Riceviamo e pubblichiamo questo contributo dai compagni della redazione Il Pungolo Rosso, già disponibile sul loro sito (vedi qui):
Brasile: il progetto di legge di Lula sulle piattaforme
“regala diamanti e oro alle grandi imprese,
e getta briciole avariate ai lavoratori”
– Ricardo Antunes
(italiano – portoghese)
In questa intervista alla “Revista do Institudo Humanitas Unisinos” [IHU] Ricardo Antunes analizza con la sua tagliente critica dei rapporti sociali capitalistici il progetto di legge sui lavoratori dipendenti dalle grandi imprese delle piattaforme digitali presentato dal governo Lula, e lo stronca come una mostruosità ai danni dei lavoratori. La pubblichiamo molto volentieri (nella traduzione di Paola Z.) perché da un lato dà una chiave di lettura precisa e articolata di questa forma di sfruttamento del lavoro in grande espansione, e dall’altro fornisce uno sguardo su uno spicchio della realtà vera dei Brics, lodati e perfino idolatrati dai fans del “capitalismo multipolare” come alternativa al capitalismo di marca occidentale, in cui ritroviamo, invece, gli stessi meccanismi di iper-sfruttamento e di truffa legale e sociale (i falsi lavoratori “indipendenti”) propri dei paesi occidentali. E, ove possibile, anche qualcosa di peggio.
Redazione Il Pungolo Rosso
A cura di: IHU e Baleia Comunicação | 21 marzo 2024
In Brasile nel 2023, secondo i dati IBGE (Istituto Brasiliano di Geografia e Statistica), più di 600.000 lavoratori si guadagnano da vivere fornendo servizi ai giganti del lavoro ‘uberizzato’. La stragrande maggioranza sono autisti e riders, con un orario di lavoro della durata media di 12 ore. Di fronte a questo scenario, il governo federale ha proposto un disegno di legge che “garantisse i diritti a questi lavoratori”, ma, secondo le valutazioni degli esperti del mondo del lavoro, il progetto non ha centrato l’obiettivo. [Ne parliamo con Ricardo Antunes, professore di sociologia del lavoro presso l’università statale di Campinas, e autore di numerosi libri sul mondo del lavoro.]
IHU – I dati IBGE del 2023 indicano che nel 2022 erano 600.000 i lavoratori delle app con redditi inferiori a quelli dei lavoratori non dipendenti dalle piattaforme. Cosa indicano questi numeri sulla realtà del lavoro in Brasile?
Ricardo Antunes – La prima indicazione importante che mostrano questi 600.000 che compongono questo contingente di lavoratori e lavoratrici delle app, è che non si tratta di una cosa da poco. E ho la chiara sensazione che questo numero cresca di giorno in giorno e rapidamente, e che sicuramente questo numero sia già molto più alto oggi rispetto a questa prima indagine.
La prima indagine empirica dell’IBGE è stata molto importante e ha dimostrato che i lavoratori delle app lavorano molte più ore rispetto alla media dei lavoratori regolamentati dal CLT [Corpo delle Leggi sul Lavoro, ndt] e mostra anche che i loro salari sono più bassi.
Ciò che questi numeri indicano, quindi, sulla realtà del lavoro in Brasile è che abbiamo oggi una combinazione letale caratterizzata dalla presenza di una borghesia predatrice. La borghesia brasiliana, e i capitali globali che operano qui, sono predatori, perché seguono la logica del capitale finanziario.
Questa azione imprenditoriale, guidata dal più distruttivo di tutti i capitali – il capitale finanziario – indica che la realtà del lavoro in Brasile, alle dipendenze degli interessi del capitale, è sempre una realtà di maggior predazione, di più sfruttamento, più spoliazione ed espropriazione, in piena era di rapida espansione del mondo informatizzato, digitale, dell’intelligenza artificiale, dell’industria 4.0, ecc.
È un quadro vivido che mostra come nel Sud del mondo, ma anche nelle sacche più precarie del Nord, il capitale possa avanzare solo aumentando notevolmente la tecnologia, al fine di spingere al limite lo sfruttamento, la spoliazione e l’espropriazione della classe lavoratrice.
IHU – L’Esecutivo federale ha inviato una proposta al Congresso per regolamentare il lavoro degli autisti delle piattaforme. Quali sono gli avanzamenti e i limiti del testo?
