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[CONTRIBUTO] Alle lavoratrici e ai lavoratori che (ancora) guardano alla Cgil

Riceviamo e pubblichiamo questo contributo dai compagni della redazione Il Pungolo Rosso, già disponibile sul loro sito (vedi qui):

Alle lavoratrici e ai lavoratori che

(ancora) guardano alla CGIL

Permetteteci di dire anzitutto che non siamo affatto sorpresi, come appare esserlo Landini, dal vergognoso attacco di Salvini e della “Commissione di garanzia” al vostro sciopero di venerdì 17. Quando Landini invitò la Meloni al congresso della CGIL – un’altra cosa per noi vergognosa -, la risposta di questa servitrice dei padroni e delle banche fu un attacco a tutto campo ai bisogni e ai diritti dei lavoratori. Invece di prenderne atto, e attrezzarsi da subito alla lotta dura contro il governo, la dirigenza della CGIL ha traccheggiato per mesi e mesi cercando, implorando, di “farsi ascoltare” dal governo delle destre. Alla fine ha deciso di indire uno “sciopero generale” che, per non disturbare troppo il padronato e il governo, è di fatto un non-sciopero generale, spezzettato com’è per categorie e per aree geografiche.

Il nuovo attacco di Salvini al diritto di sciopero è la naturale conseguenza di questo tipo di politica remissiva. Più sei remissivo e collaborativo, più i padroni e i governi ti bastonano – questa è la lezione da apprendere. E sarebbe un bel segnale se la precettazione decisa dal governo venisse violata in massa dai lavoratori dei trasporti usando finalmente la propria forza!

Ma la questione che intendiamo sollevare va molto al di là del 17 novembre e della risposta da dare al poliziotto Salvini: è la necessità urgente di invertire la rotta. Decenni di politiche di “concertazione” e di moderazione hanno fatto perdere alla classe lavoratrice quasi tutto quello che aveva conquistato con le lotte degli anni ‘60 e ‘70. E se si continuerà su questa strada, il disastro completo è assicurato. Tanto più perché il sistema capitalistico è entrato di corsa in un periodo di guerre devastanti, e vi saranno, ci saranno, richiesti pesantissimi sacrifici per un’economia di guerra.

Sappiamo bene che molti di quelli che hanno a lungo, troppo a lungo, creduto che la CGIL potesse ritornare con decisione alla lotta, credono sempre meno a questa possibilità, sono sempre più disillusi. E tuttavia guardano ancora da quella parte nell’attesa che Landini si converta alla lotta vera – non alla falsa “lotta” di parole sui giornali o in tv. Ma finora questa attesa è stata vana e dannosa perché ha fatto crescere la passività, mentre per chi vive del proprio lavoro la situazione peggiora a vista d’occhio.

Compagne/i, o amiche/amici se preferite, la politica del “meno peggio” vi sta, ci sta, portando al peggio, al sempre peggio. Guardate l’arroganza di Confindustria, l’irrisione delle banche che incassano in un anno 41 miliardi di utili e non pagano alcuna sovrattassa, la sfida di Salvini sullo sciopero, l’aumento delle spese militari a danno delle spese sociali, l’aumento dei morti sul lavoro, la precarietà illimitata, un nuovo sistema-Irpef che avvantaggia i redditi superiori, il peggioramento delle norme pensionistiche, il taglio del reddito di cittadinanza… cos’altro volete aspettare?

I dirigenti di CGIL e UIL – non ne parliamo della CISL, chiaramente schierata al fianco del governo delle destre – non hanno alcuna intenzione di invertire la rotta: da decenni hanno fatto proprie le compatibilità, cioè le priorità, dei padroni, e sono attivamente coinvolti in tanti modi (gli enti bilaterali, i fondi pensione, le cooperative, etc.) nella cogestione di montagne di euro, sottobraccio ai funzionari del governo e delle imprese. A questo punto, per loro è impossibile tornare indietro.

