LAVORARE E NON MORIRE… DI CALDO
Campagna nazionale estate 2025
La questione delle alte temperature si incrocia con l’aumento generalizzato delle temperature, sia per le attività al chiuso che all’aperto.
L’ambiente non è un fattore naturale perché su salute e sicurezza incidono
fortemente le condizioni di lavoro e determinano conseguenze soggettive anche a seconda dello stato di salute delle persone (cosa di cui il datore di lavoro deve tener conto).
Attualmente le norme non fissano parametri “obbligatori” e qualora superati non scatta nessuna sanzione.
Tuttavia esistono linee guida e norme igieniche proposte da Istituzioni Pubbliche alle quali il datore di lavoro, nell’ambito della valutazione dei rischi complessivi, ovrebbero attenersi.
Linee guida alle quali gli stessi Organi di Vigilanza devono riferirsi per emanare disposizioni e controlli.
Le uniche soluzioni estemporanee emanate sono il ricorso alla Cassa Integrazione, strumento però gestito unilateralmente dal padrone.
Da parte nostra, sarebbe più adeguato rivendicare la riduzione dell’orario di
lavoro, ovviamente, a parità di salario.
Le ordinanze delle regioni ispirate al progetto Inail “Workclimate2.0” tentano di porre una barriera contro condizioni di lavoro bestiali ma stanno avendo effetti contraddittori e poco incidenti.
Per quanto riguarda l’ordinanza Emilia Romagna, il divieto 12.30 -16.00, fa riferimento, sulla base delle mappe di rischio “ondata di calore” del workclimate (https://www.worklimate.it/), ai lavori ad intensa attività fisica esposti al sole per i quali alle ore 12 della giornata in questione vi è la classificazione di rischio ALTO.
La questione caldo, mentre è percepita e subita da chi lavora, è di fatto gestita dai datori di lavoro, di qui la complessità dell’onere dimostrativo da parte degli Organi di Vigilanza che si attardano, peraltro, a districarsi nel ginepraio di norme controverse e contraddittorie anziché adoperarsi per far rispettare i limiti di riferimento
sulla temperatura proposti dall’ASHRAE e assumere come limite estremo non valicabile quelli proposti dall’OMS.
Oltre questi limiti le attività dovrebbero essere sospese.
È ben noto che le criticità legate all’escursioni termiche vengano meglio affrontate in aziende strutturate e trascurate lungo la catena degli appalti.
Le ragioni della progressiva incuria sono sempre e solo di natura economica e di produttività.
Anche in questo caso la pressione e compattezza dei lavoratori e delle
lavoratrici determina la qualità della vita lavorativa e in determinati casi della sopravvivenza.
In Italia le morti sul lavoro hanno una cadenza quotidiana, mediamente ogni giorno muoiono tre lavoratori.
Tra i tanti fattori di rischi ve ne uno potenzialmente mortale ma di fatto sottovalutato: le alte temperature.
Solo apparentemente si tratta di un rischio “naturale”, in realtà è un rischio strettamente connesso all’organizzazione del lavoro.
L’Onu ha affermato che 2,4 miliardi di persone nel mondo (il 70% della forza lavoro planetaria, al 90% concentrare in Africa e nei paesi arabi) lavora in condizioni di “caldo estremo” e che le elevate temperature esasperano le disuguaglianze sociali, come è avvenuto per il Covid.
Si ripropone la storica denuncia di Franco Basaglia sul “morire di classe” e quindi dobbiamo considerare il caldo eccessivo come uno dei tanti rischi professionali che incombono sui lavoratori e sulle lavoratrici, in particolare su chi è assegnato a
mansioni pesanti.
UN RISCHIO CHE COME TUTTI GLI ALTRI
DEVE ESSERE INCLUSO E VALUTATO NEL DVR AZIENDALE
E DISCUSSO CON I LAVORATORI DEL GRUPPO OPERAIO OMOGENEO
Con il caldo eccessivo i lavoratori e le lavoratrici rischiano effetti classificati come non letali (crampi, malessere e affaticamento) a quelli potenzialmente mortali (colpo di calore) (1).
Occorre mettere in campo una strategia di autodifesa della salute fondata sul “gruppo omogeneo”, in grado di attuare una consensuale valutazione dei rischi tra i lavoratori e i tecnici della salute.
Contestualmente il “padrone” e i suoi consulenti vanno allertati, avvisati ed informati in anticipo affinché siano chiare le loro responsabilità nell’attuare misure di prevenzione. Prevenzione che non riguardano solo disagio e malessere ma anche lesioni colpose e persino omicidi sul lavoro.
Il rischio “alte temperature” va gestito e prevenuto a partire dalle norme di legge generali a tutela della salute.