Ricardo Antunes – Il Progetto di legge (PL) apprestato e proposto dal governo Lula per regolamentare il lavoro degli autisti delle piattaforme sarebbe, se approvato, una totale sconfitta. Perché? Perché i suoi (apparenti) punti positivi sono una toppa che tenta di correggere l’errore cruciale.
Perché è così nefasto?
Innanzitutto, l’articolo 3 del progetto: Uber, Amazon, Amazon Mechanical Turk, Glovo, Deliveroo, 99, Cabify, tutte, così come altre forme di lavoro: Airbnb, Google, Facebook, Meta ecc., cosa hanno in comune? Usano il lavoro non regolamentato. Cioè operano fondamentalmente distruggendo i diritti dei lavoratori, non riconoscendo i diritti del lavoro salariato di questa classe lavoratrice. Lo fanno sulla base di una truffa ideologica molto ben congegnata e sofisticata, tipica di una borghesia predatoria dell’era finanziaria e digitale.
C’è una massa immensa di lavoratori disoccupati, alla disperata ricerca di qualsiasi lavoro – ecco perché queste piattaforme entrano con più forza nella periferia del mondo, nel Sud del mondo, e nei paesi del Nord avanzano molto di più in quelli devastati dal neoliberismo; perché dove c’è una forma più strutturata di diritti del lavoro, sono in difficoltà.
Possono garantirsi questa struttura organizzativa perché esiste, in primo luogo, una forza lavoro disoccupata in abbondanza, su scala globale, che è molto più estesa nel Sud del mondo.
In secondo luogo perché in un contesto di alta tecnologia, che non smette di svilupparsi a partire dagli anni ’70, se dapprincipio il mondo dell’automazione e dell’informazione digitale ha invaso la produzione industriale, a cavallo del secolo ha invaso ciò che preferisco chiamare l’industria dei servizi.
L’era della monumentale espansione del settore dei servizi
Attenzione! Noi non viviamo in una società postindustriale, come affermavano erroneamente gli intellettuali eurocentrici, viviamo nell’era della monumentale espansione del settore dei servizi.
Ora, il capitale è riuscito ad avere nello stesso tempo un surplus di forza lavoro alla disperata ricerca di lavoro e alta tecnologia in ampia espansione. Tutto ciò che restava da fare era il colpo di Frankenstein, “fare il salto”, e cosa sarebbe quel salto? Le domande che questi grandi imprenditori si ponevano inizialmente vertevano su come aggirare la legislazione a tutela del lavoro. Consultarono grandi studi legali aziendali e conclusero che per aggirare e sopprimere i diritti dei lavoratori era necessario creare una categoria particolare e ibrida, che definirono “lavoratori autonomi” e “imprenditori”. E’ stata una truffa fin dall’inizio!
È una truffa perché quella a cui stiamo assistendo è una marcata proletarizzazione di questi lavoratori e di queste lavoratrici. Tutte le ricerche accademiche (non quelle finanziate dalle piattaforme) mostrano che spesso si lavora alle periferie del mondo otto, dieci, 12 e 14 ore – ho intervistato addirittura un lavoratore che lavorava 20 ore al giorno e un altro che mi disse che aveva un turno di 30 giorni in un mese; gli ho chiesto “che giorno riposi?” e lui ha detto: “Non riposo neanche un giorno”.
Questo è sovrasfruttamento del lavoro, che deve avere un “fascino discreto” per la borghesia predatrice: sono diventati “imprenditori”, “lavoratori autonomi” e, quindi, non hanno diritti di lavoro. E in più i lavoratori e le lavoratrici devono acquistare o noleggiare un’auto, una moto, una bicicletta – e tutto ciò che è strumento di lavoro – acquistare un cellulare, avere una connessione internet, acquistare una borsa, nel caso dei fattorini, prendersi cura dei loro veicoli, ecc. È un processo che al limite riporta alle condizioni prevalenti nell’era dell’accumulazione primitiva, perché il capitale non fornisce nemmeno gli strumenti di lavoro. E’ così che è stato forgiato questo vilipendio del lavoro.
