CampaniaCobasdisoccupatiLogistica

[CONTRIBUTO] Stato e padroni combattono una guerra da decenni, ma ora siamo scesi in campo noi. Con Adil nel cuore

STATO E PADRONI COMBATTONO UNA GUERRA DA DECENNI
MA ORA SIAMO SCESI IN CAMPO NOI.

CON ADIL NEL CUORE.

L’omicidio di Adil Belakhdim è la fotografia più dura di uno scenario che si dipana in Italia e in tutto il mondo da anni. C’è una guerra in corso e, anche se i suoi attori si mescolano, si uniscono e si scontrano secondo gli interessi del momento, i campi avversi sono chiari: da un lato i padroni e i governi, dall’altro la classe lavoratrice e tutti/e gli/le sfruttati/e. Sembra banale affermarlo, ma non lo è: per decenni tesi e riflessioni differenti hanno costruito lenti che distorcevano profondamente la realtà. Questa è una guerra che, sia ben chiaro, è combattuta duramente dai lavoratori: dalle crisi economiche fino a quelle sanitarie, la classe lavoratrice è stata sempre più schiacciata con una compressione dei propri diritti, dei salari, perdite di posti di lavoro, povertà e disoccupazione dilagante, la precarietà come cifra delle nostre esistenze. Tutto ciò è accompagnato da una repressione sempre più pesante e generalizzata. Lo scontro è spesso impari e, di fronte a esso, soprattutto i più giovani rischiano di sembrare inermi e accettare passivamente la vita che gli si prospetta.

Da tempo diciamo che ci sono degli importanti segnali di controtendenza. Quelli proveniente dal resto del mondo sono chiari ai più, data l’abitudine di tifare le rivolte altrui senza riuscire a garantire la stessa attenzione per le battaglie nostrane. Ma anche entro i confini nazionali ne esistono molteplici. Oggi è di fronte agli occhi di tutti e tutte noi che le lotte della logistica – e alcune esperienze che vi ruotano attorno e con esse si dialettizzano – sono la punta più avanzata dello scontro di classe, in una situazione in cui questo è insufficiente ma è vivo.

L’omicidio di Adil viene da lontano, dai giorni in cui Fedex – che si è posta all’avanguardia di un processo di ristrutturazione proprio nel campo logistico – ha deciso di chiudere l’hub di Piacenza all’indomani della firma di contratti vantaggiosi per i lavoratori. Da quelle settimane in poi, con gli arresti di Carlo e Arafat e le decine di provvedimenti amministrativi che hanno colpito i lavoratori di Padova, fino ad arrivare agli eventi di San Giuliano Milanese e di Tavazzano e alle cariche di Roma del 21 maggio, hanno avuto misura dello scontro in atto. Uno scontro voluto e cercato da Fedex, che ha iniziato a utilizzare lavoratori interinali e bodyguard per rompere la radicalità e la solidarietà operaia, e che ha costruito quel clima in cui è avvenuto l’assassinio di Adil.

Sono stati giorni confusi e turbolenti per tutti coloro che conoscevano Adil e che hanno condiviso battaglie insieme. Il blocco totale della logistica, che per la prima volta non ha visto il Si Cobas isolato ma insieme ad altre realtà del sindacalismo di base, è passato sotto traccia di fronte alla tragedia. Eppure lo sciopero della logistica ha realmente bloccato tutto il paese. La manifestazione di sabato 19 giugno è stata un momento di raccolta e di ricongiungimento di fronte a quanto accaduto, ma è stata anche la miglior dimostrazione che la rabbia proletaria nata dall’aggressione padronale è più viva che mai. Le immagini delle ffoo che arretrano di fronte alla determinazione della piazza, in un evento raro – in particolare nella capitale – sono la miglior fotografia di una reazione per niente scontata avuta dal movimento di classe di questo paese.

Una reazione è necessaria perché – al netto di quanto dicono giornalai e parolai riguardo la morte di Adil, che si limitano a descrivere la condizione dei lavoratori della logistica e il trattamento riservato ai picchetti ed esprimono cordoglio e solidarietà soprattutto a parole ma senza avere capacità (o forse volontà) di sostenere realmente lo scontro supportando gli scioperi e le piazze – se vogliamo che eventi come questo non si ripetano dobbiamo rafforzare la nostra forza e l’autodifesa operaia e militante. Questa autodifesa si sviluppa attraverso dimostrazioni collettive di forza come quella di Roma oppure dimostrando l’immediata disponibilità, come fatto già di fronte a tanti magazzini, dei lavoratori a tornare a bloccarne gli ingressi e scioperare.

La situazione è delicata: l’arrivo dello sblocco dei licenziamenti ha posto su un piano conflittuale anche altri soggetti del sindacalismo e alcune realtà politiche hanno accennato a un ritorno sul piano della conflittualità di piazza. Non ci si può limitare né agli slogan, né a dei generici accenni all’unità delle piazze e delle lotte: bisogna dotarsi di quegli strumenti che rendano questa unità effettiva e che aumentino la forza di chi sta lottando oggi in prima linea.

La convocazione di un forte sciopero generale non è una chimera, ma una necessità storica non solo per rompere i piani di ristrutturazione pacifica del padronato. C’è la possibilità che, di fronte all’inasprirsi costante dello scontro, si possa battere un colpo anche dal nostro campo. Abbandonare i particolarismi è un’affermazione così ovvia che – oggi – appare davvero scontata: mettersi al servizio di un’opzione radicale e di classe è l’obiettivo delle prossime settimane e dei prossimi mesi.

Attorno a questa prospettiva non possiamo e non dobbiamo dimenticare che, senza un punto di riferimento chiaro, classista, radicale e fuori dagli opportunismi di ogni genere, questa sia l’unica strada per sostenere attivamente questo conflitto e per farlo uscire dalle segmentazioni settoriali in cui è stato recluso dal silenzio dei media e della società civile. Questa è l’unica strada che può portare lo scontro dai magazzini e dalle piazze a irrompere in ogni luogo di lavoro e in ogni singolo territorio, dalle scuole fino alle università. Lo dobbiamo a chi lotta ogni giorno, mettendo a rischio, anche la propria vita. Lo dobbiamo ad Adil e alle sue battaglie. Adesso tocca a noi.

Laboratorio Politico Iskra