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[PERU] Minatori in sciopero contro l’aumento dei casi di Covid

Riceviamo e pubblichiamo dai compagni della redazione Il Pungolo Rosso questo contributo, già disponibile sul loro sito (vedi qui):

Riprendiamo in traduzione dal WSWS un articolo di grande interesse, per diverse ragioni.

1 – Ci parla del Perù, il paese primatista al mondo per morti da Covid 19 – un paese che ha un governo di “sinistra” inginocchiato davanti alle multinazionali angloamericane e cinesi (sì, anche cinesi), un paese ignorato dai media di regime per i quali il solo mondo di cui vale la pena occuparsi è quello bianco e occidentale, e ovviamente anche dai torbidi circuiti per cui questa pandemia è “più o meno una normale influenza”.

2 – Mostra come in Perù, esattamente allo stesso modo che in Italia e ovunque, i capitalisti peruviani ed esteri hanno preteso che la produzione di valore andasse avanti senza ostacoli in piena pandemia, qualunque costo ne derivasse per la salute degli operai e dei proletari – con quel di più di infamie e di vessazioni abituale nei paesi dominati dall’imperialismo, quale è il Perù.

3 – Dimostra, una volta di più, che in questa pandemia la protezione della salute e della vita dei proletari dipende interamente, esclusivamente, dalla loro auto-organizzazione, dalla loro autonomia di classe, dalla forza della loro, della nostra lotta.

Ante que el dinero, nuestra salud es primero!

Viva i minatori di Quellaveco in sciopero!

Martedì 24 gennaio migliaia di lavoratori della miniera di Quellaveco, nella regione meridionale di Moquegua, in Perù, hanno scioperato denunciando la diffusione incontrollata del Covid-19 nei campi minerari e il mancato rispetto da parte della Anglo American e dei suoi appaltatori anche dei minimi protocolli di sicurezza.

Cantando “Antes que el dinero, nuestra salud es primero” (“Prima del denaro, viene la nostra salute”), hanno lasciato il lavoro e il campo minerario per esigere che il gigante minerario transnazionale si assuma la responsabilità dei minatori e dei lavoratori edili malati. “Esigiamo un trattamento migliore, dal momento che l’azienda non sta rispettando i protocolli di biosicurezza”, ha detto un lavoratore ai media locali. “Ci sono molti lavoratori positivi al Covid che hanno dormito per giorni nelle tende insieme a persone sane. Devono adottare misure come l’isolamento e l’evacuazione di questi casi per non diffondere il virus, ma non lo fanno”.

La protesta è iniziata tra i dipendenti della società di ingegneria mineraria peruviana Cumbra e si è diffusa in tutto il campo. In condizioni in cui i minatori dormono quattro e cinque in una stanza, è criminale che le imprese non isolino le persone colpite da Covid. Diverse centinaia di lavoratori malati sono stati caricati su autobus e condotti alla locale stazione degli autobus, dove sono stati scaricati perché tornassero a casa, diffondendo così ulteriormente il virus tra la popolazione locale e le loro stesse famiglie, in particolare i bambini, che devono ancora essere vaccinati. A sua volta questo fatto ha suscitato proteste tra i residenti della zona.

I minatori riferiscono di essere tenuti a firmare dichiarazioni giurate che non riterranno le imprese responsabili per i decessi e le malattie Covid nel sito.

I minatori chiedono che i lavoratori infetti siano messi in quarantena negli hotel locali e testati regolarmente fino a quando non possano tornare al lavoro, senza perdere il lavoro o la paga.

La protesta dei minatori è arrivata quando la variante omicron ha scatenato una terza ondata incontrollata della pandemia di Covid-19 in Perù. Il virus mortale ha già causato 203.750 vittime in Perù, secondo i dati ufficiali, dandogli il tasso di mortalità pro capite più alto di qualsiasi altro paese al mondo. La regione di Moquegua, dove i minatori sono usciti in marcia [che vedete nella foto], è una delle 18 regioni del Paese in cui il numero di nuovi contagi in questi giorni ha già superato quelli registrati durante la seconda ondata mortale della pandemia. Lunedì i decessi quotidiani in Perù hanno superato la soglia dei 100 per la prima volta in sei mesi, e gli ospedali rischiano di crollare poiché il numero di pazienti aumenta e un numero crescente di operatori sanitari è vittima del virus.

Il governo del presidente Pedro Castillo ha annunciato questo mercoledì la proroga per altri 180 giorni dello stato di emergenza sanitaria che sarebbe scaduto il 1° marzo. La riunione di gabinetto in cui è stata presa la decisione ha avuto la presenza virtuale del ministro della salute Hernando Cevallos, che si sta riprendendo dal Covid.

