Per un contratto unico per tutta l’area sanitaria!
Premessa
Negli ultimi decenni l’attacco alle condizioni di vita e di lavoro degli operai, dei proletari e dei salariati si è palesato sia in forme dirette e brutali che attraverso modalità più subdole ed indirette.
Una di queste modalità è stata la moltiplicazione dei contratti e la soppressione di elementi normativi quali la scala mobile e l’anzianità di servizio, lo statuto dei lavoratori.
Le lotte degli anni ‘60 e ’70 furono condotte all’insegna di rivendicazioni egualitarie ed unificanti per tutti i lavoratori.
L’altro fondamentale portato, di quella stagione ricca di fermenti sociali, fu la valorizzazione dei Contratti Nazionali utili ad imporre un perimetro di difesa generale che a partire dalle posizioni operaie più attive e concentrate (quindi più forti) andasse a tutelare anche situazioni più deboli e periferiche proprio facendo
valere regole estese a tutto il territorio nazionale.
Le lotte, le conquiste economiche e sociali e un clima di diffusa solidarietà tra i lavoratori avevano eretto delle ideali cinte a difesa della cittadella operaia.
Negli ultimi due decenni con il defluire delle lotte è iniziato l’assedio padronale.
Sono stati presi di mira proprio i simboli e le conquiste di quegli anni: i contratti nazionali, gli aumenti egualitari, che sono il vero cemento per l’unità dei lavoratori, e i meccanismi di difesa automatica dei salari a fronte della crescita dell’inflazione e del costo della vita.
La scala mobile, l’anzianità di servizio ecc.
L’opera sistematica posta in essere da padronato, governo, forze politiche, e confederali è stata di privare strutturalmente i lavoratori di strumenti di difesa necessari per rispondere all’attacco.
Mentre un padronato concentrato, centralizzato, potente di mezzi e volontà di rivalsa attuava la restaurazione piegando i principi sanitari alle logiche di bilancio e di mercato nulla si è contrapposto sia da parte sindacale che degli stessi lavoratori.
L’aziendalismo, i contratti di secondo e terzo livello, la flessibilità, i contratti a tempo determinato, parasubordinati il lavoro interinale ecc sono stati come tanti coltelli che affondano nel burro.
Nel pubblico impiego e nella sanità in particolare, la aziendalizzazione oltre ad operare una revisione delle condizioni economiche e normative, si è tradotto in una mercificazione della salute e in uno svilimento etico della medicina.
Per Ippocrate il corpo era un santuario da non profanare, oggi il corpo e le sue malattie sono solo l’occasione per le incursioni del capitale.
La crisi pandemica ha messo in evidenza di quanto la medicina si sia allontanata dai suoi valori universali.
Nella società del capi tale non c’è spazio per la preservazione della salute e cioè di un’azione preventiva, a partire dal fondamento dell’igiene.
Ippocrate non a caso nel “giuramento” fa appello ad Apollo e a sua madre Igea (Igiene).
Ma mentre la medicina preventiva è un costo la cura delle malattie è un affare miliardario.
Più il capitalismo è sviluppato e monopolista più e polarizzato sul business ed ecco perché era più facile, nella prima ondata trovare ossigeno e mascherine nelle situazioni “arretrate” dove ancore persiste una medicina di prossimità, che non a New York o a Milano.
La medicina della prevenzione è necessariamente sociale, collettiva, comunitaria.
Perché medicina e prevenzione significa cura dell’ambiente, dell’acqua che beviamo, del’aria che respiriamo, salubrità degli ambienti di vita e di lavoro.
In definitiva sorveglianza e preservazione di un equilibrio organico con la natura che ci avvolge e di cui siamo parte integrante da attuarsi collettivamente e socialmente.
Negli ultimi 20 anni proprio nella sanità, in tutta la sanità: pubblica, privata e convenzionata, i tagli sono stati cinici e criminali.
Il bisturi si è accanito contro la medicina di base, la medicina per i poveri, la medicina che preserva la salute per fare delle patologie un mercato utile all’estrazione di profitti.
