E allora, a meno di una revoca dell’ultimissimo momento a fronte di concessioni insignificanti da sbandierare come conquiste dovute alla minaccia dello sciopero, il prossimo 16 dicembre si terrà lo sciopero generale convocato da CGIL e UIL.
Se così sarà, siamo stati smentiti, ed è bene riconoscerlo. Forse, però, è altrettanto vero affermare che non siamo stati smentiti.
Partiamo dalla smentita.
Avevamo predetto che non ci sarebbe stato alcuno sciopero generale indetto dalla CGIL: “Né sulle pensioni, né contro i licenziamenti. Né contro la disoccupazione, né contro il carovita e l’assalto a quel che resta di pubblico e di non totalmente aziendalizzato nei servizi pubblici. Né per protestare contro la strage di morti sul lavoro, né contro il discriminatorio “green pass”. Né per denunciare l’esistenza in tanti luoghi e settori di una Textprint in via di estensione con orari di lavoro fino a 12 ore (formalizzati anche in alcune Usl del Veneto). Né contro le ripetute violenze della polizia e dei carabinieri ai picchetti e le restrizioni al diritto di manifestare. Né per l’insulto di un PNRR che incentiva ulteriormente l’aziendalizzazione della sanità e l’allontanamento di ogni rapporto personale tra medico e paziente. Né per protestare contro il balzo in avanti (+8%) delle spese militari mentre si ritorna a lesinare sulla spesa sociale. Né – ovviamente – per tutti questi temi assieme. Niente di niente, ad eccezione di qualche sciopero di settore obbligato, una tantum, e rigorosamente separato da ogni altra vertenza.”
Ora, davanti alla proclamazione dello sciopero, la prima domanda da porsi è: chi ha obbligato i vertici di CGIL e UIL a questo passo? La loro base fremente di sdegno per la macelleria sociale messa in atto dal governo Draghi e per l’illimitata arroganza di Confindustria? Non pare. Nelle fabbriche e negli altri luoghi di lavoro c’è scontento ed anche rabbia per il modo in cui sono trattati nella finanziaria i “lavoratori essenziali”, ma – al momento – prevalgono la sfiducia e la tendenza a cercare delle minime “compensazioni” a livello aziendale, con straordinari e premi di produzione. Né si può sostenere che la decisione sia stata presa per la paura di essere messi all’angolo nell’immediato dal sindacalismo di base – infatti, senza nulla togliere al valore della partecipazione degli operai dell’Elettrolux di Susegana e della Gkn, dobbiamo ammettere che gli scioperi dell’11 e 15 ottobre non sono riusciti a coinvolgere una quota minimamente significativa degli operai e proletari iscritti alla CGIL, inclusi quelli che si riconoscono nell’opposizione ‘il sindacato è un’altra cosa”. Che a sua volta non può certo intestarsi una vittoria, rivendicando che la proclamazione dello sciopero generale è il frutto della sua protesta ferro-e-fuoco (nessuno l’ha vista, francamente).
E allora? La sola risposta plausibile è che l’indizione dello sciopero generale è il risultato della protervia con cui il governo e la sua maggioranza hanno liquidato le modeste richieste dei vertici sindacali. Dopotutto Landini e Co. si sarebbero accontentati di veder destinare agli operai una quota maggioritaria, o almeno significativa, degli 8 miliardi stanziati in materia fiscale (che sono tra l’altro un’inezia rispetto ad un totale di 107 fino a 170 miliardi finiti, o che finiranno, nelle casse delle imprese). Invece la decisione del governo ha privilegiato in maniera sfacciata i ceti medi, respingendo anche – così pare – l’emendamento Draghi: sospendere per un solo anno gli sgravi fiscali per i redditi sopra i 75.000 euro, e dare un’elemosina ai redditi più bassi. Niente da fare!