PL del disastro del lavoro in Brasile
Possiamo chiamare questo PL il progetto del disastro del lavoro in Brasile, un progetto che “apre le porte” – ricordate questa espressione? – alla devastazione del Brasile. L’attuale presidente, che ha giustamente e duramente criticato la controriforma [del lavoro] di Michel Temer, sta creando un mostro simile, inizialmente per gli autisti delle piattaforme, ma che potenzialmente può espandersi alla classe lavoratrice che lavora nei servizi, come già siamo vedendo in tante attività, tra i giornalisti, gli operatori sanitari, i collaboratori domestici, gli insegnanti, i medici, gli infermieri, ecc.
Questo perché questo PL, nel suo articolo terzo, definisce giuridicamente i lavoratori come lavoratori autonomi. Ora, fare questo è quello che vogliono (o pretendono) Uber, IFood, Rappi, Glovo, 99, Lyft e Deliveroo, aziende che circolano nel mondo e che sono, molte di loro, molto potenti. Basti citare il caso di Uber, da un lato, con tutte le sue ramificazioni: Uber Eats, Uber Works, Uber Health, oppure anche Amazon, compreso Amazon Mechanical Turk, ecc.
Allora, quali sono i progressi contenuti nel testo? In poche parole: regala i diamanti e l’oro alle grandi piattaforme digitali e getta le briciole ai lavoratori. E quando andranno a mangiare queste briciole sentiranno che sono avariate. La previdenza, cruciale; l’organizzazione sindacale è un diritto dei lavoratori e delle lavoratrici ed è indelebilmente legata al riconoscimento della loro condizione di salariati. Se così non fosse, si tratterebbe di una truffa, come il PL 12. Ecco perché ciò che è apparentemente positivo si sfalda, diventa un inganno, poiché sarà sempre goduto al più solo a metà. Chi garantisce che il lavoratore ‘uberizzato’ riuscirà effettivamente a pagare la sua quota di pensione? E per questa via acquisisce status giuridico proprio quella che è la vera truffa: l’apparente autonomia, così come l’idea che le piattaforme siano aziende tecnologiche. La domanda di fondo è: quando chiamiamo 99 o Uber, cerchiamo un trasporto privato o vogliamo apprendere tecnologia? La risposta la conosce anche un bambino. È ovvio che si tratta di aziende di trasporto di persone e non di fornitori di tecnologia. E il PL 12, se approvato, legalizzerebbe l’illegale. Ecco perché deve essere respinto o rimosso dall’agenda parlamentare. Anche perché se resta lì, peggiorerà. Questo è l’imbroglio creato dal governo.
IHU – C’è stata una divisione tripartita per la costruzione del testo del disegno di legge tra aziende richiedenti, Stato e lavoratori, ma, in quest’ultimo caso, alcuni leader sono rimasti esclusi. Come valuti la costruzione del testo?
Ricardo Antunes – Non c’è stata alcuna elaborazione collettiva. Ci fu un inizio di discussione che non ha accettato la libera partecipazione del gruppo eterogeneo e polimorfo che caratterizza la categoria dei lavoratori e delle lavoratrici delle piattaforme. E oltre a non riconoscere nella sua interezza questa eterogeneità, il governo aveva già in mano una proposta, quella delle piattaforme, che non accettava di negoziare il punto cruciale: il riconoscimento della subordinazione, di una reale condizione di lavoro salariato e dei diritti dei lavoratori. Questo è il punto cruciale: le piattaforme non rinunciano alla truffa, non accettano e non riconoscono la condizione di lavoratori salariati.
Ho saputo che alcuni settori del Ministero del Lavoro hanno abbandonato le trattative sul PL e che anche i rappresentanti dei riders hanno abbandonato o non sono stati più chiamati alla trattativa, poiché si sono rifiutati di legittimare la truffa. Il risultato è che il PL fa acqua da tutte le parti, come si vede, e il rifiuto di questo progetto è molto ampio, in diversi settori, per ragioni anche contrastanti, ma è un rifiuto vasto. A conti fatti, quindi, il governo si è schierato dalla parte delle grandi piattaforme, che continueranno a non rispettare e ad aggirare i diritti dei lavoratori, a non pagare le tasse, a definirsi “fornitori di tecnologia”, ecc. E quindi si collocano oggi tra le più grandi corporazioni globali.
IHU – Come vedi la creazione di un sindacato per i lavoratori delle piattaforme? Cosa può esserci di positivo e di negativo per la categoria?