È indispensabile “arrivare il giorno prima e non il giorno dopo”, un principio questo, che è a fondamento dell’azione della Rete Nazionale Lavoro Sicuro fin dalla sua nascita.
Questo significa non ridursi ad affrontare il problema quando il caldo torrido è già scoppiato.
Occorre seguire un approccio sistemico che punti anche su interventi di bioedilizia per i lavori al chiuso e su altre procedure di prevenzione primaria per i lavori all’aperto.
Sul breve periodo poi il calendario del caldo torrido è abbastanza prevedibile e quindi l’organizzazione del lavoro deve strutturarsi per tempo a differenza di quanto accadde col Covis quanto mancavano persino le mascherine;
Dobbiamo avere la consapevolezza che, se non si invertiranno le dinamiche dei cambiamenti climatici, la situazione potrebbe peggiorare in avvenire.
Secondo i manuali classici della medicina del lavoro le attività lavorative debbono rientrare in un intervallo che va da un massimo accettabile di 32°C per lavori leggeri a un massimo di 26.5°C per lavoratori che eseguono lavori pesanti.
Se questi sono gli standard tradizionalmente accreditati, altre autorevoli fonti (Ashare) propongono standard di benessere termico che d’estate non devono superare i 23-26 gradi con Ur (umidità relativa) compresa tra il 30 e il 70%; a questi parametri bisogna aggiungere la velocità del vento (ottimale 0.15 metri al secondo).
Attenzione!
Un termometro/igrometro e un anemometro (velocità dell’aria) si comprano nei supermercati con pochi euro.
Si tratta di parametri suggeriti da autorevoli linee guida, ma non prevedendo sanzioni significative rimangono sulla carta.
Solo i lavoratori possono imporne l’osservanza.
Come ogni estate dobbiamo registrare episodi di criticità che sono la spia di una mancata o ritardata prevenzione.
Per arrivare prima e non dopo cerchiamo di fissare degli obbiettivi.
Obbiettivi che saranno più o meno conseguibili solo grazie alla forza e alla determinazione dei lavoratori e delle lavoratrici.
Durante la scorsa estate molti lavoratori ci segnalarono comportamenti alla Ponzio Pilato da parte dei servizi di vigilanza.
Questa incuria è da mettere e va ovviata con un rinnovato attivismo da parte degli Rls, dalle organizzazioni sindacali e dai lavoratori tutti.
Le Linee Guida elaborate dalla Regione Toscana, pur non esaustive, danno alcune indicazioni molto utili che riportiamo in allegato.
La scorsa estate vi furono numerose contestazioni in vari luoghi di lavoro in Italia, da nord a sud, con risultati parziali, ma farsi sentire è sempre buona cosa.
Occorrerebbe fare un quadro generale di queste azioni per comprendere cosa, con gli attuali rapporti di forza, si può riuscire concretamente a proporre e a ottenere.
Nel contempo, dove è possibile, situazione per situazione, vanno costruite piattaforme rivendicative.
In assenza di un nostro protagonismo prendono campo le “soluzioni” del padronato che perseguono sempre un loro tornaconto.
Per esempio, l’anticipazione del lavoro di una ora o peggio di più di una ora, lascia perplessi (vedi dati scientifici sull’impatto della cosiddetta “ora legale” sulla salute).
È preferibile la riduzione tout court dell’orario di lavoro, ovviamente a parità di salario.
L’anticipazione dell’orario praticata nientemeno che con obiettivi di “risparmio energetico” suscitò tempo fa l’approvazione della signora Von der Layen (evidentemente interessata a elevare la produttività del lavoro e non a difendere la salute dei lavoratori).
Tuttavia, è una misura che entra in conflitto con i consolidati ritmi fisiologici circadiani anche se apparentemente di lieve entità, che può indurre riduzione del sonno, incremento di incidenti stradali
e infarti.
