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[ITALIA] Il 10/12 assemblea contro guerra ed economia di guerra, per rafforzare l’opposizione di classe contro il governo Meloni

INVITO ASSEMBLEA PUBBLICA A BOLOGNA DEL 10 DICEMBRE

PER DARE CONTINUITÀ ALL’INIZIATIVA DI CLASSE

A SOSTEGNO DELLA RESISTENZA DELLE MASSE PALESTINESI CONTRO IL COLONIALISMO SIONISTA E CONTRO I SUOI COMPLICI OCCIDENTALI

PER RAFFORZARE L’OPPOSIZIONE DI CLASSE CONTRO GUERRA IN UCRAINA, ECONOMIA DI GUERRA, PADRONATO E GOVERNO MELONI

PER MIGLIORI CONDIZIONI DI VITA E LAVORO

Due mesi di genocidio nella striscia di Gaza non sono bastati a piegare le masse palestinesi e arabe ai disegni di Israele e del macellaio Netanyahu.

Gli oltre 15 mila morti, le città rase letteralmente al suolo, le scuole, gli ospedali e i campi profughi bombardati e devastati senza pietà, non hanno fatto raggiungere ai governanti sionisti l’obbiettivo politico di un’espulsione di massa dei palestinesi dalla striscia di Gaza e di completamento del piano di pulizia etnica in Cisgiordania. Al contrario, il carico di sangue e di morte ha smascherato agli occhi dei proletari di tutto il mondo il carattere criminale e genocida di un’occupazione coloniale che perdura da 75 anni, e ha spinto le piazze di tutto il mondo a grandi mobilitazioni per fermare un massacro perpetrato con l’aperto sostegno di tutte le potenze capitalistiche occidentali.

Mentre la propaganda borghese nostrana rappresenta il conflitto in corso come una guerra tra Israele e Hamas, con quest’ultima nelle vesti di “brutale terrorista” aggressore e l’esercito occupante in quelle di “aggredito legittimato a difendersi in quanto rappresentante dei valori di libertà e della democrazia nel barbaro Medioriente” (secondo uno schema già ampiamente abusato in occasione delle aggressioni Usa in Afghanistan e in Iraq, e definitivamente sepolto sotto i colpi dei clamorosi rovesci militari subiti da Nato e imperialismo occidentale in quelle aree), la strategia della “terra bruciata” perseguita dal governo Netanyahu in tutta la Palestina storica ha radici ben più ampie e ben più profonde rispetto alla narrazione, in voga anche in tanta parte della sinistra, secondo cui la mattanza di Gaza sarebbe nient’altro che una “reazione militare” (per quanto furiosa, indiscriminata e inumana) alla “tempesta di Al Aqsa” portata avanti dalla resistenza palestinese lo scorso 7 ottobre.

In realtà, il genocidio perpetrato a Gaza e già oggi ripreso, oltre a rappresentare l’elemento culminante (dopo i terribili eventi degli anni 1947-1949) di una storia di 75 anni di occupazione coloniale, di apartheid e di soprusi di ogni tipo verso le popolazioni arabe, risponde a una triplice finalità:

1. “oscurare” la profonda crisi sociale e istituzionale interna ad Israele, attraversata negli ultimi mesi da proteste di massa (su tutte quella contro la riforma giudiziaria) e da contrapposizioni che sono il sintomo di un processo di disgregazione del blocco politico e culturale nazionalista dal quale è emerso un ultra-sionismo che progetta di espandere i confini di Israele, costi quel che costi, anche al di là della Palestina;