Nel PNRR, l’epidemia è solo una velina per lo storno degli aiuti. Nel piano è destinato al sistema sanitario appena l’8% del totale! Ma non sono previsti potenziamenti degli organici perché in antitesi con la logica del
libero mercato.
Invece il vero capitale su cui investire è il personale sanitario, in assenza di questo, la telemedicina, il potenziamento degli strumenti, delle tecnologie, delle infrastrutture, e della stessa medicina territoriale sono solo un occasione per un black friday ad uso dell’industria che lavora per la sanità e i servizi sociali.
La qualità delle cure si attua con un numero adeguato di operatori sanitari per paziente e non con la standardizzato e temporizzato degli atti assistenziali. I criteri della produzione industriale, che si vuole applicare alla sanità, sono la negazione di ogni principio assistenziale.
A partire dalla gravità dell’attacco ai lavoratori della sanità bisogna dare segnali di controtendenza alla (in)civiltà del capitale che vuole, esige, ed impone la divisione e l’ atomizzazione delle nostre esistenze.
Nell’analisi comparata delle diverse tipologie contrattuali, tutto sommato, se si colgono delle differenze importanti con le Cooperative Sociali. Lo stesso non si può dire per la sanità privata.
La vera disparità di trattamento va ricercata nelle maglie molto più larghe che permettono alle sigle contratti di secondo livello e/o aziendali, il peso dei contratti a tempo determinato e dei part time.
Su questo proliferare di contratti pesa la cornice di riferimento giuridico che mentre per la sanità pubblica rimanda ad una giurisprudenza che vede il lavoratore avvantaggiarsi di norme che tutelano il Pubblico Impiego per i privato il riferimento è la giurisprudenza privata.
Comunque, gli interventi del legislatore negli ultimi anni, con l’aziendalizzazione dei presidi sanitari molto è stato manomesso e adattato alle “regole” di mercato.
Basti ricordare che il dirigente pubblico ha tutte le prerogative proprie dell’imprenditore privato nell’organizzazione dei servizi e di questa scelte insindacabili alle OOSS è concessa la sola informazione.
Di qui la fatidica domanda, da parte dei lavoratori del SSN, alle soluzioni adottate: “ma lo possono fare?”
Questo modo di porsi, questa meraviglia dei lavoratori, che hanno delegato ai confederali la difesa dei propri diritti in una logica strumentale (bidirezionale) tesa a fruire dei servizi appaltati dallo Stato ai confederali e di favori e favorini come piccola contropartita all’iscrizione.
Quando si parla di tenuta dei Confederali tra il P.I. bisogna tenere presente questo mercanteggiamento,
Questa prassi consolidata molto racconta di quanto questi sindacati (di regime) non abbiano informato e formato i lavoratori.
La resa dei conti con il padronato pubblico, sempre più esigente, apre spazi di denuncia e di organizzazione per un sindacato di classe.
Pesano le illusioni di una categoria allevata sotto la cupola del welfare.
Di qui la difficoltà a riconoscersi come forza lavoro, presupposto per una vera azione sindacale.
Il limite di autocoscienza si palesa come un misto di altera professionalità, (pur nel ruolo ancillare che, l’organizzazione del lavoro pone subalterni a medici e direzioni), e vocazione umanitaria nell’aspettativa (vana) che lo stato debba sempre garantire a chi lavora i mezzi e il riconoscimento per conseguire fini sanitari.
Questa mancata coscienza del proprio ruolo nella sanità e nel contesto sociale sono dei freni per l’organizzazione di classe.
In conseguenza di questo milieu di atteggiamenti non deve meravigliare la crescita dei sindacati professionali, come Nursind e Nursing Up e dei Collegi che si pongono come associazioni professionali.
Guai a chiamare questi compagni (neanche compagni di lavoro va bene). Colleghi please!
Scorrendo le associazione padronali che aderiscono alle piattaforme private salta agli occhi la diffusa presenza di organizzazioni religiose che non disdegnano di accompagnare la missioni “apostolica” ad un ruolodirigente nella contrattazione della forza lavoro.
Un esempio su tutti: a capo dell’ARIS c’è come Presidente Padre Virginio Bebber.
I confederali da tempo denunciano il proliferare dei contratti pirata nell’ area sanitaria privata, fenomeno che va allargandosi a vista d’occhio.
