Riceviamo e pubblichiamo questo contributo dei compagni della redazione Il Pungolo Rosso, già disponibile sul loro sito (vedi qui):
L’1 ottobre 2024 il sindacato dei portuali americani, ILA (International Longshoremen Association), che organizza 35.000 portuali in 36 porti della costa orientale degli USA e del Golfo del Messico, alla scadenza del contratto di lavoro ha proclamato lo sciopero, dopo avere rifiutato il rialzo dell’offerta di aumento, dal 40% al 50% su sei anni, da parte delle compagnie portuali e di trasporto marittimo. ILA chiedeva un aumento del 77%, quantificato in 5 dollari in più all’ora ogni anno nei prossimi sei anni.
Dopo 3 giorni di sciopero, giovedì 3 ottobre l’ILA ha deciso il ritorno al lavoro sulla base di un’offerta di aumento del 62% su sei anni. Aumenti che nessun’altra categoria di lavoratori o grande azienda ha mai ottenuto negli ultimi decenni, negli USA o in altre metropoli, e che porta il salario base dalla già ragguardevole cifra di 39 dollari l’ora a 63 dollari l’ora. Questa indubbia vittoria sul terreno salariale induce ad alcune riflessioni sul movimento operaio americano, e in generale.
Si è trattato del primo sciopero totale indetto dall’ILA in quasi 50 anni (l’ultimo è stato nel 1977), nei quali ILA ha rinnovato i vari contratti collettivi ottenendo significativi aumenti senza l’uso dello sciopero. Anche per questo la chiamata allo sciopero ha provocando forti reazioni anche politiche perché bloccando il 60% delle merci importate via mare nel giro di poche settimane avrebbe fatto svuotare i negozi di gran parte dei beni di consumo, dall’abbigliamento agli elettrodomestici all’elettronica, ma anche automobili, macchinari e generi alimentari. I danni stimati per lo sciopero erano intorno a 4 miliardi di dollari ogni 24 ore. Per questo le compagnie portuali e di trasporto marittimo hanno fatto pressione sull’Amministrazione USA perché Biden esercitasse i poteri previsti della legge Taft-Hartley (introdotta nel 1947 proprio contro l’ILWU, il sindacato dei portuali della West Coast, “rivale” dell’ILA) e ordinasse la cessazione dello sciopero imponendo alle parti i termini di un accordo. Biden, che aveva cercato consensi facendosi fotografare a un picchetto dei lavoratori dell’auto, rischiava di far perdere voti alla candidata Kamala Harris sia se avesse esercitato questi poteri contro il sindacato (come aveva già fatto contro i ferrovieri), sia se non fosse intervenuto e il prolungamento dello sciopero avrebbe svuotato gli scaffali dei negozi e fatto lievitare i prezzi dei prodotti bloccati. Per questo è stata la stessa Amministrazione a premere sulle compagnie marittime perché aumentassero ulteriormente l’offerta al 62%, e Biden ha applaudito all’accordo affermando che “La contrattazione collettiva funziona ed è fondamentale per costruire un’economia più forte dal centro verso l’esterno e dal basso verso l’alto”.
Un picchetto dei portuali ILA con gazebo pro Trump
Il confronto con l’aumento del 32% su 6 anni ottenuto nel 2023 dall’ILWU, e del 25% ottenuto dai lavoratori dell’auto dopo il grande sciopero di 45 giorni nell’autunno scorso, sul piano economico è sicuramente a favore dei portuali della costa orientale, che hanno saputo approfittare di una congiuntura economica e politica favorevole, e non hanno esitato a entrare in sciopero sfidando le accuse di voler rovinare l’economia. Lo sciopero e l’accordo per la sua cessazione dopo tre giorni va tuttavia visto nei suoi aspetti contraddittori del tradunionismo americano, anche quando si presenta come combattivo e vincente. È un sindacalismo del sistema, non contro il sistema capitalistico, che esprime gli interessi di una aristocrazia operaia corporativa e sostenitrice della politica imperialista americana.
Il contratto scaduto ha portato la paga base a 39 dollari l’ora e un salario d’ingresso di 20 dollari l’ora (che sale a 39 dopo 6 anni di anzianità). Con l’aumento del 62% la paga base salirà fino a 63 dollari per ora lavorata nel 2029, e il salario d’ingresso a 32,40 dollari. Si tratta di livelli salariali che non solo sono un multiplo di quelli italiani, ma sono anche di parecchio superiori ai salari medi americani. Un meccanico della Boeing, ad esempio, guadagna la metà di un meccanico del settore portuale. A questa paga base si aggiungono le maggiorazioni per il lavoro notturno (+25% dalle 17 alle 8) e del 50% per week end e festivi (una giornata lavorata di sabato frutterà 750 dollari), oltre agli straordinari. Nell’area di New York-New Jersey anche le ore di reperibilità sono pagate come le ore di lavoro. In quest’area più di tre quarti dei portuali già guadagna più di 100 mila dollari l’anno e circa un terzo più di 200 mila. Con gli aumenti la maggioranza guadagnerà più di 200 mila dollari annui, oltre 16.000 dollari al mese. Indubbiamente un settore di aristocrazia operaia (i salari dei portuali della costa occidentale sono su livelli simili, con una paga oraria media di 52,85 dollari e retribuzione annua media di 233.000 dollari) anche se tra gli stessi lavoratori portuali ci sono ampie frange di precarietà, con lavoratori a chiamata con poche ore la settimana (per maturare un anno di anzianità occorre aver lavorato almeno 700 ore), e lavoratori non coperti dal contratto ILA, che ricevono salari molto inferiori, presenti soprattutto nei porti del Golfo.
