Il settore amministrativo occupa quelli che riescono a finire gli studi e a lavorare per lo Stato. Il settore formale è quello gestito totalmente dalle aziende occidentali con salari di 75-100 € al mese. Con 75 € al mese non puoi creare una famiglia, non puoi pretendere di avere moglie e figli, non puoi! E quindi la maggior parte esce dal paese per questo motivo.

Siamo un continente molto arretrato da questo punto di vista, ma siamo un continente molto avanzato da un altro punto di vista: siamo bombardati dalla televisione e dai media delle immagini della vita occidentale. Quindi c’è una forte spinta verso l’Occidente, per cercare di andare a realizzare il tuo benessere in maniera personale, non più collettiva. Anche perché la classe politica senegalese gestisce la ricchezza e la svende agli occidentali. C’è una depredazione totale della ricchezza del paese che è sotto gli occhi di tutti, però la popolazione è tenuta buona dalle figure religiose che ci sono, che siano cristiane, o che siano musulmane. Non so cosa succede negli altri paesi, ma nel mio paese la religione ha un peso molto importante. Lo Stato non controlla tutto il paese, la componente religiosa è molto potente e controlla la gente. Cosa fa? Si mette d’accordo con la classe politica. Oggi ci sono figure religiose che se solo si pronunciassero dicendo che il presidente domani deve andare via, il popolo lo manda via. Se solo una di queste figure religiose domani prende una posizione diversa da quella del presidente, il presidente perde. Quindi hanno un forte peso, un forte controllo sulla popolazione. Però hanno il loro tornaconto: la politica non va mai contro queste persone, cerca di soddisfarle per mezzo di soldi, di ricchezza, in modo esagerato. Ci sono delle figure religiose talmente ricche senza avere una professione… Una loro profezia basta!

Questo fa sì che la popolazione sia pacifica, perché attraverso i processi religiosi tutti si trovano in fratellanza, in amicizia, non c’è distinzione tra cristiano e musulmano. Nel mio paese il primo presidente [L. Senghor], che è rimasto in carica per 22 anni, era cristiano. Il secondo [A. Diouf] era musulmano, con moglie cristiana. Il terzo presidente [A. Wade] di nuovo musulmano, con moglie cristiana. Dal punto di vista religioso, abbiamo una convivenza molto pacifica: mai avuto problemi… Sarà perché sono bravi a tenere calma la gente, non so perché… Questo fa sì che uno analizza la propria situazione e decide che deve andare via da questo paese. Punto.

D.: Quando avete fatto le lotte come studenti eravate isolati?

R.: Sì, non c’era sostegno da parte della popolazione, come si dovrebbe. Però la situazione era una bomba, perché raggruppare 100-120.000 persone in un luogo rendeva più facile fare sfuggire il controllo a chiunque. Qualunque cosa poteva mettere in moto le manifestazioni. Quindi, 100-120.000 persone non sono poche, però se ci fosse stato realmente l’appoggio della popolazione, probabilmente qualcosa sarebbe cambiato. Era una lotta di soli studenti. Le istituzioni religiose prendevano posizione contro, dicevano che quello che stava succedendo non valeva la pena.