Se ci pensate, lo stesso attacco al diritto di sciopero da parte di Salvini non cade dal cielo. Da molti anni CGIL, CISL e UIL hanno accettato e poi rispettato una serie di leggi restrittive degli scioperi per difendere il proprio monopolio della rappresentanza sindacale ed impedire che la combattività dei lavoratori possa trovare nuove e adeguate forme di organizzazione nel sindacalismo di base. Non è un caso se oggi Bellocchi, la presidente della Commissione di Garanzia sugli scioperi, difendendo il suo operato, parla della necessità di rivedere – in peggio – le regole anti-sciopero del 2003 con il seguente argomento: “le regole più stringenti sarebbero a vantaggio dei grandi sindacati”. Chiaro? Non a vantaggio dei lavoratori, ma delle burocrazie dei “grandi sindacati”. Del resto, nel 2014, CGIL, CISL e UIL hanno firmato con Confindustria un accordo capestro sulla rappresentatività che limita fortemente la possibilità di scioperare nell’industria, e impedisce a chi non lo sottoscrive di candidarsi alle elezioni delle RSU.

Né potete aspettarvi qualcosa di diverso dal Pd e dai suoi alleati. Non dimenticate che l’attacco alle condizioni di lavoro e ai diritti dei lavoratori è partito negli anni ‘80 con governi di centro-sinistra (Spadolini e Craxi), e di centro-sinistra (o tecnici, appoggiati dal centro-sinistra) erano pure i governi che hanno soppresso l’art. 18, varato la legge Dini e la legge Fornero, approvato le misure anti-sciopero che ora usa contro di voi (e contro tutti noi) Salvini.

Siete voi, sono i milioni di salariate/i e i lavoratori ormai estranei ai sindacati, i soli che possono invertire la rotta. Rompendo la passività, ritirando la delega a dirigenti sindacali che non meritano alcuna fiducia, mettendo in moto l’auto-organizzazione. Una decisione del genere costa, lo sappiamo per diretta esperienza. Ma paga!

Negli Stati Uniti, dopo decenni di arretramenti su arretramenti, le operaie e gli operai di Ford, General Motors e Stellantis, hanno deciso di riorganizzare praticamente da zero la propria forza spazzando via le vecchie direzioni sindacali, hanno formulato richieste di aumenti salariali del 36% e di drastica riduzione delle disuguaglianze salariali esistenti tra gli operai, hanno usato con decisione, intelligenza ed estrema compattezza l’arma dello sciopero, e sono riusciti a piegare quei colossi. In Italia, i facchini e i driver della logistica organizzati con SI Cobas, con un ciclo di lotte di oltre 10 anni, sono riusciti a piegare le potenti multinazionali del settore, conquistando miglioramenti inimmaginabili nei salari, nei diritti e nelle condizioni di lavoro. Solo la lotta paga!

Ma il nostro invito a voi è anche ad allargare lo sguardo al di là dei salari, degli orari e dello stesso, fondamentale, diritto di sciopero. Questo governo, e il padronato di cui il governo Meloni è l’esecutore, ci sta portando un passo dopo l’altro dentro la dinamica di guerra che imperversa nel mondo, dall’Ucraina alla Palestina, dove le grandi potenze (NATO e Russia in Ucraina) e Israele (in Palestina) stanno compiendo orrendi massacri di proletarie e proletari. Per questo anche noi saremo in piazza il 17, negli scioperi dei magazzini, delle fabbriche, delle università e delle scuole indetti per fermare il genocidio in Palestina indetti dal SI Cobas e da altri sindacati di base, dai Giovani Palestinesi d’Italia e da altri organismi studenteschi.

Quasi certamente, questa volta, non ci incontreremo nelle piazze del 17. Ma se vorrete dare espressione al vostro scontento, alla vostra rabbia finora trattenuta, ai vostri bisogni sempre più compressi, l’incontro è solo rinviato. E da questo incontro, ne siamo convinti, dipende la possibilità di avviare una nuova stagione di lotte contro governo e padroni per l’emancipazione di tutti i lavoratori.