CobasInternazionale

[BRASILE] La lotta delle lavoratrici LG in oputsourcing da una lezione ai sindacati. Lettera dei lavoratori esternalizzati ai lavoratori diretti

Riceviamo e pubblichiamo dal Comito 23 settembre questo contributo, già disponibile sulla loro pagina (vedi qui):

LA LOTTA DELLE LAVORATRICI BRASILIANE IN OUTSOURCING
DA’ UNA LEZIONE AI SINDACATI

L’industria sudcoreana di apparecchi elettronici ed elettrodomestici LG ha a Taubaté (SP) un sito produttivo dove lavorano 830 operai, per la maggior parte donne.

Il 5 aprile scorso LG annuncia che chiuderà alla fine di luglio la produzione di cellulari in tutto il mondo.

Non perché l’azienda sia in crisi, ma per una ristrutturazione interna ai fini di una
configurazione più profittevole, anche considerato il ruolo sempre più subalterno del Brasile nella divisione mondiale del lavoro.

L’azienda sta vivendo uno dei migliori momenti dalla crisi del 2008; con la pandemia in corso ha raggiunto nel 2020 un fatturato di 53,6 miliardi di dollari e un utile netto di 1,6 miliardi di dollari.

Uno studio dell’Istituto ILAESE (Istituto Latinoamericano di Studi Socioeconomici) ha dimostrato come un margine di profitto così ragguardevole si regga sull’elevato tasso di sfruttamento della forza-lavoro in outsourcing.

Il rapporto di esternalizzazione con tre aziende fornitrici si è rivelato inoltre fraudolento e LG è stata obbligata ad inquadrare le loro lavoratrici come sue dipendenti dirette.

Sun Tech a São José dos Campos, Blue Tech e 3C a Caçapava producono infatti cellulari esclusivamente per LG.

Vi lavorano 430 operai, quasi tutte donne, che il giorno seguente l’annuncio della chiusura sono entrate in sciopero.

Il presidente Bolsonaro in campagna elettorale aveva sostenuto che i lavoratori devono scegliere tra posto di lavoro e diritti.

Oggi i lavoratori brasiliani non hanno né diritti né posti di lavoro, e con la crisi sanitaria e la disoccupazione in continua crescita, è chiaro al proletariato che rimediare qualche altro lavoro risulta un’impresa impossibile.

Gli ‘scoraggiati’ (disoccupati che hanno desistito nel cercare lavoro) sono in continuo aumento: oggi raggiungono i 6 milioni di persone ma non vengono conteggiati nel calcolo ufficiale della disoccupazione, che risulta essere nel primo trimestre dell’anno di 14,8 milioni di lavoratori.

In tutto il paese si susseguono chiusure di aziende e licenziamenti di massa.

Basti ricordare la Ford, che a gennaio ha annunciato la chiusura di tutti gli stabilimenti in Brasile, lasciando sulla strada 5000 dipendenti diretti e almeno 15000 lavoratori dell’indotto.

E poi Embraer, un’eccellenza dell’aviazione brasiliana, terzo produttore mondiale di aerei civili, ma anche produttore di aerei militari e fornitore di servizi aeronautici, oggi in via di privatizzazione, ha licenziato l’anno scorso più di 2500 operai.

C’è da dire che in nessuno di questi due casi eclatanti, né tantomeno per il caso delle lavoratrici LG, il governo ha preso alcuna posizione.

Le operaie di Blue Tech, Sun Tech e 3C hanno bloccato la produzione per un mese, in piena pandemia, con presìdi giorno e notte, facendo i turni, per impedire che i macchinari e le attrezzature venissero prelevate.

Molte sono madri sole e portavano con sé i figli quando non sapevano a chi lasciarli.

Minacciate e ricattate dai loro superiori, non hanno mai abbandonato i picchetti, ma hanno anche bloccato strade, riempito piazze, manifestato sotto il consolato coreano, coinvolto le istituzioni a tutti i livelli, municipale, statale e federale.

E’ stata una lotta esemplare, la più importante in questo periodo di pandemia.