2. alimentare e capitalizzare “ad uso interno” la fase storica di tendenza alla guerra e di corsa frenetica agli armamenti su scala globale e lo scontro in atto tra i principali blocchi capitalisti/imperialisti (Usa-Nato-Ue vs Cina-Russia-Iran e, seppur con varie contraddizioni, l’intero cartello Brics) – uno scenario che vede la guerra tuttora in corso in Ucraina quale principale crocevia sia nei termini di aperta contesa militare, sia come test per sondare il peso dei rispettivi arsenali di distruzione e sperimentare l’efficacia delle nuove tecnologie di carattere tattico e strategico (droni, cybersecurity, ecc.). Da questo punto di vista, Israele ha potuto ampiamente beneficiare di un consolidato sistema di relazioni diplomatiche, commerciali e militari con le potenze di entrambi i blocchi, con buona pace di chi continua ad avvelenare le coscienze dei proletari con l’illusione sulle “magnifiche sorti e progressive” del multipolarismo e sulle presunte “diversità”, se non addirittura sul “socialismo”, di Cina e Russia…

3. prevenire e sradicare sul nascere i nuovi movimenti di resistenza che negli ultimi anni sono sorti soprattutto in Cisgiordania ad opera delle nuove generazioni palestinesi, e che si stanno sviluppando da un lato in aperta contrapposizione con il collaborazionismo di una Anp sempre più delegittimata e distante dalle aspirazioni politiche e sociali delle masse oppresse palestinesi, dall’altro in almeno parziale autonomia dalla stessa Hamas e dalle formazioni politiche islamiste, le quali hanno a lungo beneficiato del consenso degli strati più poveri del popolo palestinese alimentando l’illusione che il successo della lotta di liberazione passasse necessariamente attraverso la nascita di uno stato palestinese su basi confessionali e/o attraverso il sostegno delle “petrolmonarchie” arabe e mediorientali.

La sostanziale connivenza dell’intera “comunità internazionale” con questa infame aggressione ha anche chiarito definitivamente il ruolo dei “falsi amici” della causa palestinese (Lega araba, Brics, ecc., per non parlare dell’”eterna impotente” Onu), i quali a chiacchiere denunciano i crimini di Israele, ma nei fatti non hanno mosso un dito per colpirne i profitti e l’economia pur di non intaccare i propri interessi nazionali. Alle petromonarchie arabo-saudite e alla Russia sarebbe bastato tagliare le forniture di petrolio ad Israele per minarne il potenziale bellico e salvare così – senza sparare un solo colpo – la vita a migliaia di uomini, donne e bambini palestinesi…

Questa immane tragedia sta dimostrando che le masse oppresse palestinesi non hanno governi amici: il loro unico alleato sono gli oppressi e gli sfruttati di tutto il mondo.

In queste settimane, come SI Cobas, con fatti concreti abbiamo indicato che la solidarietà con le masse palestinesi può e deve avere come suo centro propulsore l’iniziativa operaia e proletaria, capace di ostacolare realmente le filiere dell’economia di guerra e le vie di approvvigionamento militare sioniste: lo sciopero nazionale del 17 novembre che abbiamo organizzato in risposta all’appello dei sindacati palestinesi; la manifestazione nazionale del 18 novembre a Bologna in cui sono confluiti i proletari protagonisti dello sciopero e numerosissimi giovani palestinesi e arabi, studenti e lavoratori organizzati con i Gpi ed altri organismi; le azioni a Modena e ai porti di Genova e di Salerno contro i traffici di guerra; rappresentano dei sassi nello stagno in questa direzione, cui intendiamo dare continuità e gambe organizzative solide per cercare di allargare le mobilitazioni alla grande massa delle lavoratrici e dei lavoratori che sono tuttora alla finestra.

