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[INTERNAZIONALISMO] Lettera aperta al sindacalismo di base: verso un vero sciopero generale nazionale il prossimo autunno

Lettera aperta al sindacalismo di base

Cari compagni, gli accadimenti politici e sindacali degli ultimi mesi hanno ulteriormente confermato le riflessioni da noi svolte in occasione delle ultime mobilitazioni unitarie, e cioè che in assenza di una mobilitazione di classe su larga scala, la crisi capitalistica tende inevitabilmente a sfociare verso esiti autoritari e reazionari.

Il forte consolidamento, sia elettorale che di radicamento sociale, della Lega di Salvini è la riprova chiara ed esplicita di come la guerra scatenata contro i lavoratori da parte della borghesia e le politiche di austerity compiute dai governi italiani ed europei negli ultimi vent’anni hanno aperto la strada a una politica di ulteriore accentuazione di lacrime e sangue nei confronti della classe proletaria.

Una guerra che è sapientemente indotta attraverso il veleno del sovranismo e del razzismo, e tutta funzionale a celare la vera natura della crisi e ad assolverne i veri responsabili, additando (in maniera infame e meschina) i proletari immigrati come la causa del peggioramento generale delle condizioni di vita e di lavoro.

I decreti sicurezza 1 e 2 (quest’ultimo di recentissima approvazione) sono il riflesso fedele di questa tendenza: una vera e propria dichiarazione di guerra non solo contro gli immigrati, ma più in generale contro tutti i lavoratori e ad ogni forma di dissenso e di opposizione sociale.

Gli effetti tangibili di questi provvedimenti sono già sotto gli occhi di tutti noi: repressione, arresti, Daspo, montature giudiziarie e misure restrittive di ogni tipo colpiscono quotidianamente non i criminali o i mafiosi, bensì chi rivendica i propri diritti con la lotta e con gli scioperi.

Al di la delle strumentalizzazioni a fini mediatici del dramma dei barconi e degli sbarchi a Lampedusa (che, Sea Watch a parte, continuano in maniera silenziosa e quotidiana per soddisfare la fame di nuovi schiavi clandestini dei padroni nostrani), Salvini e i suoi compari sanno bene che in realtà gli immigrati presenti nel nostro paese non solo lavorano e producono ricchezza, ma sono una parte di essi in prima fila nelle lotte per i diritti e per migliori condizioni salariali e contrattuali.

Ed è innanzitutto contro questi ultimi che sono indirizzate le nuove  misure repressive. 

E’ quindi evidente che dietro lo specchietto per le allodole della “sicurezza” e del presunto “contrasto all’immigrazione clandestina” si nasconde un attacco generalizzato al diritto di protesta, e in primo luogo al diritto di sciopero, e che ha come suo bersaglio principale proprio quella parte del sindacalismo di base che in questi anni ha continuato a praticare il conflitto sui luoghi di lavoro e non ha accettato di farsi “normalizzare” in nome di qualche interesse di bottega…

Per questi motivi riteniamo essenziale il rilancio di una battaglia ferma e decisa contro i tentativi in atto di cancellare “manu militari” l’esercizio reale del diritto di sciopero, e dunque di completare quell’opera di svuotamento di questo elementare strumento di lotta sindacale già ampiamente portato avanti dai governi precedenti a partire dalla legge 146/90.

Siamo ben consapevoli che sul fronte sindacale troveremo ben pochi alleati in questa battaglia: Cgil-Cisl-Uil, organismi integrati nello stato borghese, manco a dirlo, hanno chiarito la loro posizione come meglio non avrebbero potuto con le proposta formulata di Barbagallo all’indomani dello sciopero dei metalmeccanici del 14 giugno (e che nessuno, tantomeno Landini, ha smentito) di introdurre lo “sciopero virtuale” al posto di quello reale, precisando altresì che tale strumento servirebbe da una parte a non penalizzare troppo l'”economia” (cioè i padroni loro amici), dall’altro a mettere all’angolo le “sigle poco rappresentative”.