Pretendevano il mantenimento del loro posto di lavoro e gli stessi diritti dei dipendenti diretti, che successivamente in sede di trattativa si dovevano tradurre in un indennizzo dignitoso e di pari livello degli operai LG.

Le lavoratrici hanno goduto di un’ampia solidarietà: lavoratori metalmeccanici, dei trasporti urbani, delle poste, del settore petrolifero… ma anche sindacati ed esponenti politici della sinistra brasiliana (PSOL, PT, PSTU) e movimenti sociali (Movimento delle Donne in Lotta, Collettivo Pane e Rose…).

Ma ciò che più ha dato forza a questa lotta – e che infine ne ha rivelato anche il limite – è stato il tentativo e la determinazione a coinvolgere, al fine di costituire un unico fronte, anche i lavoratori diretti di LG, chiamandoli alla mobilitazione comune.

La lettera aperta a loro indirizzata (vedi appendice) travalica le appartenenze sindacali – le operaie delle tre aziende fornitrici sono affiliate al sindacato CPS-Conlutas, le lavoratrici e i lavoratori della LG appartengono alla CUT- è una chiamata alla lotta di classe autorganizzata, a dispetto delle appartenenze.

L’importanza di questa mobilitazione sta qui: in Brasile la classe lavoratrice subisce una frammentazione molto elevata, spesso ogni categoria è rappresentata da un sindacato differente e quando scattano le lotte, sono separate l’una dall’altra.

Se l’obbiettivo strategico perseguito dalle operaie esternalizzate alla fine non è stato raggiunto, non è stato per i limiti della mobilitazione operaia né della sua prospettiva di lotta.

La CUT vi si è opposta, non voleva nemmeno lo sciopero ed ha fatto di tutto per mantenere i due fronti separati, arrivando a minacciare che, se uniti, la “torta” degli indennizzi si sarebbe dovuta spartire in troppe fette.

CUT ha proclamato lo sciopero dei lavoratori LG solo 20 giorni dopo l’inizio del blocco delle operaie esternalizzate e solo dopo che i lavoratori avevano rifiutato una proposta di indennizzo negoziata con l’impresa.

D’altro canto CSP-Conlutas non ha approfittato della forza che ha nella regione e si è limitata a lanciare un invito all’unità ai vertici sindacali, non intraprendendo una campagna politica a tutto campo, sui social, sui media, rivolta ai lavoratori LG.

Una voce interna a CSP-Conlutas e critica con la direzione maggioritaria diretta dal PSTU, ha denunciato il basso profilo del sindacato in questa circostanza, sostenendo che non è possibile limitarsi a gestire il proprio sindacato, ad aver ‘cura del proprio cortile’ quando tutta la classe lavoratrice è colpita da continui attacchi e licenziamenti.

E’ colpevolmente insufficiente il gesto di chiamare all’unità e interpellare la CUT per chiedere che si uniscano le lotte.

Il caso della LG poteva diventare un esempio e uno scandalo nazionale se CSP-Conlutas avesse forzato i limiti del sindacalismo brasiliano per intraprendere la strada dell’autorganizzazione operaia, di un sindacalismo combattente politico, che elevi la battaglia locale a livello nazionale ed internazionale, poiché gli attacchi alla classe lavoratrice non sono mai isolati ma sistemici.

Con il peso di questo stallo e dopo un mese di sciopero, le operaie delle tre aziende decidono di sospendere la protesta, su proposta del Tribunale Regionale del Lavoro, in vista di una conciliazione tra sindacati, imprese fornitrici e LG.

Le lavoratrici non si accontentano del pagamento dei giorni di sciopero e di una buonuscita del 70% rispetto ai lavoratori LG, ma pretendono l’equiparazione di ogni diritto.

Lavoratori, sindacati ed imprese giungono infine ad un accordo che ha posto fine allo sciopero, in cui alle lavoratrici esternalizzate si garantisce un indennizzo pari al 90% di quanto pagato ai dipendenti LG, in funzione dell’anzianità di lavoro e del salario, la partecipazione agli utili di impresa e l’estensione del piano sanitario fino al 31 gennaio 2022.

LG negava non solo tutto questo alle lavoratrici Bluetech, Suntech e 3C, ma anche qualsiasi trattativa.

