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[CONTRIBUTO] Perché si emigra verso l’Italia e l’Europa? 7 punti e 2 precisazioni (I)

RIceviamo e pubblichiamo dalla redazione Il Pungolo Rosso questo contributo, già disponibile sul loro sito (vedi qui):

[Protesta subsaharianos en el CETI Melilla. Fotos por Antonio Ruiz]

Il governo italiano in carica, come e più dei precedenti, continua a battere come un ossesso sul tasto dell’”emergenza migratoria” contro cui agire con misure di polizia italiane, europee, tunisine, libiche. Un appello ad unirsi alle polizie di tutto il Mediterraneo almeno, insomma, per stroncare il “traffico di esseri umani” che gente grondante di virtù del calibro di Salvini, Meloni, Piantedosi, Tajani, La Russa, Crosetto, Santanché (fermiamoci qui, ce n’è abbastanza) giudica assolutamente intollerabile.

Questa lurida banda di negrieri del ventunesimo secolo, che è andata al governo promettendo un blocco navale totale intorno alle coste italiane per respingere i pericolosi nemici emigranti-immigranti, e ha inaugurato la sua nobile missione facendo colare a picco davanti a Cutro un barcone alla deriva, si trova davanti alla più grottesca delle situazioni immaginabili: nei primi quattro mesi dell’anno il numero degli emigranti-immigranti che hanno raggiunto le coste italiane dalla Tunisia, è cresciuto di oltre il 1000%, da 2.201 (nel 2022) a 24.383. Se servisse ancora un argomento fattuale per smentire la menzogna di stato, non solo di queste miserabili destre, secondo cui le migrazioni dipendono dalle politiche migratorie di “apertura” e di “accoglienza”, eccola qui. Abbiamo dedicato un intero numero della rivista “Il Cuneo rosso” a smontare pezzo per pezzo questa menzogna, per dimostrare che essa è parte integrante della vera e propria guerra agli emigranti (ai proletari e alle proletarie emigranti) che lo stato italiano e gli stati di tutto il mondo hanno scatenato per conto del capitale globale e locale, e per contrapporre a questa guerra la prospettiva di classe, internazionalista, della lotta anti-capitalista e anti-razzista unitaria di proletari immigrati e proletari autoctoni.

Poiché non se ne può più di sentire martellare social privati e di stato, tv, giornali, sull’”emergenza migratoria” e sulla “sicurezza”, abbiamo deciso di ripubblicare qui, a puntate, la parte iniziale del n. 3 de “Il Cuneo rosso”, dedicata appunto alle cause strutturali delle migrazioni internazionali, tra le quali non ci sono le politiche migratorie cosiddette “aperturiste”.

Redazione Il Pungolo Rosso

Le cause strutturali delle migrazioni internazionali: 7 punti, e 2 precisazioni. Ovvero come li abbiamo “aiutati” e continuiamo ad “aiutarli a casa loro”…

Cominciamo dall’inizio, quindi dalle cause.

È il nostro metodo: esaminare com’è nato un fenomeno, come evolve nelle sue contraddizioni, e individuare i suoi sbocchi alternativi e contrapposti. E poiché il fenomeno sociale di cui ci occupiamo qui – le migrazioni internazionali e la guerra della Unione europea e dello stato italiano agli emigranti e agli immigrati – è complicato e intricato, non si può affrontarlo a colpi di tweet o di semplificazioni. Tanto più perché domina il silenzio su queste cause, o il loro totale stravolgimento. Ai nostri lettori, alle nostre lettrici chiediamo perciò pazienza. La pazienza di seguirci nello smontaggio del discorso pubblico dominante e della sua produzione seriale di fake news.

Ci siamo sforzati di essere chiari e di parlare solo di ciò che conosciamo con sufficiente certezza. Naturalmente, dobbiamo ricorrere a schematizzazioni. Ecco dunque quali sono, per noi, le 7 cause delle attuali migrazioni internazionali, e in particolare dell’emigrazione di massa verso l’Europa occidentale e l’Italia:

1) Le disuguaglianze di sviluppo generate dalle memorabili imprese del colonialismo storico di matrice capitalistica – il saccheggio delle Americhe, la tratta degli schiavi e delle schiave dall’Africa, la colonizzazione del Golfo Persico e del mondo arabo, l’assalto europeo all’Asia (con un sintetico memorandum sul ruolo svolto, in tutto ciò, dagli “italiani brava gente”).

2) Il cappio del debito estero che è stretto intorno al collo della gran parte dei paesi del Sud del mondo (ex-colonie o semi-colonie) per effetto del secolare processo di dis-accumulazione originaria che hanno subìto per mano del colonialismo storico, e poi del nuovo colonialismo finanziario e termo-nucleare.

3) La trasformazione capitalistica dell’agricoltura del Sud del mondo sotto il segno dell’agribusiness, che stringe in una morsa ferrea, a monte e a valle, la piccola azienda contadina e i suoi contesti sociali, provocando l’esodo, ogni anno, di decine di milioni di contadini e di braccianti dalle campagne.