La popolazione senegalese non ha mai veramente sofferto la fame, come altri paesi, perché non c’è mai stata una guerra civile, i senegalesi sono i primi intellettuali africani, il paese era una base coloniale, pieno di palazzi costruiti per l’amministrazione coloniale. C’erano tante cose… Quelli che pretendevano una vita migliore, avevano comunque 100-200 punti in più rispetto agli altri paesi africani. Infatti, il mio paese ospita tanti immigrati africani. Tanti senegalesi dentro casa propria hanno le badanti di altri paesi. Abbiamo dei lavoratori di altri paesi per fare certi lavori che i senegalesi non vogliono fare. I senegalesi certi lavori li fanno solo quando sono fuori dal loro paese. Ci sono quasi 3 milioni di africani che vivono in Senegal… [il dato semi-ufficiale è, però, di alcune centinaia di migliaia – ndr]. Certi lavori li fanno gli immigrati che vengono in Senegal: la maggior parte dei nigeriani che vedi in Italia, la maggior parte degli africani che sono qui in Italia, prima sono passati attraverso il Senegal. La maggior parte, poi, ha anche i documenti senegalesi, perché c’è un’amministrazione corrotta, che vende i documenti dei cittadini senegalesi. Nel 2015 mi è capitato di ritornare nel mio paese, dopo tanti anni che ero qua. Non avevo cambiato i miei documenti nella versione elettronica, avevo i miei vecchi documenti cartacei. Sono ritornato, e mi hanno detto: “quei documenti non sono tuoi”. Questo è stato il problema per cui ho passato 11 mesi in Senegal, per riacquisire la mia identità, perché l’avevano già venduta a un nigeriano che aveva passaporto elettronico e carta d’identità elettronica. Io avevo il passaporto vecchio, perché non lo avevo aggiornato finché ero qua. Mi hanno detto: “non sono i tuoi documenti”. Sono dovuto andare in tribunale, ci sono state delle sentenze, ho dovuto portare a testimoniare mia madre e mio padre, che per fortuna sono vivi… Poi per fortuna il giudice si è reso conto che dicevo la verità, perché nella mia circoscrizione avevano arrestato 73 persone dell’amministrazione che vendevano e facevano questi traffici. È per questo che tanti immigrati africani hanno dei documenti senegalesi.

Fin che non arriviamo allo scontro di civiltà…

A livello amministrativo non cambia niente, non potremo mai cambiare la situazione finché non si muove qualcosa di più grosso. Io sono convinto che, nonostante tutti i discorsi che facciamo, nonostante tutte le cose che la gente fa, finché non arriviamo allo scontro di civiltà, non cambierà nulla. Lo dico perché ci credo, c’ho avuto a che fare. Io sono figlio di un politico. Mio nonno materno è stato il primo parlamentare a vita nel mio paese. I miei sostenevano il partito socialista del mio paese ed erano una chiave fondamentale di una regione intera. Perché lo dico? Perché ci sono dei contratti, ci sono dei rapporti a livello di procedure che non possono essere cambiati. Oggi la gestione della ricchezza del paese è affidata ai francesi. Ci sono dei contratti che durano un centinaio di anni. Nessuno può cancellare questi contratti, perché la penale costerebbe 100 anni di vita dell’intero popolo. La gestione del petrolio, la gestione dell’oro, la gestione delle pietre preziose sono in mano agli occidentali, ai colonizzatori. Però non sono contratti di 2 anni, non sono dei contratti di 5 o 10 anni: sono dei contratti come minimo di 50 anni. È come il ponte di Genova: non possono revocare la concessione perché si pagherebbe una multa tale che lo Stato non può sostenere. E poi è un controsenso, perché vai ad arricchire quelle famiglie che devi combattere. Quindi il sistema per liberarci della colonizzazione e della neo-colonizzazione…

Perché in Senegal e in Africa ora c’è la colonizzazione 3.0. C’è stato lo schiavismo, poi la colonizzazione, ora c’è la neo-colonizzazione. La neo-colonizzazione è il seguito della colonizzazione, del periodo in cui tutta la ricchezza degli africani era detenuta nelle mani dei colonizzatori. Oggi non c’è nessun presidente, nessuna burocrazia che può liberare tutto il continente africano dalle mani di queste persone. C’è solo uno scontro di civiltà, e loro lo sanno meglio di noi. Lo sanno. Lo sanno meglio di noi.