La CGIL del Veneto ha fatto i conti dettagliati su 146.898 dichiarazioni dei redditi del 2021, ed è arrivata alla seguente conclusione: il 77% dei salariati non avrà alcun sostanziale beneficio dalla “riforma” fiscale, l’87% delle lavoratrici riceverà tra 0 e 10 euro in più al mese, idem il 91% dei giovani. Per giunta, degli 8 miliardi uno andrà alle imprese per il taglio dell’Irap. Il minimo che i dirigenti CGIL sono costretti a notare è “l’ennesimo colpo al principio di equità e di giustizia fiscale”. Ma il punto cruciale è (secondo noi) un altro: “il governo si era impegnato solennemente a confrontarsi con il sindacato per decidere come calibrare il suo intervento sul fisco; cosa che non ha fatto.” Sta qui la vera ragione dello sciopero: l’avere colto nel comportamento del governo la fine anche del semplice confronto preventivo sulle decisioni da prendere. Non è finita così solo la concertazione, sepolta da un pezzo; è finita perfino la consultazione. E la cosa è stata formalizzata dal governo a meno di due mesi dall’assalto fascista alla sede nazionale della CGIL… (chiaro il nesso?).
La proclamazione dello sciopero generale appare dettata da questa giusta percezione dell’ulteriore svolta autoritaria in atto, che è ben lungi dal ridursi alla questione del “green pass”, e riguarda anzitutto l’insieme dei rapporti tra borghesia e proletariato. Ma a fronte di questa giusta percezione, c’è in Landini e Co. il timore delle possibili, e indesiderate, conseguenze di uno sciopero generale effettivo e combattivo. Ed ecco che, dopo averlo proclamato, i vertici di CGIL e UIL lanciano ami a Draghi, raffigurandolo come un prigioniero delle destre (Draghi?!); avanzano una piattaforma che non potrebbe essere più generica e meno incisiva; dichiarano di essere disponibili al confronto fino all’ultimo momento; non indicono assemblee nei luoghi di lavoro per mobilitare i loro iscritti; non coordinano le categorie (lo sciopero dei lavoratori dell’igiene ambientale del giorno 13 dicembre è stato revocato, pur senza firma del contratto); si piegano immediatamente alle ingiunzioni della Commissione centrale anti-sciopero (oltre sanità e trasporti, non sciopereranno neppure le poste); escludono di manifestare a Firenze per timore che vi abbia peso il collettivo degli operai Gkn, etc. etc.
Ha perciò buon gioco Dario Di Vico ad affermare sul Corriere della sera che lo sciopero del 16 ha “una sola motivazione: sciopero ergo sum. Si tratta di una scelta tesa a difendere i presunti diritti (di veto) delle organizzazioni, non a tutelare le persone. La salvaguardia della macchina sindacale con i suoi riti e le sue contraddizioni prevale, e due delle tre unions italiane non fanno altro che scegliere la strada percorsa in passato dai partiti. La sopravvivenza dei gruppi dirigenti prima di tutto.”. Resta nella penna del giornalista confindustriale, ma è chiaro, l’invito a dare una pedata definitiva nel didietro a questa burocrazia sindacale “incerta e malferma sulle gambe”, per ridurla oggi, al massimo, a fare l’amministratrice del “welfare aziendale”, domani chi sa. Si afferma così anche a livello governativo la tendenza delle imprese multinazionali di ultima generazione (per prima Amazon) a tenere i sindacati fuori dai luoghi di lavoro e a regolare i rapporti con operai/e e salariati/e per via diretta, senza “costose mediazioni”, portando all’estremo l’aziendalizzazione della forza-lavoro e la concorrenza tra sfruttati dentro le singole imprese, tra imprese, tra nazioni.
