Ieri mattina i licenziati e i cassintegrati Fiat di Pomigliano, insieme al SI-Cobas e a gruppi di solidali accorsi sia dalla Campania che erano fuori alla Sata di Melfi pronti ad accogliere l’arrivo del premier Renzi in maniera analoga a come da mesi accade in gran parte delle città italiane.
Nel tempio dello sfruttamento Fiat, dove migliaia di operai vengono spremuti come limoni a ritmi insostenibili e poi buttati in cassa integrazione appena la curva dei ricavi fiat da il minimo segno di flessione, Marchionne e Renzi sbandierano ai quattro venti il nuovo piano di assunzioni nascondendo la verità di ciò che accade in Sata: solo questa settimana quasi cento precari ingaggiati attraverso le agenzie di lavoro interinale sono stati costretti a gettare la spugna, sfiancati nel giro di pochi giorni dai carichi di lavoro infernali imposti all’intermno della fabbrica.
Intanto, nelle stesse ore, si è celebrata in pompa magna la farsa del rinnovo delle rappresentanze sindacali, che per la prima volta vedevano escluse in partenza tutte le sigle contrarie al Piano Marchionne in modo da consentire ai sindacati collusi col padrone (FIM, Uilm, Ugl e Fismic) di fare da asso pigliatutto!
Ma anche ieri Renzi ha dato forfait: evidentemente questo signore aveva compreso che a Melfi non era prevista una passerella trionfale, bensì una sonora contestazione da parte dei 5 licenziati del comitato di lotta Fiat di Pomigliano che a distanza di sette mesi e in barba ai “tempi certi e veloci” promessi dalla Riforma Fornero, ancora attendono giustizia sul ricorso per il reintegro in fabbrica.
Ma la protesta fuori ai cancelli Sata, “colorata” nelle forme ma radicale nei contenuti, non si è limitata a denunciare la vicenda dei licenziati, bensì a lanciare un appello agli operai affinchè questi ultimi non abbocchino all’ennesimo tranello teso dal padrone: i rotoli di carta igienica distribuiti ai cancelli insieme ai tradizionali volantini, simboleggiano qual’è il reale valore delle promesse che da anni padroni e governo fanno agli operai, in ultimo il Jobs Act, che non è altro che la generalizzazione a tutta la società dello schiavismo nei luoghi di lavoro introdotto col Piano-Marchionne.
Dopo anni di attacchi e di smantellamento dei più elementari diritti operai, ivi incluso quello di sciopero e di rappresentanza sindacale, lavorare a Melfi oggi sempre più simile che lavorare in un lager nazista!
Mentre l’azienda fissando il limite di età a 30 anni cerca di assicurarsi una massiccia iniezione di manodopera ricattabile e da poter spremere fino all’osso, a gran parte dei cassintegrati e dei precari viene negato il rientro in fabbrica (compresi quelli di Melfi, come dimostra la lettera di un’operaia circolata in questi giorni), poichè evidentemente ritenuti scomodi o già logori, quindi da buttare!
A farne le spese negli ultimi mesi sono stati anche gli operai iscritti con la Fiom, eslusi dal rinnovo delle RSA e oggetto di una serie interminabile di ricatti, provvedimenti disciplinari e intimidazioni da parte dell’azienda: una vera e propria “legge del contrappasso” per questa organizzazione sindacale che fino a pochi mesi fa firmava ovunque accordi al ribasso e invitava al “senso di responsabilità”, e che ora si trova nel mirino dei padroni e del governo divienendo oggetto di una campagna di criminalizzazione e di isolamento analoga a quelle che per anni hanno colpito il sindacalismo di base che la Fiom stessa definiva “estremista” e “irresponsabile”.
La crisi della Fiom, resa evidente anche dalla scarsa riuscita dello scioperetto di oggi contro il “sabato lavorativo”, è la conseguenza diretta dei doppiogiochismi e dell’opportunismo manovriero dei suoi vertici.
Da anni la Fiat ha fatto capire che non è più il tempo dei compromessi e della concertazione, e mentre i sindacati confederali hanno abbandonato da decenni il terreno della lotta di classe, oggi la lotta di classe la fanno quotidianamente i padroni contro gli operai.
Ciò è evidente a tutti, tranne che ai Landini e ai De Palma, che a dispetto delle roboanti dichiarazioni a mezzo stampa, in questi mesi hanno come unica preoccupazione quella di tenere a freno la combattività degli operai Fiom e bloccare ogni ipotesi di sciopero che faccia davvero male alla Fiat.
Oggi a Mefli come a Pomigliano la paura e la rassegnazione dominano in tutti gli stabilimenti. Ma proprio a Melfi, solo 10 anni fa, gli operai con 21 giorni di sciopero hanno dimostrato al padrone e a loro stessi che la lotta è l’unica strada per conquistarsi il diritto a vivere e non solo a sopravvivere come delle bestie da soma.
E’ quello che in queti mesi, in tutta Italia, stanno facendo migliaia di operai della logistica, che dopo aver smascherato il ruolo nefasto, mafioso e caporalescho del sistema delle cooperative, hanno voltato le spalle a Cgil-Cisl-Uil e con la lotta si sono riconquistati la loro dignità di classe.
Non sappiamo quando, ma è certo che tra non molto anche a Melfi e Pomigliano la dignità e l’orgoglio di classe avranno la meglio sulla paura e sul ricatto dei licenziamenti e della miseria.
Come è accaduto nelle logistica, in quel momento il SI-Cobas sarà al proprio posto di combattimento, ma già da ora invitiamo tutti i lavoratori combattivi e i licenziati del gruppo Fiat ad unire le forze contro il nemico comune.
Al fianco dei 5 licenziati di Pomigliano
Solo la lotta paga
14/2/2015
SI-Cobas di Napoli e Caserta