I colonizzatori spingono i giovani ad emigrare

Da una parte loro [i neo-colonizzatori] hanno bisogno della manodopera in Europa, dall’altra parte vogliono tenere le persone lì in Africa. Sono loro che praticamente scelgono di portare una parte degli africani in Europa: mirano ai più giovani, perché i giovani sono peggio di una bomba atomica, pretendono qualcosa di più, sono predisposti a ribellarsi, quindi bisogna spingerli verso l’emigrazione… E in effetti li spingono verso l’emigrazione, così il resto del paese se lo tengono stretto. Nella maggior parte dei paesi africani, ci sono solo i vecchi, i bambini e le donne: perché tanti giovani sono andati via. Se in un paese di 16 milioni di abitanti, arrivi a milioni di emigrati, non è normale. È ben architettata, ben orchestrata la faccenda! Perché? Perché se lo fanno, evitano la guerra civile all’interno del paese, perché quando scoppia la guerra civile, i colonizzatori perdono tutti gli accordi e i contratti. Lo hanno visto: hanno fomentato la guerra civile in 22 paesi africani, e cos’è successo? Dopo la guerra civile, quando c’è il processo di riconciliazione, loro perdono tutti i contratti che hanno avuto. Non gli conviene, bisogna spingere la maggior parte della gioventù ad emigrare per potere controllare la ricchezza dei paesi africani e cercare di evitare le rivolte. Questa è la realtà dei fatti.

Come ci si può liberare da questo sistema? Come ci si potrebbe liberare? Dicono: “mandiamoli a casa loro”, ma è impossibile, perché nonostante tutti questi proclami, noi siamo qui, siamo costretti a venire qui, a fare questo lavoro… perché è un dovere morale pretendere una condizione umana più equa e più normale…

Tentano sempre di separarci dai lavoratori italiani!

Nonostante quello che dicono, di volerci rimandare a casa in Africa, la realtà è che loro si stanno facendo guerra per dominare l’Africa. La Germania un mese fa ha attaccato i francesi, dicendo: “Visto che i problemi degli africani sono di tutta l’Europa, le divise degli africani, che voi avete nella pancia delle vostre banche, tiratele fuori, mettetele sul tavolo!”. Ma la Francia non lo farà mai, perché il 70% delle ricchezze francesi sono africane. Non lo farà mai, perché la Francia perderebbe tutta la sua potenza. Quindi è difficile liberarci! Questo è il mio punto di vista personale: finché non arriviamo quasi allo scontro di civiltà, non si risolverà nulla. Possiamo solo allungare i processi, niente di più. Cioè quando gli attori sociali non ne possono più e attaccano veramente il sistema capitalista, allora possono dare un po’ di ossigeno alle popolazioni, e poi dopo riprendere come prima. Quando ci potrà essere la liberazione? Quando l’Occidente vedrà che è minacciato dalla presenza degli immigrati che pretendono una vita più dignitosa. Quando tutta la classe politica europea sarà spinta a dire: “bisogna fare qualcosa, perché sennò qua perdiamo il controllo delle nostre popolazioni e la politica viene vista in un certo modo”. Tutta la politica occidentale è in crisi totale a causa della presenza degli immigrati, perché hanno sempre bombardato le loro popolazioni dicendo che l’immigrato rappresenta un pericolo. Che siano di sinistra, di centro o di destra, hanno sempre presentato l’immigrato come una minaccia al loro benessere… Ma hanno un enorme bisogno di noi. E quindi tentano sempre di separarci dai lavoratori italiani! Però, dal mio punto di vista, la nostra presenza mina la certezza del popolo occidentale sul fatto che noi siamo un pericolo. E questo mina veramente la loro stabilità, diventa una rivolta. Quello che sta avvenendo [nella logistica italiana] non è solo una lotta degli immigrati, diventa una lotta totale, comune. È da quel momento lì, secondo me, che le cose cambieranno. Ma non potranno mai cambiare per mezzo di nessuno strumento o nessuna politica imposta dall’alto!

Afrique mon Afrique… l’albero che cresce in mezzo ai fiori bianchi avvizziti

D.: Il cambiamento reale della situazione deve partire dal basso, dalla lotta degli sfruttati.

R.: Sì, senza dubbio, deve partire dal basso. Noi recitiamo delle poesie, perché da noi il sistema educativo insegna la recitazione fin da piccoli, fin dalle elementari, imparare a cantare e recitare fa parte del programma scolastico. C’è una poesia di un autore senegalese, David Diop, figlio di genitori emigrati in Francia, che è la poesia che più si impara in Africa: Afrique mon Afrique.

