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[CONTRIBUTO] Palestina-Israele: “Né i giudici, né i diplomatici verranno a salvare Sheikh Jarrah

Riceviamo e pubblichiamo dai compagni della redazione Il Pungolo Rosso questo contributo, già disponibile sul loro sito (vedi qui):

Palestina-Israele: “Né i giudici, né i diplomatici verranno a salvare Sheikh Jarrah”

– Amjad Iraqi

Riprendiamo dal sito Alencontre (vedi qui) la cronaca dell’udienza della Corte suprema di Israele in cui si doveva decidere sulla proprietà di alcune case del quartiere di Sheikh Jarrah storicamente appartenenti a famiglie palestinesi – case dalle quali un’organizzazione di coloni intende sfrattarle. Sotto l’apparenza di proporre un compromesso, ancora una volta il sistema giudiziario israeliano si è schierato dalla parte dei coloni, benché non abbia avuto l’impudenza di ingiungere l’immediato sfratto delle famiglie palestinesi. La grandissima protesta nata nei mesi scorsi proprio a Sheikh Jarrah e dilagata in tutta la Palestina, per poi divenire internazionale, glielo ha, provvisoriamente, impedito. Solo una forte ripresa di quel movimento di lotta, e la solidarietà internazionale e internazionalista con esso, potrà sbarrare la strada definitivamente ai piani delle organizzazioni dei coloni spalleggiati dallo stato di Israele, a Gerusalemme Est e dovunque. Né i giudici israeliani, né le chiacchiere vuote e ipocrite delle diplomazie internazionali (presenti in aula il 2 agosto a marcare il cartellino), potranno nulla a riguardo.

È stato esasperante seguire lunedì 2 agosto le deliberazioni della Corte Suprema israeliana su Sheikh Jarrah [un quartiere di Gerusalemme Est a prevalenza di palestinesi]. Durante l’udienza in cui si doveva decidere se i residenti palestinesi saranno sfrattati con la forza dal loro quartiere, i tre giudici hanno proposto un accordo che consentirebbe alle famiglie di rimanere per diversi anni nelle loro abitazioni come “inquilini protetti”, in cambio del pagamento di un piccolo canone di “affitto” [circa 400 euro all’anno] versato al gruppo di coloni Nahalat Shimon, che brama aggressivamente alla proprietà di quelle case con il sostegno della polizia. L’udienza si è conclusa con una situazione di stallo, e il tribunale si è visto costretto a programmarne un’altra la prossima settimana nella speranza che le due parti facciano nel frattempo un passo indietro.

Quello che i giudici hanno descritto come un “compromesso” si è rivelato, però, un ultimatum. I giudici inizialmente si sono rifiutati di concedere alle famiglie palestinesi diversi giorni per esaminare l’accordo, sostenendo pretestuosamente che volevano evitare ulteriori pressioni dei media e che ci sarebbero voluti secoli prima che tutti i residenti fossero d’accordo. Molti palestinesi presenti in aula hanno faticato a seguire le difese in ebraico (non è stata fornita alcuna traduzione ufficiale), ciò che li ha costretti ad affannarsi per ottenere informazioni su quello che gli sarebbe capitato. L’obiettivo dei giudici non era certo dissimulato: era fare pressione sulle parti affinché accettassero l’accordo, per evitare la responsabilità di decidere loro su una questione con una posta politica in gioco così alta.

Il tentativo della Corte di costringere le famiglie di Sheikh Jarrah ad accettare i coloni come loro proprietari [1] è, per i palestinesi, un duro richiamo al fatto che il sistema legale israeliano non può mai essere una via per ottenere giustizia. Piuttosto che riconoscere i diritti dei palestinesi sulle loro case, i giudici sembravano volere a tutti i costi placare la resistenza di Sheikh Jarrah preservando i piani a lungo termine dei coloni per questo quartiere di Gerusalemme. Come ha affermato il giudice Yitzhak Amit, “questo [accordo] ci permetterà di respirare per alcuni anni, finché non ci sarà un accordo immobiliare o finché non arriverà la pace” – il che equivale a dire ai palestinesi minacciati che saranno ancora una volta i loro occupanti a decidere del loro futuro.

Una tale manovra non è affatto insolita per la Corte Suprema che, salvo in rare eccezioni, ha costantemente appoggiato l’impresa di colonizzazione dello stato di Israele. Noam Sohlberg, uno dei giudici di lunedì, risiede lui stesso in un insediamento in Cisgiordania. Anche presentando una soluzione apparentemente “equilibrata” e “pragmatica”, il tribunale non ha fatto altro che rafforzare le regole del potere nel quadro del regime coloniale israeliano: la legittimità dei coloni ebrei e la subordinazione dei palestinesi.

Nel dramma che si è svolto in aula, è stato alquanto sconvolgente vedere il personale diplomatico presente [compreso quello dell’UE] per sostenere le famiglie palestinesi. Dai loro uffici e dalle loro residenze a Gerusalemme, questi diplomatici, molti dei quali ben intenzionati, hanno osservato le autorità statali israeliane e i gruppi di coloni trasformare Sheikh Jarrah in un avamposto di violenza e crudeltà. Tornati nelle rispettive capitali, i ministeri degli esteri e i funzionari hanno ripetutamente condannato gli insediamenti come illegali secondo il diritto internazionale e come una minaccia alla creazione di una capitale palestinese a Gerusalemme est.

Eppure, anche con questa attenzione senza pari, il peso di questi attori politici non ha portato letteralmente a niente per quello che riguarda la situazione sul terreno. Oggi Sheikh Jarrah è forse la comunità palestinese più famosa che si oppone al trasferimento; eppure i governi stranieri non riescono ad esercitare la pressione necessaria per dissuadere completamente Israele dal deportare le famiglie palestinesi. Piuttosto che esercitare una seria pressione economica e diplomatica, questi stati potenti hanno in gran parte risposto con semplici preoccupazioni verbali, lasciando i palestinesi ad affrontare i coloni, la polizia e i giudici che lavorano di concerto per espellerli [dalle loro case e dal quartiere].

L’attivismo degli abitanti di Sheikh Jarrah, combinato con il crescente movimento di solidarietà che li sostiene, sta contribuendo a bloccare i piani di Israele e rinnovando la pressione sui governi perché facciano seguire alle parole i fatti. Ma il fatto che il destino di Sheikh Jarrah rimanga così precario mostra quanto la “comunità internazionale” sia poco più di un guscio vuoto, un vuoto riempito di parole vuote piuttosto che uno strumento per l’azione. Se la Corte Suprema emette un verdetto di espulsione dei palestinesi – o se i coloni e la polizia li espellono violentemente – la “comunità internazionale” farà ciò che è necessario per proteggere le famiglie? O continuerà a guardare come spettatrice, come ha fatto per innumerevoli altre comunità di palestinesi?

(Articolo pubblicato sul sito web israeliano +972, 2 agosto 2021; traduzione di Alencontre)

Amjad Iraqi è redattore della rivista +972. È un cittadino palestinese di Israele, basato ad Haifa.

[1] Il canale pro-Israele I24News ha dichiarato il 3 agosto 2021: “In cambio, i palestinesi riconoscerebbero che Nahalat Shimon è registrato come proprietario di case in Israele, ma senza cedere la loro proprietà all’organizzazione ebraica. Il compromesso lascia però la possibilità al ministero della Giustizia di riaprire il fascicolo».