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[ITALIA] Sulla querelle tra Landini e Salvini, e sullo sciopero generale – non sciopero generale

Riceviamo e pubblichiamo questo contributo dai compagni della redazione Il Pungolo Rosso, già disponibile sul loro sito (vedi qui):

Sulla querelle tra Landini e Salvini,

e sullo sciopero generale-non sciopero generale

Venerdì 17 si è tenuto il primo round dello sciopero generale-non sciopero generale proclamato da CGIL-UIL (per la CISL è diventato quasi un sacrilegio ormai scioperare, specie se contro un governo di destra). Le notizie a disposizione sulla sua riuscita sono contraddittorie. Sembrano più i buchi (sanità, pubblico impiego) che i pieni (la Fincantieri di Ancona, ad esempio, o un paio di piazze abbastanza numerose grazie anche al concorso di studenti di scuole e università). In ogni caso, se il 17 lo sciopero confederale è anche solo parzialmente riuscito, e se la cosa si dovesse replicare domani 24 novembre, quando sono chiamate a scioperare le regioni del Nord, non ci dispiacerà affatto, perché lo sciopero rompe comunque la completa stagnazione delle lotte che in Italia ha battuto tutti i record. Non a caso Salvini, a nome e per conto del governo di cui è il vice-premier, ha provveduto ad attaccarlo la scorsa settimana, imponendo il dimezzamento delle ore di sciopero nei trasporti con l’immediata accettazione da parte dei vertici confederali. Avendo presente la flessibilità della schiena dei dirigenti sindacali, avevamo scommesso su questo esito e ci è stato fin troppo facile avere ragione – patetico, poi, addirittura farsesco, il loro appello alla Meloni perché smentisse il suo stretto alleato.

Considerando lo sciopero un’arma fondamentale nelle mani dei lavoratori, sia per la difesa delle proprie condizioni immediate di esistenza, sia nella lotta contro il sistema sociale in quanto tale, noi siamo ovviamente per la difesa del diritto di sciopero e del suo esercizio, e quindi contro il governo Meloni e la precettazione disposta da Salvini – poco importa se, con tutta la loro squadra di mega-esperti CGIL e UIL siano stati capaci di impigliarsi nelle regole da loro stessi approvate. Ma va detto che sono stati proprio Landini, Bombardieri e Co. a spalancare le porte a Salvini e al governo perché intervenissero con successo contro lo sciopero generale-non sciopero generale.

Landini, infatti, non poteva non sapere che l’impostazione dello stesso era carica di problemi, condotta con fiacchezza, senza assemblee di preparazione, con poca propaganda e monca di tutta l’azione di agitazione che serve ad una buona riuscita delle iniziative di lotta. La specifica modalità, inedita, di questo sciopero generale diviso in quattro diversi scaglioni a distanza di una settimana l’uno dall’altro e con regole così complicate da rendere difficile comprendere, in qualche caso, se dovevi scioperare o no, sembra fatta a posta, è fatta a posta, per ridurre al minimo il suo impatto sulle imprese e sull’azione del governo. Dopotutto la sanzione della Commissione di garanzia e di Salvini è stata la naturale conclusione di un tale pastrocchio.

Quanto alla linea generale del sindacato e alla sua definizione, da parte nostra, di sindacato di stato, ci torniamo nel seguito. Non da oggi le nostre opinioni sull’avvenuta trasformazione della CGIL in un sindacato pienamente interno agli apparati istituzionali, sono state confermate da tutte le interviste, i comizi, le dichiarazioni ai giornali dei capi sindacali. Questi, anche in occasione dello sciopero “generale” da loro proclamato, invece di rivendicare con forza gli interessi vitali dei proletari, invece di mettere con le spalle al muro le politiche del governo e denunciarne la propaganda ipocrita e l’azione anti-operaia – da ultimo l’infame Decreto Sicurezza varato nei giorni scorsi dal governo –, hanno battuto su tre punti fondamentali che vanno in tutt’altra direzione:

  • Il sindacato confederale si pone come suggeritore di politiche industriali “per migliorare il nostro paese”;
  • Il sindacato confederale sciopera accettando l’ambito della compatibilità generale, con responsabilità e “nell’interesse del nostro paese”;
  • Il sindacato confederale vuole essere ascoltato dal governo e chiede che questo provveda ad una legge sulla rappresentanza dei lavoratori che assicuri a CGIL-CISL-UIL un monopolio capace di portare all’abolizione della microconflittualità.