Afrique mon Afrique

Afrique des fiers guerriers dans les savanes ancestrales

Afrique que chante ma grand-mère

Au bord de son fleuve lointain

Je ne t’ai jamais connue.

Mais mon regard est plein de ton sang

Ton beau sang noir à travers les champs répandu

Le sang de ta sueur

La sueur de ton travail

Le travail de l’esclavage

L’esclavage de tes enfants.

Afrique dis-moi Afrique

Est-ce donc toi ce dos qui se courbe

Et se couche sous le poids de l’humilité

Ce dos tremblant à zébrures rouges

Qui dit oui au fouet sur les routes de midi.

Alors gravement une voix me répondit

Fils impétueux cet arbre robuste et jeune

Cet arbre là-bas

Splendidement seul au milieu des fleurs

Blanches et fanées.

C’est l’Afrique ton Afrique qui repousse

Qui repousse patiemment obstinément

Et dont les fruits ont peu à peu

L’amère saveur de la liberté.

Lui racconta che ha conosciuto l’Africa attraverso i racconti che i suoi nonni gli hanno fatto in Francia, descrive tutto quello che gli hanno raccontato. Però c’è un punto della poesia in cui dice «Cet arbre là-bas / Splendidement seul au milieu des fleurs / Blanches et fanées. / C’est l’Afrique ton Afrique qui repousse / Qui repousse patiemment obstinément / Et dont les fruits ont peu à peu / L’amère saveur de la liberté». Cioè, quell’albero laggiù risplende da solo al centro dei fiori bianchi e avvizziti, è l’Africa, che cresce nel buio piano piano…

Lui lo dice, parlava dell’emigrazione, cioè di quell’albero che cresce in mezzo ai fiori bianchi. Descrive l’albero come se fosse l’emigrazione e dice che questa è l’Africa. Cresce piano piano in mezzo ai fiori, e nessuno se ne accorge, ma si accorgeranno. Si accorgeranno. Prima o poi se ne accorgeranno. Perché negli anni ’30 e ’40 c’era pochissima emigrazione. E quindi dice che quest’albero cresce nel buio e crescerà con fatica, nella difficoltà. Ha dei frutti amari, ma quei frutti sono i frutti della libertà. La maggior parte degli africani conosce questa poesia, ma non la sa interpretare. Però lui (il poeta) la vedeva lunga.

L’emigrazione è un’espressione di libertà, di non voler essere più schiavo

E io la vedo allo stesso modo. Dal mio punto di vista l’emigrazione per un africano non è solo conquista di soldi, è un’espressione di libertà, è un’espressione di realizzazione, è un’espressione di essere umano, è un’espressione di non voler essere più schiavo. Ce ne sono parecchi di emigrati che non si sono certo arricchiti in Europa, ma non lasciano l’Europa perché per loro l’emigrazione è qualcosa in più della parte economica, come la descrivono tutti. È vero che quando l’Africa sarà libera da questa oppressione economica, probabilmente non ci sarà più emigrazione, o l’emigrazione non sarà più espressione del lato economico, ma sarà l’espressione della possibilità di realizzarsi in una vita diversa.

Ma ora, tanto per dire, l’Africa è l’unico continente in cui ancora vendono l’acqua: le famiglie non possono permettersi di avere l’acqua 24 ore su 24. Se lo fai, ogni mese devi pagare fior fior di soldi. Le famiglie alla mattina aprono i rubinetti e dicono: “ok, oggi dovremmo consumare 200 litri. Vedete come arrangiarvi”. Aprono, riempiono i contenitori, chiudono i rubinetti, perché sennò la fattura diventa esagerata. Oggi, nonostante gli africani siano i più poveri al mondo, la vita costa loro il triplo di una vita occidentale. Nel 2015 sono andato anche a denunciare la linea telefonica Orange che opera nel mio paese, perché compri il tuo credito per il telefono… Vado lì e faccio una ricarica di 10 € e loro ti dicono: “quella ricarica la devi utilizzare da oggi a domani, se no poi te la azzeriamo”. Chiamo e mi dicono: “è finito il credito”, senza un resoconto di come l’ho consumato. Se io dovessi avere il telefono con chiamate illimitate e Internet come qui in Italia, mi costerebbe sui 200 € al mese, nonostante io faccia parte dei più poveri al mondo.

