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[CONTRIBUTO] Industria chimica e Pfas. Il J’accuse della Rete ambientalista

Riceviamo e pubblichiamo dai compagni della redazione Il Pungolo Rosso questo contributo, già disponibile sul loro sito (vedi qui):

Industria chimica e PFAS.

Il J’accuse della Rete ambientalista

Riprendiamo qui tre contributi dal sito Rete ambientalista gestito dal Movimento di lotta per la salute Giulio A. Maccacaro. Da angolature diverse, e con un’attenzione alla dimensione internazionale, ed in particolare agli Stati Uniti, questi articoli denunciano lo scempio che l’industria – l’industria chimica, in tutte le sue articolazioni, da Miteni ad Eni, passando per le concerie venete – sta facendo pressoché ovunque dell’ambiente e della salute umana, dei lavoratori e della popolazione in genere, causando tumori, malformazioni, alterazioni sessuali, etc. Si parla, ovviamente, dei famigerati PFAS.

In queste denunce – a cui non si dovrà mai fare il callo – viene messo in luce il cinismo inumano del management delle aziende in questione, con il loro corredo di professionisti, ben compresi i medici, affaccendati a negare l’evidenza cristallina dei risultati di ricerche pluridecennali, che dimostrano a iosa l’elevato, inaccettabile livello di rischio ambientale e sanitario di queste produzioni industriali.

Né viene dimenticata l’attiva complicità dello Stato in tutte le sue articolazioni, resa soltanto più schifosa dalla maschera ecologista che ha indossato da qualche tempo – complicità che non cessa quando qualcuna delle istanze di controllo create per i casi più scandalosi di inquinamento ambientale osa affermare, anche solo in parte, la verità dei fatti, perché – di regola – queste affermazioni restano atti senza conseguenze. Ecco perché la via maestra è sempre e solo quella della lotta, e mai quella della delega alle istituzioni.

Ringraziamo il Movimento di lotta per la salute Giulio Maccacaro per la ricchezza della documentazione che rende disponibile. Riprenderemo più sistematicamente queste denunce, di cui condividiamo appieno lo spirito di lotta, e la messa a nudo delle responsabilità del “capitalismo dei disastri”, mortalmente pericoloso per la specie umana e gli esseri viventi in genere.

22 giugno

Il Pungolo Rosso

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Le accuse in tribunale al medico PFAS

di Miteni e Solvay

Il sottoscritto Lino Balza può testimoniare al processo, documenti alla mano, le responsabilità del professor Giovanni Costa, confermando la testimonianza fiume del maresciallo maggiore del Noe di Treviso Manuel Tagliaferri, avvenuta durante il processo Pfas in corso presso la Corte d’Assise del Tribunale di Vicenza, che vede imputati 15 manager di Miteni, Icig e Mitsubishi Corporation, accusati a vario titolo di avvelenamento delle acque, disastro ambientale innominato, gestione di rifiuti non autorizzata, inquinamento ambientale e reati fallimentari. Tagliaferri ha ricostruito il ruolo di Costa quale medico responsabile della Miteni e garante delle problematiche di rischio sanitario e ambientale collegato ai Pfas, e delle correlate azioni di prevenzione e limitazione del loro uso. Costa rappresentava l’azienda anche nei meeting internazionali che si occupavano di queste problematiche. Dalla ricostruzione di Tagliaferri, è emerso come il medico relazionasse sistematicamente i vertici della società sulle novità scientifiche relative al rischio Pfas e sulle sue interazioni con la fisiologia umana. Quindi Costa intratteneva rapporti diretti con Du Pont e i più grandi produttori mondiali, consentendo a Miteni di avere una conoscenza aggiornata e tempestiva su tutte le novità emerse dalla comunità scientifica sui gravissimi rischi connessi ai Pfas. Dunque questo circolo di produttori da decenni conosceva le tecnologie necessarie per rilevare e analizzare la presenza ambientale e biologica dei Pfas. E nasconderla!

Non può emergere nulla di diverso nelle carte sequestrate dai carabinieri nell’abitazione e nell’ufficio del professor Giovanni Costa.

L’accusa a Miteni è valida anche per la Solvay di Spinetta Marengo perché Giovanni Costa era nel contempo responsabile sanitario per lo stabilimento di Alessandria.

Il sottoscritto può testimoniare di aver denunciato pubblicamente le responsabilità del Costa già dal 2009 con l’accusa “di occultare la gravità della condizione sanitaria dei lavoratori e dei cittadini ingannando l’ignavia dell’Arpa [sic.]. Costa, pur conoscendo tutti gli studi (quarantennali) e i divieti e risarcimenti internazionali nonchè i livelli ematici di avvelenamento riscontrati fra i lavoratori, invece di chiedere per primo il bando della sostanza inesistente in natura, vende la sua autorità per reiterare rassicurazioni – mentendo anche in scandalose assemblee con i lavoratori – che essa non provoca malattie, tumori, malformazioni, alterazioni sessuali … ma sarebbe pressoché innocua o benefica all’uomo. L’abbiamo invano sfidato ad un confronto pubblico tramite un fondamentale documento (depositato in Procura) articolato in 24 dettagliatissimi punti, capi di imputazione quanto meno morali”.

A riguardo, clicca qui alcuni stralci tratti dal libro “L’avventurosa storia del giornalismo di Lino Balza”, ripresi nel dossier ”Pfas. Basta!” (disponibile a chi ne fa richiesta).