Insomma, al centro di tutto ci sono gli interessi del “paese”, cioè del capitalismo italiano, e una ulteriore irregimentazione dell’azione sindacale in generale che verrebbe a aggiungersi all’attuale normativa anti-sciopero completandola anche per il settore privato. Con la loro insistenza sulla legge sulla rappresentanza, i sindacati confederali, CGIL in testa, compiono un ulteriore passo nella loro totale istituzionalizzazione in quanto si propongono come organici co-gestori dei processi di sfruttamento della forza lavoro. La CISL si è già proposta apertamente in questa veste attraverso la riverniciatura del suo storico corporativismo, dell’azionariato operaio e di altri suoi vecchi arnesi, ma sembra che in questa gara verso destra nessuno voglia restare indietro, forse neppure qualche sindacato di base. Davanti a questa ulteriore deriva degli apparati sindacali, strettamente legata all’ingresso in tempi di guerra e di economia di guerra, ci sentiamo in obbligo di mettere in guardia i proletari da queste scelleratezze se vogliono evitare altre sconfitte. E lo facciamo ragionando, a freddo, proprio sulle giornate precedenti la partenza dello sciopero generale-non sciopero generale il 17 novembre.

Pochi atti dei dirigenti sindacali esprimono altrettanto bene l’ulteriore deriva in atto come l’intervista rilasciata da Landini ad Agorà del 15 novembre, una collezione di frasi demagogiche e di implorazioni al governo. Data la capacità demagogica del Gran Segretario, un ascoltatore distratto può aver avuto l’impressione (falsa) che Landini – e con lui la CGIL – si siano finalmente svegliati. Anni ed anni di disinformazione, di offensiva e di propaganda padronale, di governi farabutti, di berlusconismo, di arretramenti continui e interminabile degenerazione di una sinistra farlocca, hanno lasciato un segno così profondo nella massa degli operai e dei proletari iscritti ai sindacati confederali, che questi fanno fatica ad esprimere con chiarezza e forza adeguata le proprie necessità, e continuano ad affidarsi ad una (impossibile) virata delle dirigenze sindacali.

Ma entriamo subito nel merito della “linea Landini”, dalla quale noi pensiamo che ci si debba dissociare apertamente per la sua valenza di fondo bancarottiera per la classe lavoratrice. Il segretario della CGIL inizia con una timida contestazione di principio alla decisione della Commissione di Garanzia che non ritiene “generale” lo sciopero del 17. L’intervistatore chiede lumi, ma “Lui” non sa perché al successivo incontro con la Commissione “loro” non sono andati: “…sono andati quelli che hanno seguito i rapporti con la Commissione di Garanzia”. Prima domanda che faremmo a Landini: “Il problema è o non è politico? E’ questo l’epilogo della comiziata per il diritto di sciopero, contro “la prima volta che nel nostro paese…”, “…è un attacco al diritto di sciopero”, eccetera? E voi mandate i legali a confrontarsi con la decisione della Commissione? Tutto qui? Ecco lo stile-Landini, e di tutta la Cgil, che prosegue:

Abbiamo convocato per oggi pomeriggio una conferenza stampa, vogliamo capire cosa hanno scritto [i Commissari] …valuteremo concretamente perché noi abbiamo … intenzione di andare avanti”.

Ecco con quanta decisione Landini contesta la delibera commissariale la cui natura vuole ancora capire! E questo non basta perché le parole di Salvini, preoccupato per “la mobilità degli italiani”, gli danno il destro per fare un’altra parentesi da comizio nella quale ricorda i tagli alla Sanità, la Fornero, gli arretramenti salariali e le tasse che pagano solo i lavoratori. Vediamo, però, dove il suo discorso precipita:

“… non stiamo scioperando per il vezzo di scioperare ma perché il governo non ci ha ascoltato, con noi non ha discusso … e noi siamo uno strumento per migliorare la condizione di questo paese!”

Il conduttore, più documentato di lui che ancora non ha capito, gli spiega, carte alla mano, che la Bellocchi sostiene che sedici categorie non sono state chiamate allo sciopero e che mancano quindi i requisiti della “generalità”. È scontato che Landini sappia come questa circostanza apre la strada alla possibile precettazione. Sa anche che ciò riduce una serie di garanzie e di protezioni che valgono solo per gli scioperi generali e si ripara dietro il: “…vorrei ricordare che questo è il primo sciopero generale che proclamiamo in tutto l’anno”, che vuol dire: “…guardate come siamo bravi”. Ma oltre al segnale inviato al governo, questa è solo l’introduzione che precede un attacco al sindacalismo di base e quindi anche ai lavoratori che venerdì 17 sono scesi in lotta sotto le bandiere di sindacati meno rappresentativi ma molto più credibili. Ascoltiamo questa doppia indecenza e la spediamo diritta sul muso di quanti dai social ci ripetono la vecchia canzone, più che mai stonata, che bisogna andare allo sciopero convocato da Cgil perché là ci sono “le masse in lotta”. Ecco il brano, parola per parola:

nei mesi scorsi ci sono state altre sigle sindacali che hanno proclamato scioperi, sigle sindacali meno rappresentative [attenti a questo passaggio perché prelude al vero obiettivo: la legge sulla rappresentanza] nel settore dei trasporti e non ha detto niente nessuno, né la Commissione di Garanzia, né il governo…”.