Ricardo Antunes – La creazione di un sindacato nasce dalla storia di lotta della classe operaia. È così che in Inghilterra, nel XVIII secolo, le prime lotte portarono alla creazione di sindacati che si consolidarono giuridicamente a partire dal 1824. Questa creazione risulta quindi dall’organizzazione e dall’autorganizzazione della classe operaia. Un sindacato dei fattorini qui o un sindacato degli autisti là, come sostiene questo PL – che, ripeto, i fattorini hanno avuto il coraggio, la coscienza e la lucidità di rifiutare – propone e incoraggia la creazione dall’alto di sindacati.
Non spetta al governo, “dall’alto”, creare sindacati. Chi li deve creare sono i lavoratori. C’è un fortissimo rifiuto del sindacato da parte di ampi settori della categoria, perché l’ideologia neoliberista ha insegnato, fin dalla metà del secolo scorso, che il sindacato è nemico della classe operaia, e che quindi il sindacato non è altro che un ostacolo. Molti dei lavoratori più giovani oggi sono imbevuti di questa concezione antisindacale, ma lottando si rendono conto che individualmente non sono nulla, mentre collettivamente hanno forza. Per avere una struttura collettiva – e Breque dos APPs (Il freno delle app, il primo sciopero dei fattorini in Brasile, ndt) lo ha dimostrato – sono necessarie forme di organizzazione.
In questo processo, ad esempio, è nata l’Alleanza Nazionale Lavoratori App Delivery – ANEA, che rappresenta un esempio molto importante di creazione embrionale di un soggetto rappresentativo dei riders.
Nel 2019 c’è stato un dibattito che ha portato ad un incontro internazionale in Inghilterra dei lavoratori/lavoratrici di Uber, autisti, che hanno discusso della creazione di un sindacato internazionale. Ripeto: non sarà attraverso un decreto del governo, ma attraverso la presa di coscienza, l’organizzazione e l’autorganizzazione della classe operaia. Attraverso un movimento, non per decreto.
IHU – In termini di garanzie ai lavoratori, cosa indica l’assenza di diritti previsti dall’articolo 7 della Costituzione come la 13esima, la partecipazione agli utili e il TFR?
Ricardo Antunes – Indica che è una truffa e che questa proposta in sostanza risponde alle pressioni del grande capitale finanziario che comanda queste piattaforme, con un rapporto predatorio, di saccheggio, di esproprio e di sfruttamento nei confronti della classe lavoratrice, che viene trattata come forza lavoro: se funziona, resta; se non funziona, non rimane. Ricorda la prima risposta: essendoci un’enorme massa di lavoratori e lavoratrici alla disperata ricerca di qualsiasi lavoro, le piattaforme approfittano di questa condizione.
Quindi l’assenza di ferie, della tredicesima, del riposo settimanale, di orari di lavoro regolamentati e di un fondo per il TFR indica che questo progetto è regressivo, un progetto che ritorna – se gli permettiamo di procedere – ai livelli di sfruttamento del lavoro del XIX secolo. Non è un caso che parole “carine” come crowdsourcing rivelino la loro origine. L’outsourcing, ad esempio, era un sistema di lavoro del XIX secolo in Inghilterra, dove la classe operaia lavorava a casa, fuori dallo spazio della fabbrica, in condizioni abiette e senza alcun diritto. È una truffa e questo è il significato del PL. Deve pertanto essere ritirato o respinto. E questa è una lotta che riguarda direttamente tutta la classe lavoratrice.
IHU – Considerando i termini di questa normativa e la mancanza di diritti, si tratta della creazione di una sottocategoria di dipendenti?
Ricardo Antunes – È peggio di così. Si tratta della creazione di una terza categoria, perché apre alla “legge della giungla”. Da domani tutti i settori, non solo le piattaforme, cominceranno a reclamare alla Corte Suprema Federale – STF, che è neoliberista quando si tratta di questioni lavorative. La stessa Corte Suprema che ha avuto il coraggio di prendere una posizione antifascista, è terribilmente neoliberista, il che non è una contraddizione – lo sa chi studia e sa di quale argomento stiamo discutendo.
È la creazione di una terza categoria senza diritti. Si tratta qui di dare pienezza alla controriforma di Temer del 2017 che proponeva il lavoro intermittente, tanto criticata all’epoca da Lula. Oggi quello che fa Lula, come dicevo prima, è legittimare l’illegale, che non è una frase giuridica, ma sociologica e critica: stanno legalizzando ciò che è inaccettabile da legalizzare, stanno creando una terza categoria che apre la porta per smantellare la classe lavoratrice nel suo insieme. Figuriamoci se alle prossime elezioni ritornasse un’aberrazione tipo Temer, o una versione abietta dello spaccone che sta andando in prigione [Bolsonaro].
