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[CONTRIBUTO] “Siamo sopra di qualsiasi legge e giudice”: furiosa reazione di Israele e Usa a decisione di Corte penale internazionale

Riceviamo e pubblichiamo questo contributo dai compagni della redazione Il Pungolo Rosso, già disponibile sul loro sito (vedi qui):

“Noi siamo al di sopra di qualsiasi legge e di qualunque giudice”: la furiosa reazione di Israele e Stati Uniti alla decisione della Corte penale internazionale (ita – eng)

Una decisione “scandalosa”, “oltraggiosa” (Biden). “Con quale sfacciataggine paragonate i mostri di Hamas ai soldati dell’IDF, l’esercito più morale del mondo?” (Netanyahu). Il paragone tra “Israele democratico e l’assassino Hamas è una completa distorsione della realtà”, “disgustosa” – è sempre lui. E ancora: è “una vergogna a livello globale”, “un crimine di proporzioni storiche” (Gantz, sta parlando della richiesta di Khan, eh, non del genocidio). È uno “scandalo equivalente all’attacco del 7 ottobre” (Katz, il ministro degli esteri), “una dimostrazione di ipocrisia e di odio verso gli ebrei che ricorda la propaganda nazista” (parole del fascistoide Smotrich, che sollecita Israele e gli amici di Israele a sciogliere la Corte penale internazionale). Negli Stati Uniti i senatori repubblicani, che già avevano intimato a Khan di non farlo, ora chiedono immediate sanzioni contro il procuratore e i suoi collaboratori, sanzioni già imposte nel 2018 da Trump perché il tribunale – da cui gli Stati Uniti non si sentono vincolati – aveva osato aprire un’inchiesta sui crimini di guerra yankee in Afghanistan. Reazioni tutte all’insegna del disprezzo e della pretesa di impunità assoluta, una impunità garantita da sempre a Tel Aviv da tutte le potenze imperialiste e solo denunciata, ma non osteggiata realmente, dagli Stati arabi (basti ricordare il vergognoso accordo di pace di Camp David con l’Egitto e gli “accordi di Abramo” in dirittura d’arrivo fino al 7 ottobre).

La furia incontrollabile con cui Israele e Stati Uniti hanno accolto la richiesta del procuratore della Corte penale internazionale Karim Khan di perseguire Netanyahu e Gallant per crimini di guerra e crimini contro l’umanità mostra che hanno accusato il colpo. Ed il colpo è indiscutibile, dal momento che finora la Corte non aveva fatto altro che sanzionare figure invise all’Occidente, operando spudoratamente a senso unico specie nel caso delle guerre in Jugoslavia. Senonché negli ultimi vent’anni il mondo è molto cambiato, i rapporti di forza tra gli stati si sono decisamente modificati a sfavore degli Stati Uniti e dell’Occidente in generale, e il genocidio di palestinesi in corso a Gaza per mano degli apparati sionisti ha suscitato un moto di indignazione e di protesta talmente ampio nel mondo che anche i culi di pietra di questa Corte ne hanno dovuto tenere conto, magari a malincuore – considerate che, ancora un volta, il pool dei loro consulenti era composto interamente da giuristi anglo-americani.

Ne ha tenuto conto a suo modo, però, accusando di crimini di guerra e crimini contro l’umanità tanto Netanyahu e Galant quanto Yahya Sinwar, Muhammad Al-Deif e Ismail Haniyeh – una decisione che mette a nudo il funzionamento del cosiddetto “diritto internazionale” di cui la Corte è rappresentante, seppur non del tutto legittimata dal momento che India e Cina non la riconoscono, e gli Stati Uniti e la Russia non hanno ratificato il trattato istitutivo. Di Israele è inutile neppure parlare: si ritiene essa stessa la fonte suprema del “diritto internazionale” coloniale,ed ora è in prima fila nel chiedere lo scioglimento della Corte.

La richiesta di Khan mette a nudo il funzionamento del “diritto internazionale”, dicevamo, perché da una parte non ha potuto chiudere gli occhi davanti all’enormità del genocidio in corso a Gaza (non ancora riconosciuto come tale, tuttavia). Dall’altra, con la “salomonica” richiesta di procedere sia contro Israele che contro Hamas, nega alla radice la natura del conflitto in corso, cioè il fatto che esso non è una guerra fra due Stati, ma la conseguenza dell’occupazione coloniale sionista contro il popolo palestinese, che dura da più di un secolo, da prima che lo stesso Stato di Israele vedesse la luce.