Il giorno precedente Arturo Scotto (PD) aveva scagliato lo stesso attacco con toni ancora più veementi contro il sindacalismo di base. Ma torniamo all’intervista di Landini che, dopo un altro intermezzo da comiziante sulla sanità, sulla precarietà, sui salari e l’evasione fiscale, rinnova il suo lamento sul fatto che il governo non li ascolta. E quando il conduttore lo richiama ai fatti, “… ma è stato detto in questi giorni che questo sciopero è stato deciso ben prima della presentazione del testo della manovra”, il segretario della CGIL, dopo un’arrampicata sugli specchi e varie genericità su tasse, evasioni e condoni senza il becco di una proposta concreta, torna al suo vero e proprio cavallo di battaglia:

“…questi [il governo] hanno rifiutato addirittura [ecco la cosa più grave!] di fare una legge sulla rappresentanza”.

Qui dobbiamo fare una pausa perché lo “scontro” si tramuta in autentico divertimento quando apprendiamo dalla bocca di Giorgetti (presente online) che lui scioperava già quando era bambino e dall’alto della sua pluridecennale esperienza di scioperante, dà lezioni a Landini (ci vuole poco!) che aveva l’occasione per chiedergli a quale tipo di scioperi andava e se non erano, per caso, quelli del sindacalismo giallo. Ma invece di chiedere a Giorgetti di rendere conto delle sue scelte e delle sue proposte antio-peraie, Landini torna alla carica con la legge sulla rappresentanza, cioè con la richiesta di avere il monopolio degli scioperi, delle trattative, della conduzione delle vertenze e in cambio promette, con la mano sul cuore, di far fuori la microconflittualità di sindacatini che chiudono contratti pirata che favoriscono le imprese (sic!). Ora, che esistano sindacatini aziendali che firmano contratti pirata, è un dato di fatto, tutto sommato assai marginale se riferito ai 15 milioni dei salariati. L’essenziale è altro: 1) che i contratti sottoscritti da CGIL-CISL-UIL si avvicinano sempre più a dei contratti-pirata vista la inconsistenza degli aumenti salariali e le concessioni a non finire ai padroni; 2)è completamente falso che i “sindacatini”, cioè i sindacati che hanno meno iscritti delle tre Confederazioni, abbiano sottoscritto solo contratti peggiorativi. Anzi è vero l’esatto contrario: il solo settore in Italia in cui negli ultimi 15 anni sono aumentati considerevolmente i salari, per lo meno in qualche centinaio di magazzini, è la logistica, e questo è avvenuto esclusivamente grazie all’azione del sindacalismo di base, in primo luogo delle lotte – e che lotte! – del SI Cobas. Sicché la insistente richiesta di Landini contro questi sindacati, va in parallelo, ed in combutta, con i colpi brutali con cui i grossi gruppi della logistica, a cominciare da FedEx, stanno cercando di recuperare il terreno perduto per effetto di un vero e proprio ciclo di lotte.

C’è poco da fare: è esattamente qui che va a parare la questione della “rappresentanza” sollevata con veemenza da Landini: se esistessero davvero le “opposizioni” interne alla CGIL dovrebbero sollevarsi contro questa vile equiparazione tra loro di tutti i “sindacatini”. Si tratta invece di pure “opposizioni” di facciata, del tutto innocue per la segreteria della CGIL, dedite a lavorare con distacco sindacale a vita per i rispettivi, altrettanto innocui, partitini di appartenenza salvo, ogni tanto, alzare la manina per votare un documento alternativo a cui non si dà mai seguito concreto, e fare qualche comparsata ai congressi, il tutto a dosi omeopatiche.

E allora tutta la manfrina intorno alla precettazione, appare quasi un gioco delle parti nel momento in cui entra in campo anche la presidente della Commissione di garanzia Bellocchi che si preoccupa, proprio così, dello sfilacciamento dell’azione sindacale…

“…lo sciopero generale sta vivendo un momento di sfilacciamento … sindacati piccoli che proclamano sciopero generale con l’adesione dello zero virgola…”

Qui la cosa diventa tragicomica perché sembra che la Bellocchi scavalchi a sinistra tutto e tutti e chiami a scioperi di massa. Naturalmente non è così. Ma la risposta di Landini, invece di ribattere almeno che gli scioperi grandi o piccoli che siano non sono affari della Commissione (in realtà dovrebbe essere molto più energico e solidale non foss’altro perché se si comincia a reprimere i “piccoli” scioperi, poi verrà la volta dei grandi, infatti!), torna per la terza volta sulla necessità di una legge sulla rappresentanza:

noi è da anni che stiamo dicendo di fare una legge sulla rappresentanza, che stiamo dicendo, perché non solo ci sono scioperi proclamati, la cosa più pericolosa [ascoltate bene!] è che nel nostro paese ci sono centinaia di migliaia di contratti pirata firmati da sindacati che non hanno rappresentanza ma che servono alle imprese per abbassare i diritti delle persone, quanto tempo è che noi stiamo dicendo [e son quattro!] fate una legge sula rappresentanza in modo che si misuri quanto peso hanno i sindacati, quanti iscritti hanno, quanti voti prendono e a quel punto lì i lavoratori abbiano il diritto di votare per i propri contratti….”.