Basta che un gruppo di realtà operanti nel settore “servizi alla persona” decidano di costituirsi come associazione imprenditoriale o Onlus per proporre un contratto nazionale a qualche sigla di comodo già operante o crearla ex novo.
Perché meravigliarsi se con sempre maggiore frequenza prendano il largo nuove corvette pirata?
Il fenomeno è solo una modalità altra ad una pratica già in uso da parte dei confederali, sempre flessibili alle esigenze del padronato, di qui la stesura di contratti differenziati dal pubblico e differenziati all’interno della stessa sanità privata.
Forse dovremmo definire questi contratti se non pirata almeno contratti filibustieri!
Fenomeno analogo si registra ogni qual volta si vuole disunire e ricattare i lavoratori.
Nel settore alimentare non si capisce (o meglio si capisce benissimo) la ragione del proliferare di contratti diversi: Contratto Industria Alimentare; Contratto Industria Alimentare Piccole e Medie Imprese; Contratto Industria Alimentare Cooperative.
Come se non bastasse, Cgil, Cisl e Uil introducono la clausola di diversificazione contrattuale, che permette alle aziende di avere molti contratti nello stesso impianto: Multi Servizi per chi fa pulizie, Logistica per la movimentazione delle merci, Alimentare per chi tocca i prodotti.
La lotta contro la frammentazione contrattuale è fondamentale e deve caratterizzante il nostro lavoro.
Un altro aspetto che meglio dovremmo quantificare è lo sventagliamento dei livelli nella sanità privata che si accompagna ad un minor rilievo di figure pienamente professionali sul piano sanitario.
La componente degli infermieri schierati sul fronte dell’assistenza si riduce al minimo tanto da poter dire che nell’assistenza agli anziani e fragili la presenza degli infermieri professionali, prevista per legge, si riduce ad “un infermiere ogni cinque piani”. Non è uno slogan che enfatizza la realtà.
E’ la realtà!
La stessa presenza del medico in queste realtà è puramente residuale ed in molte situazioni si riduce a consulenza esterna.
Ovviamente questa descrizione non si attaglia agli IRCS (Istituto di ricovero e cura a carattere scientifico).
Queste aziende ospedaliere si avvalgono di finanziamenti pubblici – 150 miliardi – e vedono la prevalenza di 30 istituti privati contro 21 pubblici.
Le eccellenze vantate dalla sanità privata sono come le vetrine del centro a fronte delle buie periferie ma al netto delle luci a misurare lo scadimento della qualità assistenziale è il rapporto operatori posti letto: 2,4 nel pubblico, 1,5 nel privato.
Se lo stesso criterio venisse applicato alla sanità lombarda si evincerebbe ancora di più il divario che intercorre tra preservazione della salute e cura delle malattie. Solo la seconda polarità persegue il sistema lombardo e su questo si vuole rimodellare il SSN.
Il PNRR avvalora questa deriva: non potenziano la spesa sanitaria pubblica e non attuano un piano di assunzioni straordinario necessario, necessario prima ancora che esplodesse la epidemia.
L’attenzione a conseguire profitti sul mercato della salute da come conseguenza una gestione manageriale che bypassa le figure sanitarie e va a toccare l’organizzazione dell’assistenza.
Nella realtà Emiliana a coordinare il piano di lavoro assistenziale troviamo figure estranee allo stesso profilo professionale.
In queste realtà dove prevalgono le ASP (aziende di servizio alle persone) i comuni hanno creato una rete pubblica che per meglio reggere alla concorrenza dei privati non fanno altro che rivendicare le facilitazioni che la legislazione accorda ai privati: nel trattamento fiscale (esenzione dall’IRAP) e copertura delle assenze per i dipendenti a carico dell’INPS, concessa ai privati ma negate alle strutture pubbliche.
In definitiva non si fa altro che inglobare dentro una cornice pubblica tutta la logica e le finalità della sanità privata.
Per questi lavoratori si applica (altra anomalia) il contratto degli Enti Locali.