L’esito della lotta avrebbe potuto essere più favorevole se il Sindacato dei Metalmeccanici di Taubaté, affiliato alla CUT, avesse accettato di unificare le lotte e di seguire quella solidarietà di classe che stava maturando tra le file della base operaia.

Optò per mantenere divise le lotte e dare la priorità al negoziato con la controparte padronale, da cui scaturì il licenziamento di 70 lavoratori LG.

Le donne della Bluetech, Suntech e 3C saranno ricordate per aver condotto una lotta con grande generosità e determinazione, basata sulla più vasta solidarietà di classe, senza divisioni di sorta, una prospettiva dalla quale le centrali sindacali coinvolte erano, in diversa misura, lontane.

APPENDICE

Lettera dei lavoratori esternalizzati ai lavoratori diretti della LG

Lunedì 19 aprile LG ci ha diviso in 4 diverse fabbriche.

Eppure, siamo tutte donne lavoratrici.

Siamo guerriere, siamo capofamiglia, siamo quelle che portano il cibo in casa, siamo madri single.

Abbiamo lavorato per anni in questa azienda che ci ha strappato la pelle.

Abbiamo dato il nostro sangue, abbiamo tutte sofferto molestie e umiliazioni ogni giorno da parte dei capi e degli assurdi obiettivi che la LG impone.

Passiamo più tempo al lavoro che con le nostre famiglie per essere ricompensate in questo modo: con licenziamenti nel mezzo di una crisi pandemica e disoccupazione, solo perché la LG ha deciso che vuole ristrutturare la produzione per aumentare ancora di più i suoi profitti.

Siamo tutte nella stessa situazione, non importa in quale azienda ci troviamo.

Quindi non possiamo sciogliere le nostre mani. LG ci ha diviso in diverse fabbriche per pagarci meno diritti e salari più bassi, ma non può nascondere che facciamo parte della stessa linea di produzione.

Quando abbiamo fermato la produzione presso gli stabilimenti fornitori, la produzione in LG ha dovuto fermarsi.

Il nostro sciopero rafforza il vostro sciopero, perché la maggior parte della produzione di LG proviene da noi, fornitori esterni.

E il vostro sciopero rafforza il nostro, perché è l’LG che paga anche i nostri salari.

Se c’è solo un padrone, ci deve essere una sola lotta, non possiamo sciogliere le nostre mani.

LG sta facendo di tutto per dividerci ancora di più e ci sta ricattando.

La nostra mobilitazione unita ha costretto l’azienda a dire che negozierà diritti migliori per voi.

Ma per fare questo vi sta costringendo a tornare al lavoro.

Ma come è possibile negoziare con il padrone mentre si lavora?

Vi fidate delle loro promesse?

Credete che i negoziati sortiranno una vittoria per voi e non vi concederanno solo le briciole?

Disarmare ora rende difficile riarmarci in seguito, quando la trattativa si rivelerà non favorevole.

LG vuole che entriamo nella fabbrica e produciamo le ultime parti di cui ha bisogno, in modo da poterci poi scartare tutte a piacimento.

Non possiamo lasciarli vincere, dobbiamo continuare questo sciopero e unirci ancora di più e chiedere che negozino con noi, tutte insieme, mentre siamo ancora mobilitate, perché questo è l’unico modo per farci ascoltare!

Vogliono mettere lavoratore contro lavoratore, per vedere chi otterrà la parte più grande della “liquidazione”, che in realtà è un mucchio di briciole se vediamo quanto questa azienda ha guadagnato alle nostre spalle per tutto questo tempo.

E soprattutto se guardiamo allo scenario di enorme disoccupazione nel paese.

Useranno i tribunali contro di noi e noi dobbiamo costruire la più grande forza possibile per lottare per i nostri posti di lavoro e i nostri diritti attraverso un grande fronte unico di lavoratrici dirette e lavoratrici in outsourcing.

Se il padrone è uno per tutte, ci deve essere una sola lotta!

La nostra richiesta è: siate decise, e avanziamo mano nella mano.

Fonti: Esquerda Diário, aprile-giugno 2021