IHU – Qual è la forza dei lavoratori per superare questo passaggio e garantire condizioni di lavoro più umane?
Ricardo Antunes – Lotta, organizzazione, autorganizzazione, dibattito collettivo, usare WhatsApp per connettersi con i colleghi e le colleghe, discutere in quegli spazi e le ore in cui aspettano il lavoro che non arriva.
Ad esempio: tutti noi siamo entrati in un negozio; il lavoratore, che è nel negozio e ti viene a servire, viene pagato con o senza cliente. Perché gli autisti non vengono pagati se sono disponibili e connessi? Certamente queste domande sorgono nella loro vita quotidiana, nelle loro conversazioni, nelle loro azioni e lotte.
L’azienda dispone di strumenti algoritmici e di intelligenza artificiale, tutti questi artefatti del mondo informatico digitale sono rigorosamente controllati dall’ingegneria del capitale, da amministratori delegati nefasti che modulano le forme di sfruttamento. Noi sappiamo che tutto ciò si gioca contro i lavoratori. La sfida sono le lotte. Cito un esempio reale e vivente: il Breque dos APPs, nel luglio 2020, è entrato nella storia della classe lavoratrice brasiliana come il primo sciopero dei fattorini delle piattaforme. Sarà possibile superare questa fase solo attraverso la forza collettiva, l’organizzazione, la consapevolezza e la lotta. Non è qualcosa che la classe lavoratrice sa dalla sua nascita. E’ qualcosa che si è costruita lungo la sua storia, a partire dalla Rivoluzione Industriale in Inghilterra.
Gli autisti delle grandi piattaforme, come Uber, Cabify e 99, fino a poco tempo fa in Brasile erano ex lavoratori, insegnanti; ho intervistato anche un veterinario, un ingegnere chimico e perfino un piccolo imprenditore, che poiché erano fermi durante la pandemia, sono andati a lavorare con Uber. È un amalgama di soggettività, di esperienze, non si tratta solo dell’ex autista che aveva una tradizione sindacale già organizzata; è un amalgama. Ci sono giovani, giovanissimi, che si collegano con una piattaforma, noleggiano una moto per fare questo lavoro, prima non guidavano, non erano autisti. Ci sono studenti che noleggiano biciclette per pagarsi gli studi. Pertanto, un sindacato non nasce dal nulla. Un’entità di questo tipo sarà il risultato di molta esperienza, di lotte, di discussioni e di un’organizzazione collettiva.
IHU – C’è una questione collegata a tutta questo, che è il salario minimo. Credi che il governo abbia messo a rischio il salario minimo (condizionandolo alle ore lavorate), che nonostante i suoi limiti si è rivelato essere una delle principali politiche a vantaggio della classe lavoratrice?
Ricardo Antunes – Lo ha messo a rischio, sì. La contabilizzazione delle ore lavorate dimostra, ad esempio, che gli autisti avranno uno stipendio inferiore rispetto a prima. Ciò che spiega perché gli autisti non vogliano il CLT o un sindacato, è che molti sono imbevuti del miracolo neoliberista. Sarebbe un miracolo – dopo tanti disastri e sconfitte della classe operaia, poiché viviamo in un’epoca di controrivoluzione preventiva borghese (come ci ha insegnato Florestan Fernandes), solo che oggi è guidata dal capitale finanziario – sarebbe un miracolo, dicevo, se questi lavoratori la pensassero diversamente. Ad esempio, se sono disoccupato e compro una moto (o un’auto) e mi reco su una piattaforma, non chiedo quali siano i miei diritti; vado perché devo pagare la macchina che ho comprato ieri, e perché devo lavorare per sopravvivere.
Per quanto riguarda il salario minimo, il primo punto nefasto è che questo PL crea un sistema che tende a ridurre i salari dei lavoratori che già lavorano. Questo mette in croce chi già lavora, che riceverà meno del salario minimo. Anche su questo punto il PL è contro la classe lavoratrice.