Gli eventi di questo mese e mezzo ci convincono ancora di più che il sostegno alla lotta per la liberazione della Palestina, e – più in generale – la battaglia contro le guerre del capitale, a cominciare dalla guerra tra Nato e Russia in Ucraina che prosegue con un crescente carico di morti e distruzioni, o è di classe, anticapitalista, internazionalista, o non è!
Non ci sembra il caso, infatti, di sprecare parole su un movimento pacifista ancora sognato da qualche settore di compagni come possibile compagno di strada, ma di fatto inesistente in Italia e in tutto l’Occidente per la semplice ragione che le guerre tracciano un solco chiaro: o di qua, o di là.
Né crediamo che lo sciopero generale a scaglioni di Cgil e Uil, che qualche settore di compagni immaginava potesse essere la scintilla che incendia la prateria, abbia realmente infranto la tregua sociale accettata dalle burocrazie sindacali da molto tempo e subìta finora passivamente dalla stragrande maggioranza dei proletari. E tanto meno abbia dato un apporto a fermare il genocidio in corso in Palestina o il massacro di proletari in Ucraina, dal momento che Cgil e Uil sono state pressoché allineate al governo sull’Ucraina e sostanzialmente silenti (e conniventi con il governo) sulla Palestina.

Sicché – per quanto limitate siano le nostre forze, e per quanto siano soggette di continuo ad attacchi padronali (Leroy Merlin, da ultimo) e repressivi – incombe su noi e su quanti con noi, forze politiche, sindacali e sociali, hanno cercato in questi anni di costruire un polo di opposizione di classe al padronato e ai governi della passata legislatura, e oggi al governo Meloni, il compito di tenere viva l’iniziativa di classe. E direzionarla il più possibile fuori dal ghetto in cui vorrebbero rinchiuderci, verso i milioni di lavoratrici e lavoratori che subiscono l’intensificazione della precarietà, dello sfruttamento, degli incidenti, delle morti, dei soprusi sui luoghi di lavoro; che hanno visto i propri salari taglieggiati dall’inflazione; che sono stati derubati anche del misero reddito di cittadinanza; che – in nome dell’economia di guerra – debbono fronteggiare quotidianamente le conseguenze dei tagli a ripetizione alle spese sociali per sanità, istruzione, assistenza, etc.; che vengono sfidati di continuo dal governo a disciplinarsi a regole strangolatorie anche negli ormai rarissimi scioperi; etc.

Ciò significa, in pratica, lavorare incessantemente affinché la mobilitazione in solidarietà con le masse palestinesi resistenti e contro la guerra in Ucraina (un’iniziativa che non va assolutamente abbandonata) vada a saldarsi con l’opposizione al “nemico in casa nostra”: quel governo Meloni che in un anno ha già dimostrato in maniera inequivoca il proprio carattere integralmente e violentemente padronale, antioperaio, antiproletario, repressivo; razzista contro gli immigrati; portatore di un’ideologia reazionaria e oppressiva verso le donne in materia di relazioni familiari e personali, che sta producendo messaggi e decisioni che colpiscono la massa delle donne senza privilegi; difensore e promotore dei progetti più provocatoriamente anti-ecologici; fautore aperto e coperto del bellicismo – e nonostante ciò, nonostante la sfacciata copertura di tutti gli interessi macro e micro borghesi, un governo che ha potuto godere finora di una sostanziale pace sociale.

Per ragionare su tutti questi temi al fine di tracciare insieme le linee di future iniziative di lotta, come SI Cobas – insieme ai Gpi, Udap, Movimento disoccupati “7 novembre”, Tir, Iskra e Plat – abbiamo lanciato un’assemblea nazionale a Bologna per il giorno 10 dicembre come momento di riflessione e di confronto pubblico sulla situazione e sul “che fare”, qui in Italia e a livello internazionale dove negli ultimi anni abbiamo moltiplicato le nostre relazioni di cooperazione.

Riteniamo che le forze che in questi mesi hanno saputo raccordarsi tra loro e costruire iniziative di lotta unitarie contro la guerra, l’economia di guerra, l’attacco ai salari e al diritto di sciopero da un punto di vista chiaramente classista e internazionalista, di fronte alla nuova escalation non possano permettersi il lusso di marciare in ordine sparso.

Per questi motivi, invitiamo a partecipare all’assemblea di Bologna del 10 dicembre, ore 10.30 – 17 che si terrà in via Zamboni 38.

SI Cobas nazionale