“Il PFOA deve essere finalmente, oggi, senza rinvii, eliminato dalle lavorazioni dello stabilimento di Spinetta Marengo che contaminano il sangue di lavoratori e cittadini, e avvelenano le falde e i fiumi Bormida, Tanaro e Po fino alla foce, e che debbono essere indennizzati i danni alle persone e all’ambiente”: è quanto scrivemmo allora, e resta di sconcertante attualità anche grazie a medici come Costa.

Pfas allarme mondiale. In Usa nuovi limiti di mille volte più bassi

Sempre maggiore l’allarme. Precedendo la pubblicazione del regolamento nazionale sulla potabilità delle acque, prevista per l’autunno di quest’anno, l’Agenzia per la protezione ambientale degli Stati Uniti (Epa) ha annunciato quali saranno i nuovi limiti per le sostanze perfluoro alchiliche, cioè gli ormai tristemente noti (e ubiquitari) Pfas: praticamente zero.

Limiti zero è quanto si propone il disegno di legge presentato [in Italia] dal senatore Mattia Crucioli, fortemente osteggiato dalla Confindustria perchè detta “Norme per cessazione della produzione e dell’impiego dei Pfas”. Insomma li mette al bando in Italia, superando l’insufficiente regolamentazione europea. Vieta la produzione (dunque li chiude a Spinetta Marengo ), vieta la commercializzazione (della monopolista Solvay dunque), vieta l’uso (alle concerie dunque) di PFAS o di prodotti contenenti PFAS, ne disciplina la riconversione produttiva e le misure di bonifica e di controllo. Insomma assume le istanze di tutti i Movimenti, Associazioni e Comitati, che da anni si battono per eliminare questi cancerogeni bioaccumulabili e persistenti, praticamente indistruttibili, dalle acque, dall’aria, dagli alimenti, insomma dal sangue dei lavoratori e dei cittadini altrimenti ammalati e uccisi.

La questione Pfas è all’ordine del giorno. “L’ExtraTerrestre”, il settimanale ecologista del Manifesto, le ha appena dedicato una ampia inchiesta di Maria Cristina Fraddosio (clicca qui un articolo che cita le nostre posizioni). Per un approfondimento è disponibile per chi ne fa richiesta il Dossier “Pfas. Basta!”: una piccola enciclopedia che in oltre 430 pagine racconta la storia in Italia delle lotte contro gli inquinatori Solvay e Miteni, dalle denunce degli scarichi in Bormida degli anni ’90 fino ai processi 2021-2022 ad Alessandria e Vicenza. Una lunga storia di mobilitazioni anche contro connivenze, complicità, corruzioni, ignavie di Comuni, Provincie, Regioni, Governi, Asl, Arpa, Sindacati, Magistratura e Giornali.

Lo spettro della chimica si aggira per l’Italia

Mentre i sindacati (in anticipo sulla scadenza per condizionare pesantemente le trattative per tutti gli altri accordi collettivi) firmano il nuovo contratto nazionale di lavoro del settore chimico, senza dire nulla su ambiente e sicurezza, diamo uno sguardo in giro.

ROSIGNANO. Il disastro ambientale al vaglio del Parlamento Europeo (clicca qui). Il nostro ministro della ‘finzione ecologica’ si era addirittura affrettato a rinnovare l’Autorizzazione integrata ambientale (Aia) alla multinazionale Solvay, consentendole così di continuare a sversare i residui della propria produzione chimica in mare per altri 12 anni.

SPINETTA MARENGO. Si va verso il razionamento. La chiusura del pozzo dell’acquedotto a Montecastello, per l’inquinamento di Pfas (C6O4) della Solvay distante 16 chilometri, da due anni sta provocando l’emergenza idrica in quanto il Comune era stato costretto ad allinearsi con una vecchia linea, che a sua volta non è in grado di fornire l’approvvigionamento al territorio di Montecastello e Pietra Marazzi abitato da oltre mille famiglie. Clicca qui Emergenza idrica da Pfas in Alessandria.

VENETO. Prosegue il processo PFAS che vede imputati 15 manager Miteni Mitsubishi per avvelenamento delle acque, disastro ambientale innominato, gestione di rifiuti non autorizzata, inquinamento ambientale e reati fallimentari. Inquinamento che tocca le province di Vicenza, Verona e Padova. Il medico che occultava l’avvelenamento del sangue dei lavoratori era lo stesso di Spinetta Marengo. Clicca qui.

PRIOLO. Il provvedimento della magistratura di Siracusa sul depuratore industriale, con effetti deflagranti sull’intero Polo petrolchimico, è un sequestro annunciato perché da quattro anni la società consortile doveva adeguare gli impianti di trattamento alle normative ambientali indicate dalla Procura. Un gioco di scatole cinesi fra società consortili a capitale pubblico, ingranaggi di una Regione ostaggio della politica da veti e interessi incrociati, alla fine si sono bloccati da soli inceppando quel delicatissimo meccanismo a orologeria della raffinazione petrolifera, sulla quale si regge l’economia di un’intera provincia. Clicca qui.

PORTO MARGHERA. La chiusura del cracking di Eni è solo l’ultima voce di una lista di chiusure dopo Caprolattame, Vinyls, Dow Chemical, Montefibre: stabilimenti abbandonati tra promesse di bonifiche senza seguito. Lo stop del cracking crea un effetto domino sui processi a valle degli impianti di Ferrara, Mantova e Ravenna. Si tratta di una riduzione delle emissioni come si fregia l’Eni? O solo di un taglio di risorse? Il dubbio è lecito. I sindacati lamentano che “Porto Marghera ha bisogno di un progetto complessivo di re-industrializzazione”, ma la conciliazione con le associazioni ambientaliste resta problematica.

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