Quindi è un insieme di cose che spinge gli africani ad emigrare. La maggior parte si focalizza solo sulla ricchezza, ma in realtà non è così. Perché? Perché in Africa, se io devo organizzare una manifestazione, mi sparano! Nel mese di aprile nel mio paese c’è stata una manifestazione di studenti e chi l’ha organizzata, è stato sparato. Capisci? Non posso andare a scuola e sapere quello che sa tutta la gente del mondo ed essere così represso da non potermi esprimere in nessun modo! Io sono andato nel mio paese nel 2015, ho criticato lo Stato in un post di Facebook, e ho avuto dei problemi! Perché? Perché avevano bloccato mezza città per tre giorni: avevano organizzato un incontro di tutti i paesi francofoni dell’Africa nel mio paese. E, quindi, per garantire la sicurezza ai presidenti di questi paesi, avevano isolato mezzo paese. Tu vedevi il cordone dei militari e dall’altra parte c’era la gente che moriva per degli incidenti. Dakar è una città che ha milioni di abitanti: tu non potevi andare a lavorare a causa del blocco. Tutto era bloccato, il paese era in tilt! E non gliene fregava un bel niente di questa roba! E siccome ho criticato il modo in cui hanno organizzato questo incontro, la polizia mi è venuta a trovare a casa. Gli ho detto: “no, non sono un attivista politico, non ne so niente, sono qua in vacanza. Ma devo esprimere la mia opinione, l’ho espressa e finisce lì.” Hanno voluto sapere e capire se c’era dietro un movimento politico o qualcos’altro… E il post è stato cancellato! Capisci? Quindi, non è esclusivamente una questione economica. Io sono qua da 20 anni e non sono certo diventato ricco, sopravvivo a malapena, pago l’affitto e tutto il resto. Con i salari che ci sono oggi, non potrò mai essere ricco e tornare al mio paese, come pensa la maggior parte. Se vai a vedere, la maggior parte degli immigrati rimangono qui. Rimangono! Rimangono non perché sono venuti pensando “io vengo qui, prendo i soldi, e poi me ne torno”… C’è chi lo pensa, ma è la parte minore, non sono coscienti di quello che vivono!

Questa è la realtà che vivono gli africani! Queste sono le dinamiche che: 1) spingono la popolazione ad uscire; 2) sicuramente è una dinamica strategicamente organizzata; 3) siamo qui [in Occidente] alle condizioni che viviamo qua. Cioè sappiamo bene che siamo controllati attraverso i permessi di soggiorno, che io ti do il permesso di soggiorno per due anni e tu devi lavorare e devi versare dei contributi. Sai quanti senegalesi, quanti africani non hanno lavoro e devono arrangiarsi per versare i contributi e trovare dei contratti falsi? Io ho versato personalmente due anni dei miei contributi, perché quando ho lasciato la pallacanestro e dovevo aspettare per riavere il permesso di soggiorno, versavo 375 € al mio finto datore di lavoro per mandare avanti la procedura di rinnovo del permesso di soggiorno. 375 € al mese! Altro che pizzo! Lo fanno e continueranno a farlo! Questo esiste ancora!

Come dovere umano, ci tocca riportare in alto l’asticella

D.: E comunque la maggior parte degli emigrati senegalesi e africani non riesce più a tornare…

R.: Esatto! Questa è la realtà. È una cosa troppo complicata. Sono dei grandi sistemi, come dico io. Realmente, come dovere umano, ci tocca combattere, ci tocca riportare in alto l’asticella, perché se no siamo finiti…

Il Dublino II cosa fa? Crea dei conflitti anche all’interno dell’Europa, quando dice che tu, come immigrato, non puoi andare in Francia se sei sbarcato in Italia. I paesi europei bombardano la popolazione di qua e di là, impongono una economia e una politica globalizzata, in cui le merci possono circolare dappertutto, ma gli esseri umani no. Queste sono le tematiche chiave dal mio punto di vista. Non so se un giorno ce la faremo o no, ma vi garantisco che finché non ci riusciremo, le condizioni saranno sempre così!