Il pacato comunicato di Hamas fa rilevare che:

  1. Si individuano soltanto due responsabili israeliani anziché l’intero governo e gli esponenti degli apparati coinvolti nei crimini;
  2. Le incriminazioni arrivano con sette mesi di ritardo, dopo che migliaia di crimini sono stati commessi ai danni dei Palestinesi;
  3. Chiede la revoca delle incriminazioni contro i capi palestinesi, perché violerebbero la legittimità giuridica della resistenza armata per i popoli sotto occupazione, come previsto dalla stessa carta dell’ONU.

Considerazioni che sono difficili da contestare, e di cui comprendiamo il senso per dir così diplomatico. Ma presuppongono comunque un ruolo super partes degli organi che si muovono nell’ambito quanto mai scivoloso e falso del diritto internazionale, da sempre ostaggio della legge del più forte e funzionale a legittimare il dominio delle grandi potenze, ammantando con una fraseologia ipocrita la cruda realtà dei rapporti di forza che si determinano sul mercato mondiale e nelle relazioni fra i diversi Stati capitalistici. Laddove vi è un riconoscimento formale di determinati “diritti”, sono diritti inesigibili per gli oppressi, destinati a rimanere sulla carta. Così è stato dal 1948 ad oggi laddove l’assemblea generale dell’ONU si è espressa, ad esempio, per il diritto al ritorno dei profughi palestinesi o ha condannato come illegale l’occupazione di Gaza e della Cisgiordania. Né si può dimenticare che la stessa ONU, nel 1947, adottò un piano di spartizione della Palestina che assegnava la maggioranza di quella regione ai sionisti, legittimando il colonialismo d’insediamento da cui ha avuto origine Israele.

Del resto, con la richiesta di incriminare anche i tre capi politici e militari di Hamas il procuratore Khan non fa che confermare la delegittimazione di Hamas voluta da tutte le grandi potenze (nessuna esclusa – il russo Lavrov e il suo omologo cinese gli hanno “consigliato” di riappacificarsi con l’ANP) e, indirettamente, per rilegittimare la corrotta cricca intorno ad Abu Mazen che, non a caso, è rimasta finora in silenzio.

Ben venga, dunque, il colpo assestato dalla Corte dell’Aja a Netanyahu-Gallant e ai loro protettori (tra questi, naturalmente, la squallida Italia del tandem Mattarella-Meloni), esito della resistenza palestinese e della solidarietà internazionale ad essa. Ma la lotta di liberazione nazionale e sociale delle masse oppresse della Palestina potrà svilupparsi e vincere solo a patto di rompere la gabbia dei rapporti interstatali nell’area, e di abbandonare le illusioni su una possibile funzione positiva degli organismi sovranazionali che amministrano il diritto internazionale come una clava in mano alla grandi potenze e ai loro vassalli – un duplice vincolo di cui Hamas è, per la sua natura sociale, prigioniera.

Intanto Israele risponde al colpo ricevuto intensificando gli attacchi a Gaza (più di 100 i palestinesi uccisi nelle ultime 24 ore) e in Cisgiordania, compiendo a Jenin l’ennesimo massacro, per ribadire di essere sempre e comunque al di sopra della legge e di qualsiasi giudice. Avanti così con il suprematismo sionista verso la rovina certa.


“We are above any law and any judge”:

the furious reaction of Israel and the United States

to the decision of the International Criminal Court

A “scandalous”, “outrageous” decision (Biden). “How brazenly do you compare the monsters of Hamas to the soldiers of the IDF, the most moral army in the world?” (Netanyahu). The comparison between “democratic Israel and the murderous Hamas is a complete distortion of reality”, “disgusting” – it’s always him. And again: it is “a global disgrace”, “a crime of historic proportions” (Gantz, he is talking about Khan’s request, eh, not genocide). It is a “scandal equivalent to the October 7 attack” (Katz, the foreign minister), “a demonstration of hypocrisy and hatred of Jews reminiscent of Nazi propaganda” (words of the fascistoid Smotrich, who urges Israel and Israel’s friends to dissolve the International Criminal Court). In the United States, Republican senators, who had already warned Khan not to do so, are now calling for immediate sanctions against the prosecutor and his associates; sanctions already imposed in 2018 by Trump because the tribunal – by which the United States does not feel bound – had dared to open an investigation into Yankee war crimes in Afghanistan. These reactions are all marked by contempt and the demand for absolute impunity, an impunity that has always been guaranteed to Tel Aviv by all the imperialist powers and only denounced, but not really opposed, by the Arab states (suffice it to recall the shameful Camp David peace agreement with Egypt and the “Abraham Accords” in the home stretch until October 7).