Il terreno rivendicativo prioritario è quello della riduzione dell’orario di lavoro che investe tutto il mondo della sanità. L’adozione dell’orario ”europeo” sulla durata della giornata lavorativa ha prodotto dei cambiamenti e di fatto un arretramento delle condizioni di lavoro a partire proprio dai lavoratori del SSN.
E’ stata una cesura sostanziale e formale di portata storica.
La durata legale della giornata lavorativa sin qui (almeno in teoria) fissata per legge è stata soppiantata.
Al suo posto la durata viene determinata per sottrazione.
Si parte dalle 24 ore di cui si compone la giornata e si sottraggono le 11 ore di “riposo biologico” tra un turno e il successivo e le pause (ma non per i turnisti sulle 24 ore). In tal modo il datore di lavoro può estendere ladurata della giornata lavorativa per tutte le ore restanti.
Non è solo un enunciato ma una pratica diffusa mai chiarita e mai formalizzata tanto che alle 12 ore di lavoro notturne si alternano sempre più frequentemente 12 ore di lavoro diurno.
Questa turnazione nell’articolazione dei turni produce debito orario da colmare con i cosiddetti rientri.
Il dogma delle 11 ore di riposo biologico, fatto rispettare ossessivamente, come mai in passato, produce l’effetto opposto di una vera ristorazione psicofisica.
L’esito finale è l’allungamento della giornata lavorativa.
Con questo stratagemma si sono andate a coprire le carenze negli organici e guadagnare turni di lavoro senza procedere a nuove assunzioni.
Ovviamente con il nuovo limite posto alla giornata lavorativa molte ore lavorate
non sono più computate come straordinario.
L’introduzione della formula del lavoro multi periodale, tipico delle attività stagionali, è stato prontamente recepito dai contratti nei termini che l’orario settimanale può essere esteso da 36h a 44 o ridotto a 28 salvo poi ristabilire la media nei 6 mesi successivi per il SSN e fino a 8 mesi per le cooperative sociali.
E’ attraverso questo aggravio del tempo di lavoro si è scaricato sul personale l’emergenza covid -19. Continuano a farlo!
Se la situazione diverrà insostenibile e non si riuscirà a produrre una vera resistenza, tutto andrà a maggior gloria dei privati che decideranno di intervenire, come salvatori, ma solo nelle attività profittevoli lasciando al servizio pubblico, gradualmente ma inesorabilmente, solo le attività povere e residuali come i Pronti Soccorso, la psichiatria ecc.
La riduzione dell’orario di lavoro va declinato, anche come un maggior numero di pause per poter respirare a pieni polmoni e liberi dalle mascherine, che se sono un presidio indispensabile nel preservarsi dal covid-19 non sono l’optimum per una regolare attività respiratoria.
Anche i permessi remunerati vanno rivendicati perché alla attività frenetica del reparto non deve sommarsi quella per attendere ai compiti che derivano dalla caoticità della vita sociale, con i mille impegni legati alla popolazione che invecchia e alla cura dei bambini, in un contesto dove i servizi (asili, scuola, ecc) sono un lusso accessibile solo ai redditi medio alti.
La rivendicazione di forti aumenti salariali è un tutt’uno con la riduzione dell’orario di lavoro perché più ore da dedicare al tempo libero, senza la possibilità di mantenere un decente tenore di vita presente e futura (pensioni da fame), non è sostenibile.
La riduzione dell’orario di lavoro senza la rivalutazione degli stipendi sarebbe conciliabile solo con l’aspirazione ad una vita contemplativa.
La stessa poca reazione all’aggravio delle condizioni di lavoro messa in campo dal personale si spiega con una parziale accettazione – imposizione di più ore di fatica però compensate dal recupero economico offerto dalle ore extracontrattuali.
In conclusione tutta questa frammentazione contrattuale risponde solo alla logica del profitto e non c’è nessuna ragione ne di ordine sanitario ne sociale per tenere divisi i lavoratori della sanità; di qui la necessità di rivendicare il contratto unico per tutti gli operatori sanitari e socio sanitari.
Ogni separazione, ogni orgoglio professionale, fa il gioco del padronato che se si muove in ordine sparso e articolato è solo per cogliere tutte le possibilità di profitto.
S.I. Cobas