Tutti i paesi africani possiedono una ricchezza esagerata… Nel mio paese ci sono delle cascate che da una montagna scendono in una valle in cui le donne di quel villaggio andavano a raccogliere l’oro… Non dovevano scavare le miniere, era l’acqua che scorrendo portava pagliuzze d’oro. Quindi le donne andavano a raccogliere l’oro e poi c’erano i cinesi che lo compravano al mercato nero. Oggi è vietato fare una cosa del genere: lo Stato si è accaparrato quest’attività e l’ha concessa ai coreani. Poi, non gli vanno bene i coreani, e allora la concede ai francesi. Lì i francesi tengono un elicottero che dopo una giornata di lavoro, dopo aver raccolto tutto l’oro, se lo porta fuori dal paese. Noi non sappiamo… Anche i governanti del mio paese non sanno [quanto oro portano via i francesi]. Non c’è nessun controllo sulle risorse! Non sanno quanti chili di oro oggi sono stati estratti in quelle miniere! Non sanno quanti litri di petrolio vengono estratti in quei pozzi! Non sanno niente di quello che è del popolo, dei nostri popoli! L’importante che ti sei arricchito, tu e tutta la tua famiglia! Quando fai la tua campagna elettorale e arrivi al potere, ti rendi conto che sei in mezzo a due montagne e che non puoi fare nulla. Non puoi fare nulla!

Non è questione di vigliaccheria, no! Quando ero più piccolo pensavo che fosse a causa della vigliaccheria… Ma adesso no! In Africa hanno assassinato 23 presidenti che hanno tentato di cambiare la situazione! 23! I presidenti non sono in grado di cambiare le cose. No! Perché se io vengo eletto presidente del popolo e mi trovo che le miniere d’oro sono state concesse con un contratto di cinquant’anni, queste condizioni devo solo rinegoziarle. Poi sta a chi ha avuto il contratto di concessione se accettare o meno. Questo è lo Stato in cui vivono gli africani. Noi tutti sappiamo che c’è una depredazione della ricchezza africana, però non sappiamo neanche in che modo lo fanno, non immaginiamo come lo fanno. Mubarak, presidente dell’Egitto, quando è dovuto scappare, aveva 6 tonnellate d’oro. Perché? Perché gli occidentali gli danno la sua parte. E lui deve stare zitto e deve stare lì. Abdelaziz Bouteflika, l’attuale presidente dell’Algeria, ha più di 80 anni! È in ospedale, non è in grado neanche di badare a se stesso, però incarna la figura carismatica che tiene buona la popolazione, è ancora lì, ha l’obbligo di essere lì! Il partito lo investe di questa carica, non perché lui lo vuole, perché non è neanche in grado di badare a se stesso. Ma siccome incarna la figura carismatica che riesce a mettere d’accordo le diverse componenti del paese, è tenuto lì… nell’educazione africana c’è anche il concetto di avere rispetto di chi è ha più anni di te, giusto o sbagliato che sia. Anche se non so chi sia tua mamma, anche se non la conosco, la devo chiamare mamma perché ha la stessa età di mia mamma, ha lo stesso ruolo di mia mamma… E quindi noi abbiamo fratelli, sorelle, padre, madre… Non abbiamo i cugini, non abbiamo una definizione per i cugini, per certi parenti. O fratelli e sorelle, o padre e madre, o male che ti va, “zio”. E quindi chi ha più anni, spesso nella cultura africana viene rispettato, non per competenza ma per gerarchia. Può essere sbagliato oppure giusto, ma è così. Quindi attraverso questi valori che loro praticano, gli africani vengono anche fregati, vengono anche sfruttati, vengono anche…