I veri “paletti” che ragionevolmente si deve cercare di far osservare:
– Attuare misure di prevenzione “ il giorno prima” con interventi di bioedilizia sull’immobile sede di lavoro e sugli spazi circostanti;
– Ridurre l’orario di lavoro a parità di salario;
– Introdurre pause congrue (almeno 10 minuti ogni ora) che consentano riposi in aree con microclima accettabile/fresco e possibilità di fare la doccia (le dermatiti sono uno degli inconvenienti dell’eccesso di sudorazione);
– Facile disponibilità di acqua potabile in contenitori di vetro diffusi capillarmente nel luogo di lavoro e accessibili a tutti per consentire l’assunzione di almeno 0,75 l. di acqua all’ora;
– Disponibilità, in caso di notevole sudorazione, di sali per reintegrare le perdite (cha vanno comunque usati con cautela, previa responsabilizzazione del medico di base e del medico del lavoro);
– Fornitura di vestiti e ddppii bianchi/chiari;
– Formazione di tutti i lavoratori (almeno due ore) con la partecipazione di personale esperto in prevenzione, formazione dei preposti e degli addetti al primo soccorso (almeno due lavoratori presenti per turno);
– Mense aziendali in luoghi idonei e disponibilità di pasti adeguati alle alte temperatura (frutta abbondante, no grassi, no eccesso di zuccheri);
– BERE, CON ALTE TEMPERATURE, ANCHE PRIMA DI PERCEPIRE SENSO DI SETE (questa ed altre informazioni pratiche devono essere socializzate con la formazione di tutti i lavoratori);
– Monitoraggio preventivo, da parte del medico competente, delle condizioni individuali di vulnerabilità per patologie o per assunzione di farmaci particolari (la lista dei farmaci problematici è contenuta nel documento già citato della regione Toscana);
– Considerare le differenza di età, di genere e culturali (indicazioni ad hoc per chi rispetta per esempio il Ramadan);
– Organizzazione ergonomica del lavoro che sposti i lavori fisicamente più pesanti alle ore meno calde;
– Il lavoro in condizioni di superamento dei parametri della tabella allegata (E. Sartorelli) deve essere interrotto: un precedente “storico” è quello, per cantieri all’aperto in edilizia, che prevede l’interruzione del cantiere in caso di pioggia (ovviamente con copertura salariale quantomeno per un certo numero di giorni/anno);
– Quando la temperatura ambientale è superiore a 35°C siamo oltre l’accettabilità. In questo caso, cercare di “rimediare” con ventilatori è inefficace, occorre immettere aria fredda (con l’obiettivo di non
superare gli standards Oms citati;
– Il periodo da acclimatazione è di circa 14 giorni: il primo giorno di esposizione al caldo non si deve sopportare un carico di lavoro superiore al 20% per poi aumentare ogni giorno di ulteriore 20%
– PER I LAVORI ALL’APERTO: la situazione è più difficile. Oltre alle misure di prevenzione individuali (vestiti bianchi, cappelli a falde larghe, occhiali da sole, in alcuni casi creme protettive, scarpe antiinfortunistiche estive ecc.) la vera e concreta misura di prevenzione è la riduzione dell’orario senza penalizzazione salariale e vanno altresì evitate attività che causano ulteriori esposizioni
(saldatura, spargimento di bitume, lavori molto faticosi, ecc.);
– SOPRATTUTTO PER I LAVORI ALL’APERTO MA ANCHE IN GENERALE: EVITARE ASSOLUTAMENTE IL LAVORO ISOLATO.
(1) I danni da eccesso di caldo non sono solo acuti ma anche, meno appariscenti, cronici soprattutto per i reni, l’apparato cardiovascolare, gli occhi e la pelle.
Necessità di autodifesa ma anche di sinergie:
– Anche se l’esperienza fatta dai lavoratori è spesso negativa (nel senso che gli interlocutori istituzionali, informati e messi a conoscenza del disagio e del rischio, non si attivano) le condizioni inaccettabili vanno comunque sempre segnalate agli organi di vigilanza (Ausl e Ispettorato del lavoro).
– Anche se questi sono poco reattivi (questo molti lavoratori da più sedi riferiscono) vanno
sollecitati;
– Un soggetto da coinvolgere immediatamente è anche il medico “competente”; benché più correttamente questa figura debba essere definita e considerata “medico di fiducia del datore di lavoro” è un soggetto che deve essere coinvolto per ricordare al padrone il contenuto delle linee guida e delle norme ISO in materia (vedi norma Iso 7730).
Diffondiamo questa prima informativa ai lavoratori, non con la logica della comunicazione cosiddetta “dall’alto in basso”, ma come un primo stimolo alla discussione e alla preparazione di iniziative di autotutela e di lotta.
La programmazione di incontri, inchieste conoscitive, momenti assembleari che andremo a sviluppare, prima che esploda la calura estiva, devono essere centrati sui gruppi omogenei (lavoratori e lavoratrici che condividono le medesime condizioni di lavoro).
È in questi ambiti che potranno venire i veri contributi di idee e le soluzioni organizzative.
Si tratta di un primo segnale per costruire
“dal basso “una campagna diffusa e capillare
“PER NON MORIRE DI CALDO“
inserita in un percorso generale
di contrasto a tutti i rischi lavorativi
e PER LA DIFESA DELLA SALUTE
TABELLA OMS: superati questi limiti di riferimento il lavoro andrebbe sospeso!
Temperature da non superare
Tec soggetti non acclimatati – Tec soggetti acclimatati
Lavoro
Leggero 30°C – 32°C
Medio 28.5°C – 30°C
Pesante 26.5°C – 28.5°C
Rete Nazionale Lavoro Sicuro
S.I.COBAS NAZIONALE