4) Le guerre neo-coloniali scatenate dai paesi imperialisti occidentali negli ultimi 70 anni (con il volonteroso concorso, o il protagonismo, dell’Italia democratica) e le guerre per procura, opportunamente attizzate dalle stesse potenze soprattutto in Medio Oriente e in Africa.

5) I disastri ecologici – un fenomeno in evidente espansione per la drammatica combinazione tra il progressivo degrado dell’ecosistema globale e gli eventi climatici estremi in via di intensificazione anche per effetto del dissesto degli ecosistemi locali di crescenti aree del Sud del mondo.

6) L’inesauribile bisogno che Unione europea e Italia hanno di lavoratrici e lavoratori immigrati, per ragioni demografiche, per sostenere la competizione delle proprie imprese con quelle degli Stati Uniti e della Cina, e per le attività della riproduzione sociale (cura delle persone e delle case), sempre più appaltate a forza-lavoro immigrata.

7) Le crescenti aspettative delle popolazioni, e soprattutto delle donne, del Sud del mondo – che non intendono più accettare, come se fosse una fatalità, condizioni di lavoro e di esistenza indegne di esseri umani, e sono disposte a cercarle ovunque, a qualsiasi costo, anche a prezzo della vita. Per questo, come la storia prova, gli emigranti/immigrati non vanno visti come soggetti deboli da compiangere, ma come portatori di istanze di emancipazione personale, sociale, “razziale”, nazionale, da cui, spesso, c’è tanto da “apprendere” nella lotta contro il capitalismo.

E ora due precisazioni.

La prima: tra le cause delle emigrazioni/immigrazioni in corso noi non mettiamo le politiche migratorie più “aperte” o più restrittive dell’Unione europea e dello stato italiano, perché queste politiche non incidono gran che sul fenomeno. Incidono solo perché quando sono restrittive e repressive, come le attuali, sia europee che italiane, rendono il percorso degli emigranti più pericoloso, indebitante, doloroso, umiliante, e l’esistenza dei proletari e delle proletarie immigrati qui, più discriminata, segregata e forzatamente “clandestina”. Per questo le criticheremo dalla a alla zeta. Ma non certo per rimpiangere quelle più “aperte” e i suoi strateghi: nei secondi anni ’50 si andava in Germania, dall’Italia, con il biglietto ferroviario pagato, essendoci intese tra i due stati, salvo poi doversi spezzare la schiena nei cantieri edili, dormire in baracche di lamiera, e non poter ricongiungere la famiglia… essendo nient’altro che dei gastarbeiter (lavoratori temporaneamente ospiti).

Seconda precisazione: in questo scritto introduttivo la nostra critica è centrata sull’azione del colonialismo storico e del neo-colonialismo, che ha avuto per protagonisti principali, finora, gli stati europei prima, e in aggiunta, in seguito, gli Stati Uniti e il Giappone, quello che per convenzione, curiosa ma non insensata, si suole chiamare Occidente, capitalismo/imperialismo occidentale (lo stato di Israele ben incluso). Abbiamo fatto invece solo pochi accenni qua e là alla complicità con i dominatori coloniali e neo-coloniali delle classi possidenti delle Americhe, dell’Africa e dell’Asia prima, delle locali borghesie “di colore” poi. Dal momento che siamo e militiamo in uno dei paesi che ha contribuito a spogliare per secoli i continenti extra-europei (e l’Europa dell’Est), a scorticare vive le sue masse sfruttate, e che continua tutt’oggi in tale sublime missione, si tratta di un obbligo elementare – se si è fedeli alla consegna dell’internazionalismo proletario per i paesi a capitalismo sviluppato: il nemico principale è nel proprio paese. Ciò che pensiamo degli attuali governanti arabi (incluso il macellaio Assad, che qualcuno scambia ancora per “anti-imperialista”, come scambia i 5stalle per “amici del popolo”) lo abbiamo spiegato a chiare lettere, anni fa, nel n. 1 di questa nostra rivista. Allora, tra i sorrisetti di commiserazione o di scherno di quanti, per la disperazione che li possiede, non vedono altro che false rivoluzioni, mettemmo in luce che il mondo arabo era gravido di nuove, autentiche sollevazioni di massa anche a causa dei suoi governanti compromessi con i poteri imperialisti – ci sembra che l’Algeria di oggi lo confermi in pieno. Ciò che pensiamo delle attuali élite affaristiche nere al potere in Nigeria lo diciamo in modo inequivoco in questo numero. E non diversamente inquadriamo le borghesie del resto dell’Africa (quelle che nel 1987 rimasero sorde all’appello di Thomas Sankara al ripudio totale del debito estero, esponendolo all’isolamento e alla morte violenta) e le borghesie degli altri paesi del Sud del mondo che sono tuttora sotto il dominio o il controllo del capitale imperialista – inclusa la bolibourgeoisie venezuelana che si è ingrassata all’ombra del chavismo e del governo Maduro.

Ci siamo intesi?

(1. Continua)