Per come la vedo io, per come l’ho vissuta, è una situazione difficile, difficilissima. In Senegal, in Africa, nel settore informale c’è una cosa allucinante di cui nessun giornalista osa parlare… I miei erano imprenditori, molto grandi, ma sono falliti. Perché? Perché loro… e con loro tutta la borghesia africana è destinata a fallire se non sostengono la politica occidentale. Perché? Perché ci sono delle relazioni bancarie che non sono nemmeno chiare… Nel caso dei miei, i miei si rivolgevano a una banca creata dallo Stato: da un giorno all’altro la banca crolla, perde e chiude. Chiude e loro perdono tutti i loro soldi. Quando questa banca era in crisi, li ha messi in contatto con un’altra banca: gli affari degli imprenditori devono andare avanti, ma lo Stato ha perso i loro soldi, e quindi si sono indebitati con un’altra banca. Quella banca ha portato via tutta la ricchezza che avevano, tutta la ricchezza! Sono diventati talmente poveri… lo Stato, chi governa, e i francesi da un lato ti portano via la tua ricchezza e dall’altro lato ti danno un debito, e poi, solo pagando degli interessi pesanti, puoi arrivare a recuperare la ricchezza che avevi. In questi ultimi giorni c’è una cosa ancora più eclatante: c’era un commerciante che aveva 51 miliardi in una banca, che è andata in crisi ed è fallita. Prima di fallire ha fatto la stessa operazione, cioè di rivolgersi a un’altra banca. Cosa è successo? Gli hanno portato via tutto. Tutto! Tutto! Tutto! Non aveva mai fatto un debito con una banca, prima del crollo di questa banca, non era stato finanziato dallo Stato, non era stato sostenuto, senza mai una condanna e nemmeno un processo. Questo è un altro sistema attraverso cui continuano a rubare la ricchezza delle famiglie ricche africane. E queste nel giro di due anni si ritrovano con il sedere per terra.

Non c’è una negoziazione pacifica che può riportare le cose alla normalità. Per riportare la normalità in Africa, ci vuole uno scontro.

Oggi in Senegal c’è un tasso di scolarizzazione alto. Non puoi istruire le persone e poi tenerle come degli ignoranti. È impossibile. È impossibile. O me ne vado e non guardo più niente lì, o se rimango, succede un casino. Questa è la realtà! Tutti gli emigrati sono giovani! Tutti! Perché non scoppiano più guerre civili in Africa? Perché dal 1970 al 1985 la strategia loro [dei colonizzatori] era di far esplodere il paese. Oggi però non c’è più quella strategia perché, se osservi, tutti i paesi africani che attualmente hanno una maggiore crescita a livello economico, hanno fatto la guerra civile, perché dopo la guerra civile, durante i processi di riconciliazione, il debito va cancellato, lo Stato deve reimpossessarsi delle proprie ricchezze e fanno un lavoro diverso. È il caso dell’Angola, dell’Uganda, dell’Etiopia, del Kenya. Quando ero piccolo, alle elementari, spesso a fine mese raccoglievamo i soldi per il Kenya. Oggi il Kenya ha una forte crescita del Pil, del 6-7%, che invece il mio paese non ha. Nel 1973 la ricchezza senegalese era uguale a quella della Corea del sud. Anzi, noi eravamo più ricchi di quelli della Corea del sud nel 1973. Oggi vedi una differenza abissale, che una mente umana non riesce a capire. Eppure, a livello di miniere, siamo più ricchi! Ma, alla fine, ci tocca emigrare.

È difficile risolvere i problemi dell’immigrazione tra l’Africa e l’Europa, perché i depredatori europei sono ben impiantati in Africa, è difficile che qualcuno tolga le radici da lì. L’unica cosa, dal mio punto di vista, è che si arrivi quasi allo scontro di civiltà per riportare la normalità. Ma che ci sia uno scontro! Non c’è una negoziazione o una procedura pacifica che può riportare la cosa alla normalità. Questo te lo garantisco: non c’è. Perché? Perché è così. Perché non sono pronti ad abbandonare le loro ricchezze a favore della popolazione africana. Non sono pronti gli europei, e neppure i politici africani al potere che favoriscono gli europei. Questa è la realtà.