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[INTERNAZIONALISMO] Paese che vai, oscurantismo che trovi. La Francia proibisce l’abaya nelle scuole

Riceviamo e pubblichiamo questo contributo dalle compagne del Comitato 23 settembre, già disponibile sulla loro pagina (vedi qui):

Paese che vai, oscurantismo che trovi.

La Francia proibisce l’abaya nelle scuole

– Comitato 23 settembre

E’ questa l’ultima trovata della Francia, faro della democrazia e dei “nostri” valori. Già 20 anni fa si era esposta al ridicolo vietando il velo nelle scuole alle ragazze mussulmane che si ostinavano ad usarlo. Pratica vecchia già allora, che richiamava il colonialismo più sfacciato (come denunciava Fanon, mostrando il significato predatorio di “svelare l’incredibile bellezza delle algerine”) e metteva a nudo il significato politico dell’attacco alla rivendicazione delle studentesse, che dovevano essere criminalizzate, qualunque motivazione fosse alla base della loro testardaggine.

La Francia è uno stato laico in cui non si possono ostentare simboli religiosi! Un concentrato di ipocrisia in un paese che, al pari dell’Italia, è saturo di simboli religiosi, di chiese, di suore velate, di arte religiosa a più non posso, di croci al collo, non come vestigia del passato ma come momenti di aggregazione e di tutt’altro che laica formazione dei “cittadini”. Rivendicare la laicità è doppiamente ipocrita, perché il secolare accumulo di pratiche e di esperienza della chiesa cattolica fornisce uno schema quanto mai organico di indottrinamento di cui lo stato si continua a servire, e perché la cosiddetta laicità altro non è che la sottomissione e adorazione del dio denaro e del suo figlio, il profitto, (a completare la triade, lo sfruttamento/oppressione degli esseri umani) .

Quante illusioni albergano nel sentire comune, specialmente in quello dei “progressisti”! In chi pensava di vivere nel paese disgraziato dove le destre hanno trionfato (non si capisce come), nella culla delle idee bislacche o reazionarie, la maglia nera dei paesi “progrediti”. O riteneva che l’islamofobia fosse in declino, dopo la sconfitta dell’”impero del male”, e che il rispetto e l’integrazione avessero fatto qualche passetto avanti, dopo anni di vita fianco a fianco con gli “stranieri”. O che l’oscurantismo fosse qualcosa di esotico, limitato a fenomeni locali in Europa, al regime feroce dell’Iran, o all’ipocrisia degli sceicchi, o che fosse cosa d’altri tempi (anni ’50), quando un futuro presidente della repubblica redarguiva energicamente le signore un po’ troppo scollacciate che pranzavano al suo ristorante. Qualcuno sperava che l’arroganza occidentale, dopo le ripetute sconfitte nelle guerre neocoloniali, avesse abbassato un po’ la cresta, avesse riesumato un po’ di pudore. Chi coltivava queste illusioni (che sono poi le illusioni sulla riformabilità del sistema capitalistico) è stato sonoramente smentito dai fatti.

Ora si ritorna alla carica, e non a caso, in Francia, dove gli immigrati non si limitano ad affogare in mare o a lavorare come bestie, ma esplodono ciclicamente in una rabbia che meriterebbe ben altra organizzazione, e una più lungimirante considerazione da parte dei così detti movimenti rispetto alle lotte che mettono in campo, in Francia e anche qui in Italia, i lavoratori immigrati, prima che il fossato tra di loro diventi un abisso.

Ora non si rispolvera neanche più la motivazione “liberiamo le donne mussulmane dall’oppressione dei loro maschi”. Bisogna a tutti i costi piegare quante più donne è possibile, soprattutto quelle che manifestano una qualche seppur limitata velleità di autonomia, di rifiuto degli stereotipi o di identificazione con altre tradizioni, che ritengono valide in quanto, appunto, “altre” rispetto a quelle dominanti, alle necessità del capitale che le vuole merci omologate e forza lavoro da supersfruttare. E bisogna farla finita anche con la “tolleranza delle diversità”, estremo tentativo di allontanare il riconoscimento di un sentire e di bisogni comuni, magari di classe.

Guardando oltre le donne e i loro abiti, l’attacco si estende alle classi e ai popoli che devono ad ogni costo vivere sottomessi, perché barbari e pericolosi.

E non sottovalutiamo la possibilità che questa ricerca del capro espiatorio, in Francia e altrove, funzioni oggi come nel recente passato. Per quel che ci riguarda, tacendo, sottraendoci alla lotta nella prospettiva di una società più giusta, lasceremmo il campo libero a storture e strumentalizzazioni sempre in agguato quando si materializzano atti, seppur parziali, di ribellione. Sulla spiaggia di Trieste, le forze dell’ordine volevano impedire a delle donne che indossavano il cosiddetto “burkini”, di fare il bagno vestite. Un gruppo di donne locali, per protesta, per solidarietà, le ha imitate facendo, a loro volta, il bagno con i vestiti addosso. Un piccolo gesto, solo dimostrativo? Dipende. Dalla solidarietà nasce l’incontro, dall’incontro la conoscenza e la possibile discussione e critica. E l’avanzamento di una lotta comune, sempre più urgente, che ci farà tutte e tutti più forti.

*abaya: veste lunga non aderente usata dalle donne dei paesi arabi. Anche gli uomini usano spesso abiti lunghi e non aderenti (Jallabiya)