The uncontrollable fury with which Israel and the United States have received International Criminal Court Prosecutor Karim Khan’s request to prosecute Netanyahu and Gallant for war crimes and crimes against humanity shows that they have suffered the blow. And the blow is indisputable, since until now the Court had done nothing but sanction figures disliked by the West, operating shamelessly in a one-sided way, especially in the case of the wars in Yugoslavia. However, in the last twenty years the world has changed a lot, the balance of power between states has changed decisively to the detriment of the United States and the West in general, and the ongoing genocide of Palestinians in Gaza at the hands of the Zionist apparatus has aroused such widespread indignation and protest around the world that even the stone buttocks of this Court have had to take it into account, perhaps reluctantly – consider that, once again, the pool of their consultants was composed entirely of Anglo-American jurists.

It has taken this into account in its own way, however, accusing both Netanyahu and Gallant of war crimes and crimes against humanity as well as Yahya Sinwar, Muhammad Al-Deif and Ismail Haniyeh – a decision that lays bare the functioning of the so-called “international law” of which the Court is the representative, albeit not entirely legitimized since India and China do not recognize it, and the United States and Russia have not ratified the founding treaty. It is useless to even talk about Israel: it considers itself the supreme source of “international law” (colonialist, of course), and is now at the forefront of calling for the dissolution of the Court.

Khan’s request lays bare the workings of “international law”, we said, because on the one hand he could not close his eyes to the enormity of the genocide underway in Gaza (not yet recognized as such, however). On the other hand, with the “Solomonic” demand to proceed against both Israel and Hamas, he denies at the root the nature of the ongoing conflict, the fact that it is not a war between two states, but the consequence of the Zionist colonial occupation against the Palestinian people, which has lasted for more than a century, since before the State of Israel itself saw the light of day.

Hamas’ calm statement points out that:

a) Only two Israeli perpetrators are identified instead of the entire government and members of the apparatus involved in the crimes;

b) The indictments come seven months late, after thousands of crimes have been committed against Palestinians;

c) Calls for the lifting of the indictments against Palestinian leaders, because they would violate the legal legitimacy of armed resistance for peoples under occupation, as provided for in the UN Charter itself.

Considerations that are difficult to dispute, and whose meaning we understand, so to speak, diplomatic. But they still presuppose an impartial role of the organs that operate in the very slippery and false framework of international law, which has always been hostage to the law of the strongest and functional to legitimize the domination of the great powers, cloaking with a hypocritical phraseology the harsh reality of the relations of power that are determined on the world market and in the relations between different capitalist states. Where there is a formal recognition of certain “rights”, they are unenforceable rights for the oppressed, destined to remain on paper. This has been the case since 1948, when the UN General Assembly has spoken out, for example, in favour of the right of return of Palestinian refugees or condemned the occupation of Gaza and the West Bank as illegal. Nor can it be forgotten that the UN itself, in 1947, adopted a plan for the partition of Palestine that assigned the majority of that region to the Zionists, legitimizing the settler colonialism from which Israel originated.

Moreover, with the request to indict the three political and military leaders of Hamas, Prosecutor Khan only confirms the delegitimization of Hamas desired by all the great powers (none excluded – the Russian Lavrov and his Chinese counterpart have “advised” Hamas to make peace with the PA) and, indirectly, to re-legitimize the corrupt clique around Abu Mazen which, not surprisingly, has so far remained silent.

We welcome, therefore, the blow dealt by the Hague Court to Netanyahu-Gallant and their protectors (among them, of course, the squalid Italy of the Mattarella-Meloni tandem), considering it the result of Palestinian resistance and international solidarity with it. But the struggle for national and social liberation of the oppressed masses of Palestine can only develop and win if the cage of inter-state relations in the area is broken, and to abandon illusions about a possible positive function of supranational bodies that administer international law like a club in the hands of the great powers and their vassals – a double bond of which Hamas is, by its social nature, a prisoner.

Meanwhile, Israel responds to the blow received by intensifying attacks in Gaza (more than 100 Palestinians killed in the last 24 hours) and in the West Bank, carrying out yet another massacre in Jenin, to reiterate that it is always and in any case above any law and any judge. Forward with Zionist supremacism to certain ruin!