Nonostante questa diffusione del virus, il governo va avanti con i suoi piani per il ritorno dei bambini nelle classi a partire da marzo e ha rifiutato di prendere qualsiasi misura che minacci i profitti delle grandi aziende peruviane e delle multinazionali dedite allo sfruttamento della ricchezza mineraria del paese. Il presunto governo di “sinistra” presieduto dall’ex leader sindacale degli insegnanti rurali Pedro Castillo, ha perseguito, come come quelli che l’hanno preceduto, una strategia di contrasto alla pandemia basata solo sul vaccino per garantire che tutte le attività economiche andassero avanti senza ostacoli. Ciò è particolarmente vero nel settore minerario, che il governo peruviano ha decretato essere un’”industria essenziale” già all’inizio della pandemia, consentendo la diffusione di morti e malattie tra i minatori e i residenti delle regioni minerarie andine povere.

La protesta dei minatori di Quellaveco rappresenta una sfida non solo all’indifferenza omicida delle multinazionali angloamericane (e non solo) nei confronti della vita e della salute dei lavoratori peruviani. Entra anche in conflitto diretto con l’intera strategia del governo Castillo, che fa affidamento sull’aumento della produzione e sui prezzi elevati delle materie prime per generare maggiori entrate fiscali che, a loro volta, possono essere utilizzate per scongiurare un’esplosione sociale. Secondo un recente rapporto del Ministero peruviano dell’Energia e delle Miniere (MINEM), nel 2021 le entrate fiscali del settore sono aumentate del 60%, per un totale di 6,6 miliardi di sol ($ 1,67 miliardi) rispetto ai 4,41 miliardi di sol ($ 1,11 miliardi) riportati l’anno scorso. Le maggiori entrate riflettono un’elevata produzione, l’aumento dei prezzi e un boom dei profitti per le miniere di rame e altri settori dell’industria.

Per placare le società minerarie, Castillo ha respinto fin dall’inizio del suo mandato qualsiasi pretesa di nazionalizzare le redditizie industrie estrattive del Perù. Nel frattempo, le sue modeste proposte di aumentare l’aliquota fiscale sui profitti minerari sono state bloccate dai suoi oppositori di destra al Congresso, che continuano i loro sforzi per assicurarsi il suo impeachment. Invece di parlare dell’aumento del controllo statale sull’attività mineraria, Castillo è passato a una vaga retorica sul garantire “l’impegno sociale e ambientale” delle società minerarie e garantire che le miniere producano “redditività sociale”. Nel tentativo di negoziare la fine delle proteste delle comunità contadine contro la contaminazione mineraria che hanno ostacolato la produzione in diversi pozzi, in particolare nella gigantesca miniera di Las Bambas, di proprietà della multinazionale cinese MMG, il governo Castillo ha legato in pratica il suo futuro sempre più strettamente agli interessi di lucro delle multinazionali minerarie.

Il progetto minerario Quellaveco è un fattore-chiave di questo programma capitalista. Il ministro delle finanze di Castillo, Pedro Francke, ha salutato il suo quasi completamento in una conferenza stampa di fine anno, annunciando che il progetto da 5,5 miliardi di dollari inizierà la produzione nel secondo trimestre del 2022, con una produzione prevista di 300.000 tonnellate di minerale di rame all’anno. Il governo spera che il progetto inneschi una ripresa degli investimenti minerari che si sono bloccati durante la pandemia. L’attrazione del Perù per le società minerarie transnazionali si basa sui costi inferiori di estrazione del rame e altri minerali dal suolo del paese, in particolare rispetto al vicino Cile. Questo, a sua volta, si basa su salari significativamente più bassi per i minatori peruviani e altri lavoratori in un paese in cui le successive riforme di “libero mercato” e i “programmi di adeguamento strutturale”, avviati sotto la dittatura di destra dell’ex presidente Alberto Fujimori nel 1990, hanno abbattuto le condizioni di esistenza della forza-lavoro e i programmi di spesa sociale – incluso lo smantellamento della sanità pubblica, creando così le condizioni per un’epidemia di morti, a causa della pandemia in corso.

Nonostante le illusioni alimentate da elementi della pseudo-sinistra, il governo Castillo continua a imporre queste condizioni. La resistenza dei minatori di Quellaveco ai massicci contagi da Covid causati dalla Anglo American e istigati dal governo Castillo, è parte del crescente movimento della classe operaia a livello internazionale contro la politica della borghesia in tutti i paesi che subordina la difesa della vita umana al profitto.