IHU – Una domanda che non vuole essere consolatoria, ma che dà uno sguardo alla realpolitik del mondo del lavoro contemporaneo: in termini attuali, il progetto era quello possibile da realizzare o era possibile qualcosa di migliore?
Ricardo Antunes – Era necessario, imperativo, e ancora si può fare, disporre di una regolamentazione efficace che garantisca i diritti del lavoro e della previdenza sociale. È una questione fondamentale. Sappiamo tutti che Lula è nato ed è apparso sulla scena sociale e politica a metà degli anni ’70, come un leader operaio-metallurgico molto importante. Non è possibile immaginare che colui che è stato in passato il leader operaio e sindacale più importante nella storia della classe operaia del XX secolo in Brasile, non sia consapevole che questo progetto è al servizio delle imprese. I riders, con lucidità, hanno dato un segnale contrario e io ne do un altro qui.
Forza per i riders, perché quando verrà loro imposta questa truffa, dovranno rifiutare. I riders hanno mostrato maggiore agilità nelle forme di lotta rispetto agli autisti, per diverse ragioni che non ho tempo di discutere qui.
Pertanto, il progetto non è quello che era possibile, perché questo progetto è peggiore di quello di Tabata Amaral [deputata federale del Partito Socialista, ndt] e di quel senatore a cui piace davvero sostenere un governo autocratico e fascista, che per poco ha mancato il colpo di stato, come sappiamo ora. Questo progetto è inaccettabile, e a questo punto è necessario e imperativo andare verso il riconoscimento del rapporto di subordinazione, del salario e il pieno riconoscimento dei diritti del lavoro, preservando la flessibilità dell’orario di lavoro che caratterizza questa attività. Ma flessibilità con diritti!
Pensando agli autisti e ai riders, quando viene chiesto se vogliono il CLT, la maggioranza dice di no; se viene chiesto se vogliono un sindacato, la maggior parte dice di no. Ora, se chiedi loro se vogliono il riposo settimanale retribuito, dicono di sì. La stessa cosa quando viene chiesto loro se vorrebbero avere un mese di ferie pagate, la tredicesima e le condizioni per godere della pensione, rispondono di sì. Era questo ciò che si poteva fare.
Il CLT già consente a molte categorie di avere orari di lavoro flessibili, ma non diritti flessibili. Questo sgorbio del governo Lula mantiene la precarietà totale delle condizioni di lavoro. L’autista o il rider possono lavorare fino a 12 ore? È una provocazione, dato che la settimana lavorativa in Brasile è di 44 ore, e in diversi settori è di 40 ore. Lavorare 12 ore o più è un altro vilipendio inaccettabile.
Secondo punto: la piattaforma ha il diritto di licenziare, sospendere o bloccare [il singolo lavoratore] purché lo giustifichi. Ma giustificare come? Il governo sa benissimo che nel mondo degli algoritmi i lavoratori non hanno un responsabile aziendale con cui parlare, non hanno uno spazio fisico di contatto. Viviamo nell’era degli algoritmi, dell’intelligenza artificiale, e i lavoratori non sanno come funziona l’app, chi la gestisce e chi la programma. Qualcuno conosce per caso un programma o un algoritmo di queste aziende che dica “Guida lentamente, segui tutte le regole del traffico, i tuoi tempi di consegna non conteranno, lavorando o no le stesse ore al giorno, riceverai lo stesso stipendio”? NO! È da videogame. Chi lavora duro e si ammazza di lavoro va avanti; chi non fa così, non continua. Perciò questo progetto è nefasto. È necessario superarlo, con un altro progetto.
E qui riporto un altro punto importante. Se il disegno di legge verrà presentato alla Camera e al Senato, verrà rielaborato e diventerà ancora più devastante. Se il governo avrà la minima coscienza storica della classe lavoratrice, ritirerà questo disegno di legge. Quello che Lula ha definito – aveva la testa da un’altra parte, magari al Corinthians (qui parlo da Corinthian) – il “progetto più importante” del mondo o qualcosa di simile, che coinvolge aziende/piattaforme e lavoratori ‘uberizzati’, è un’altra truffa. È peggio di tutti i progetti che sono stati creati o di cui si sta discutendo in Spagna, Inghilterra, Italia, Portogallo, Francia, Germania e Unione Europea.
La settimana scorsa il progetto dell’Unione Europea, ad esempio, ha riconosciuto un punto cruciale: sono dipendenti. Questa è la questione fondamentale.