Ed allora siccome Landini insiste, vediamoli alcuni di questi “contratti pirata” che nuocciono ai lavoratori, o di lotte in corso per… “contratti pirata”, limitandoci agli ultimissimi mesi e ad esempi che riguardano il SI Cobas, un’esperienza che conosciamo più da vicino (siamo sicuri, però, che se ne potrebbero fare anche altri):

  • Alla Maxi DI srl di Belfiore i lavoratori chiedono l’utilizzo dell’indennità di freddo, l’estensione della malattia al 100% e il riconoscimento di ticket mensa giornalieri più alti. Vi sembra che questo serva alle imprese per abbassare i diritti delle persone?
  • 4 luglio. I Iavoratori della Raspini, stanchi del capolarato, chiedono di essere internalizzati, chiedono il reintegro degli operai licenziati perché tesserati col SI Cobas. La risposta è fatta di cariche e manganellate di polizia e carabinieri mandati da prefettura e questura. Altro che precettazioni e delibere della Commissione di Garanzia: qui si va direttamente al sodo, si carica uno sciopero proclamato per accrescere “i diritti dei lavoratori”. E non si danno multe ai lavoratori che trasgrediscono le precettazioni, nientescartoffie ma solide manganellate e denunce. Anche qui sono davvero le imprese che si avvantaggiano ?
  • CLO di Pieve Emanuele, crumiri e polizia caricano il presidio. I lavoratori chiamano le ambulanze per soccorrere i loro feriti, sempre a vantaggio della loro imprese!
  • Euronovo di Occhiobello per l’applicazione del contratto e contro i licenziamenti, Sda di Bologna per la morte di Yaya Yafa schiacciato da un tir contro il muro del magazzino, sciopero alla Leroy Merlin contro il piano di ristrutturazione aziendale (500 famiglie sul lastrico) ed i licenziamenti a Castel San Giovanni, Mantova e Colleferro;
  • Strage di Brandizzo: sciopero in tutte le realtà dove il SI Cobas rappresenta la stragrande maggioranza dei lavoratori;
  • Maxidì di Belfiore dove si riprende la lotta perché anche davanti al tavolo in Prefettura l’azienda si rifiuta di riconoscere il sindacato maggioritario. Nessuna meraviglia che ora tocchi alla Cgil;
  • Geodis, BRT, CEVA, Co.Na.Te.Co., un lungo elenco di scioperi che, visti gli obiettivi, richiederebbero come imperative le scuse di Landini per anni (se valessero qualcosa) per la sua definizione di “contratti pirata a favore delle aziende”, per l’attacco vile che egli fa a queste vertenze associandosi così alla Bellocchi ed alla repressione dei lavoratori ai quali la CGIL non ha mai dedicato un solo rigo di solidarietà; al contrario, in più di una circostanza, come alla BRT di Genova, i “confederali” hanno guidato crumiri e mazzieri delle aziende a rompere i picchetti operai.

Gli attacchi al sindacalismo combattivo, gli episodi come quello citato, non sono quindi errori di qualche sindacalista “locale” che ha esagerato un tantino. Sono il frutto di una linea generale che troppi, da opportunisti e/o da finti oppositori, si ostinano a non voler riconoscere. Non è affatto una nostra esagerazione dichiarare la definitiva acquisizione del sindacato confederale al sindacalismo dei Caf, delle tessere e dell’assistenza legale ai singoli, al sindacalismo della concertazione, degli enti bilaterali e dei fondi pensione, al sindacalismo di stato: è una realtà dimostrata anche dalla piattaforma e dalle modalità dello sciopero di venerdì 17, 24, 27 novembre e 1° dicembre, sventagliato su piazze locali e gestito senza dare troppi fastidi. Ancora un’illusione, ancora come nella Canzone di Maggio: “voi siete stati lo strumento per farci perdere un sacco di tempo”. Svincolarsi da questi apparati di controllo, e dare corso finalmente a quel processo di auto-organizzazione che abbiamo visto avvenire negli ultimi mesi nelle grandi fabbriche dell’auto negli Stati Uniti è sempre più, per i proletari, una necessità vitale!

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