La motivazione della richiesta ILA di un aumento del 77% su questi salari già alti è stata incentrata sugli alti profitti del settore (imprese portuali e di trasporto marittimo) in seguito all’aumento dei noli dal 2021 in poi: nel 2021 i maggiori carrier hanno realizzato 110 miliardi di dollari di profitti, tre volte la media decennale, e sono aumentati ancora negli ultimi anni (la Maersk da sola ha incamerato 9,8 miliardi di profitti nel 2023). “Faremo vedere a quegli avidi bastardi che non possono sopravvivere senza di noi … Noi facciamo i loro soldi e loro non vogliono condividerli con noi”, ha arringato i portuali in sciopero il 78enne presidente dell’ILA Harold Daggett. Quindi non i bisogni quotidiani, l’inflazione che ha decurtato i salari (del 20% circa), ma i profitti delle imprese, di cui i portuali vogliono una parte. Per questo riprendiamo il termine “aristocrazia operaia” coniato da Engels per descrivere settori della classe operaia britannica, e poi utilizzato da Lenin per descrivere la base sociale dell’imperialismo all’interno dello stesso movimento operaio: strati privilegiati di operai che godono di una quota (anche se solo le briciole) dei sovrapprofitti monopolistici dei grandi gruppi dell’imperialismo realizzati sullo sfruttamento dei proletari di tutto il mondo, e i loro dirigenti sindacali.
Harold Daggett parla a un picchetto di sciopero
Il presidente ILA Harold Daggett ha uno stipendio di 728,694 dollari cui aggiunge 173,040 dollari quale presidente emerito della sezione locale dei meccanici; suo figlio Dennis, dirigente in entrambi i sindacati, riceve emolumenti per 700,000 dollari. Anche senza considerare le possibili connessioni mafiose secondo il modello del “fronte del porto” per le quali Daggett è stato processato, e prosciolto (un coimputato è stato ucciso nel corso del processo), è chiaro che questi dirigenti sindacali hanno redditi, tenori di vita e mentalità borghesi. Non è un caso che nello sciopero l’ILA aveva garantito l’esenzione per i trasporti militari: una chiara professione di patriottismo imperialistico mentre gli USA stanno alimentando due sanguinose guerre con imponenti forniture d’armi all’Ucraina e a Israele. Da notare che le maggiori compagnie di navigazione, a partire dalla danese Maersk e la cinese Cosco, sono straniere, e quindi perfino l’attacco ai loro sovrapprofitti ha un’accentuazione patriottica. Anche per questo sia Donald Trump che Kamala Harris avevano espresso sostegno ai portuali.
L’altro obiettivo dichiarato dello sciopero, oltre al salario, era quello di bloccare l’introduzione di nuove tecnologie (automazione, AI) che sopprimono posti di lavoro. Nell’accordo che pone fine allo sciopero è previsto che questi aspetti saranno negoziati nei prossimi mesi. Non è una questione nuova per i portuali, che già dagli anni ’60 dovettero affrontare l’innovazione dell’introduzione dei container: i contratti stipulati dall’ILA istituirono delle “royalties” per “compensare” il drastico taglio occupazionale determinato dall’introduzione dei container (rispetto al tradizionale trasporto delle rinfuse, un articolo alla volta). Queste royalty, pari a un certo numero di dollari per ogni tonnellata trasportata via container, confluiscono in fondi utilizzati soprattutto per pensioni e assicurazione sanitaria. È tuttavia significativo che anche in questa tornata contrattuale l’ILA parli di un velleitario blocco delle innovazioni tecnologiche, e non ponga la rivendicazione della riduzione dell’orario di lavoro a parità di salario, unica rivendicazione che si può tradurre in una difesa dell’occupazione e in un contemporaneo miglioramento delle condizioni di vita con l’aumento del tempo libero a disposizione dei lavoratori.
Il sindacato americano dell’auto UAW aveva rivendicato la riduzione dell’orario di lavoro come modo per affrontare la transizione all’auto elettrica, che comporta una riduzione delle ore di lavoro necessarie per produrre un’automobile. Di fronte alla forte resistenza delle Big 3 ha poi rinunciato alla rivendicazione, in cambio di consistenti aumenti salariali, e su questo aspetto fondamentale si è trattato di una sconfitta della prima importante lotta per la riduzione dell’orario di lavoro dagli anni ’80. La rinuncia ad avanzare la richiesta da parte di ILA, e quindi la scelta di monetizzare l’ulteriore riduzione occupazionale è espressione di una impostazione corporativa, salarialista, e tutta interna al sistema della lotta sindacale pienamente compatibile, che non cerca di utilizzare la posizione favorevole di un settore come i portuali per delle conquiste che fungano da battistrada per tutto il movimento dei lavoratori.
Per questo, nonostante l’indubbio successo sul piano salariale, la lotta dei portuali della costa atlantica presenta a nostro parere più ombre che luci, per l’insieme del movimento operaio.