Al fronte padronal-draghiano l’obiettivo sembra a portata di mano. Per questo la CGIL, e Landini in particolare, sono stati bersagliati da violenti attacchi quasi fossero diventati dei sovversivi anti-capitalisti. Salvini e Bonomi, due che di difesa degli operai se ne intendono parecchio, hanno accusato Landini di essere non solo contro “il paese” (cioè, contro i capitalisti), ma anche contro i lavoratori. E la CISL più filo-padronale di sempre ha deciso non solo di dissociarsi ma addirittura di dimostrare sabato 18, di fatto, a favore del governo e contro lo sciopero del giovedì, ponendosi ancora una volta alla testa del processo di subordinazione organizzata e interiorizzata del lavoro al capitale. In questo modo i vertici della CISL hanno reso ancor più difficile la marcia indietro di CGIL e UIL. Sicché è possibile o perfino probabile che la proclamazione dello sciopero generale, avvenuta forse solo come estrema forma di pressione, si trasformi in un boomerang per chi lo ha lanciato: quelli che lo hanno proclamato non possono né vogliono agire per farlo riuscire a pieno, ma nello stesso tempo non possono neppure revocarlo senza avere tra le mani un minimo di concessioni spendibili.
Ecco su cosa siamo stati smentiti. Ma nello stesso tempo non siamo stati smentiti avendo sostenuto che “il virtuosismo dei burocrati sindacali è illimitato. Per cui sono anche capaci di proclamare uno sciopero pro forma allo scopo di dimostrarne l’inutilità, o proclamarlo per lavarsi la coscienza (che resta tuttavia sporchissima), come nel caso delle tre ore di sciopero contro la legge Fornero nel 2012”. In questa occasione si verifica un’altra ipotesi ancora, ma nello stesso genere di sciopero generale/non sciopero generale: CGIL e UIL proclamano uno sciopero che vorrebbe essere anche vero (le 8 ore), ma non può esserlo per timore di innescare una dinamica di ripresa del conflitto sindacale che metterebbe in crisi la strategia semi-secolare di istituzionalizzazione del sindacato e integrazione della classe proletaria nel capitale nazionale.
Che fare, quindi?
Chiedere alle forze del sindacalismo di base di salvare lo sciopero del 16 da una probabile scarsa riuscita, mobilitandosi “pancia a terra” ad appena sei giorni dall’evento? Sarebbe velleitario perché una mobilitazione del genere, specie in un contesto di bassissima conflittualità come l’attuale, non si improvvisa dall’oggi al domani né per la CGIL, e neppure per le modeste forze del sindacalismo di base, le quali – tra l’altro – dal 15 ottobre ad oggi non hanno certo rinsaldato la propria unità d’azione. Tutto ciò che si può fare è:
1) ribadire le ragioni di fondo di uno sciopero generale e generalizzato contro l’asse padronato-governo Draghi-Unione europea su una piattaforma di classe, che raccolga ed esprima fino in fondo (e non per ottenere qualche obolo) le necessità vitali dei proletari calpestate da decenni di attacchi del duo capitale-stato, da preparare in modo adeguato e organizzare insieme a quanti sono realmente disposti a dare corso a questa battaglia, al di là delle appartenenze sindacali;
2) partecipare attivamente allo sciopero del 16, anche se proclamato con le ragioni e le modalità sopra dette, là dove esso sta trovando un effettivo riscontro in settori di classe, portandovi la nostra attitudine fronte-unitaria sostanziata da obiettivi di lotta unificanti – in materia fiscale la detassazione dei salari operai e la patrimoniale del 10% sul 10% dei più ricchi; il salario medio operaio garantito per i disoccupati; forti aumenti salariali slegati dalla produttività; la riduzione generalizzata della giornata lavorativa; un servizio sanitario universale e gratuito, effettivamente centrato sulla prevenzione delle malattie e sulla medicina del territorio. È questo il contributo che possiamo dare a quei gruppi di operai e proletari tuttora attivi all’interno della FIOM e di altre categorie perché non restino prigionieri di una logica politica che prepara altre disfatte, e perché riconoscano attori ed obiettivi di lotta ben precisati da chi, come il SI Cobas, il Patto d’azione anti-capitalista e l’Assemblea delle lavoratrici e dei lavoratori combattivi ha promosso limitate, ma vere iniziative di lotta contro i governi Conte 1 e 2, e contro l’attuale governo delle banche e dei padroni.
10 dicembre
Tendenza internazionalista rivoluzionaria