Queste parole sono a nostro avviso il sintomo di un notevole nervosismo da parte dei vertici confederali nei nostri confronti, e la spia della grave crisi di consenso con cui questi ultimi sono costretti da anni a fare i conti: una crisi che pur non traducendosi automaticamente in un allargamento a macchia d’olio del sindacalismo di base, mette a nudo le difficoltà di tenuta degli apparati di Cgil-Cisl-Uil, peraltro in un contesto economico dove la borghesia poteva elargire briciole dei propri sovraprofitti imperialistici e che li vede sempre più privati della classica sponda politica del “governo amico”.

D’altra parte, l’anno di governo gialloverde appena trascorso ha smascherato anche chi come la Usb è impegnata a ritagliarsi una fetta di potere al fianco e/o in concorrenza coi confederali: il corteggiamento ossessivo ai 5 stelle e ai suoi ministri, sfociato tra l’altro nella vergognosa firma dell’accordo con Ilva-Mittal su Taranto (per non parlare del ruolo provocatorio e questurino svolto da questa sigla nelle lotte della logistica), traccia oramai un solco  tra Usb e il restante panorama del sindacalismo di base.

Ciò tanto più in un quadro in cui la spinta “populista” dei 5 stelle va progressivamente esaurendosi per far spazio a una nuova stagione di tagli e di austerità: mentre il reddito di Cittadinanza di Di Maio, che doveva servire ad “abolire la povertà” si è di fatto tradotto per molti disoccupati in un misero obolo di Stato (trasformandosi così in un boomerang per i 5 stelle alle ultime elezioni europee), il governo sempre più a trazione leghista prepara una vera e propria mazzata per tutto il lavoro dipendente con la flat tax e con una pesantissima scure sui salari e sulla spesa sociale, a partire dai miliardi di tagli a una sanità pubblica già fortemente in ginocchio.

La stessa ipotesi di introdurre un “salario minimo” per legge così come ventilata da Di Maio, in assenza di un forte movimento sindacale che la significhi su un piano di una reale condizione di parificazione dei salari minimi dei lavoratori europei e di una vera combattività sui luoghi di lavoro  più che tutelare i precari e combattere i contratti-pirata rischia di avere l’effetto di spingere l’insieme dei salari a un livellamento verso il minimo di legge. 

Allo stato attuale,  assistiamo a migliaia e migliaia di nuovi salari negati a causa delle crisi, delle chiusure e delle delocalizzazioni di interi impianti o comparti produttivi: solo al Ministero del Lavoro sono aperti più di 150 “tavoli di crisi”, e sono almeno altrettanti i licenziamenti di massa in aziende e in cooperative che non possono neanche accedere ai tavoli istituzionali poichè non coperte dagli ammortizzatori sociali, e a questi lavoratori Cgil-Cisl-Uil non riescono a dare altra risposta che qualche inutile passeggiata per le vie dei centri storici o sotto la sede istituzionale di turno…

D’altra parte, le tensioni in atto tra governo e sindacati confederali rappresentano a nostro avviso un’occasione per l’insieme delle nostre organizzazioni per sviluppare un’iniziativa di recupero salariare, una riduzione generalizzata dell’orario di lavoro, un salario medio garantito ai disoccupati, per rimettere in discussione il famigerato Testo Unico sulla Rappresentanza e per riaprire il dibattito sulla democrazia sindacale e sulla reale rappresentatività sui luoghi di lavoro.

Per tutti questi motivi riteniamo fondamentale aprire un confronto tra di noi, qui ed ora, finalizzato alla costruzione di un vero sciopero generale nazionale per il prossimo autunno, che sappia altresì lavorare seriamente alla costruzione di una rete di collegamento del sindacalismo conflittuale a livello quantomeno continentale, a coinvolgere i disoccupati, gli studenti e le forze sociali di opposizione al fine di arrivare nel più breve tempo possibile ad indire uno sciopero generale europeo contro le politiche antioperaie e razziste dell’UE e dei suoi governi, siano essi “europeisti” o “sovranisti”.

Proponiamo di tenere una prima riunione tra l’8 ed il 15 luglio 2019 a Milano.

SI Cobas nazionale