IHU – Nel novembre 2020, in un’intervista con IHU, hai affermato che “l’espansione del lavoro ‘uberizzato’ ci porterà alla schiavitù”. Guardando in prospettiva lo scenario di quattro anni fa e quello di oggi, mantieni la tua affermazione? Per quali ragioni?
Ricardo Antunes – Ho già rilasciato molte interviste a IHU, è una rivista molto importante, sempre molto in sintonia con le questioni cruciali del Brasile e del mondo, una rivista che segue i temi del lavoro. Sicuramente ne ho fatto molte di interviste. Ma faccio una piccola aggiunta alla domanda. Nell’intervista dicevo: “l’espansione del lavoro ‘uberizzato’ ci porterà alla schiavitù digitale”, manca il “digitale”. Effettivamente così è scritto nel titolo, che è stato ben fatto da chi ha curato questo articolo.
Mantengo l’affermazione e la rendo più sottile: tutti questi lavoratori sono prigionieri di una macchina algoritmica, non hanno idea di come funzioni, così come non lo sappiamo nemmeno noi. Qualcuno qui ha mai visto un algoritmo? È come un orologio che può cambiare l’ora? No. L’algoritmo è un inferno nelle mani degli amministratori delegati, che sono i predatori.
Evidentemente gli amministratori delegati fanno parte della classe dirigente. Non sono i proprietari, ma gli agenti fondamentali che mantengono la gerarchia di controllo del lavoro sotto il capitale. In altre parole, il capitale prevale sul lavoro.
La schiavitù digitale è una caratteristica dei nostri tempi. Nessuno di questi conducenti può lavorare senza avere un obiettivo, mirando a ricevere un importo X alla fine della giornata. Ma per raggiungere l’obiettivo, non sa quanto riceverà. Quanto scontano le aziende? Il mondo algoritmico e digitale non mostra nemmeno quanto guadagnerebbero gli autisti e quanto verrebbe loro detratto.
Il nostro libro Icebergs à devira. O trabalho nas plataformas digitais (Boitempo, 2023) con una densa ricerca e la partecipazione di ricercatori nazionali e internazionali, così come il nostro precedente lavoro collettivo, che ha dato origine al libro Uberização, Trabalho digital e Indústria 4.0 (Boitempo, 2020), entrambi realizzati all’interno di un Progetto con il Ministero del Lavoro di Campinas e della regione (MPT-15), mostrano che questo comando macchinoso, digitale, informatico e algoritmico fa sì che il lavoratore non sappia nemmeno quanto riceverà. Conoscerà l’importo ricevuto quando arriverà il pagamento finale e non potrà chiedersi perché è x e non y. Questo perché il controllo più globale sulla società è quello del capitale finanziario, il più distruttivo di tutti. E gli artefatti digitali e informativi sono progettati, programmati e utilizzati per imporre sfruttamento, espropriazione e spoliazione del lavoro.
Lo sfruttamento è evidente: si lavora 12, 13 ore al giorno, se non di più. L’esproprio è la rimozione di tutti i diritti. E la spoliazione accade perché per entrare in queste aziende ci si indebita con il capitale finanziario, per pagare la rata della moto, dell’auto o della bicicletta, ecc.
E i lavoratori indebitati non discuteranno se le aziende concedono loro dei diritti oppure no; vogliono solo iniziare a lavorare e mettersi in gioco nella logica della ‘gamification’. È possibile iniziare a lavorare alle 6, alle 8 o alle 10, ma questa è l’unica “autonomia” che hanno, ma dovranno lavorare le ore necessarie per raggiungere l’obiettivo. E’ questo che ho chiamato “schiavitù digitale”.
Nel 2018, nel libro Il privilegio della servitù, quando ho coniato l’espressione, avevamo un numero minore di lavoratori delle piattaforme, riders, collaboratori domestici, insegnanti, medici, giornalisti, avvocati, operatori sanitari, elettricisti, ecc. Oggi abbiamo una massa di persone che lavorano tramite app e che sono prigioniere di questa schiavitù digitale.
IHU – Vuoi aggiungere qualcosa?
Ricardo Antunes – Vi ringrazio per l’intervista, per la cura nel preparare le domande e auguro lunga vita a questa pubblicazione dell’IHU che onora il dibattito serio e qualificato dell’umanità, in particolare della classe lavoratrice.